Il 12 e 13 aprile 2025, il Museo Orto Botanico di Roma in collaborazione con il Festival del Verde e del Paesaggio, invitavano a «Hanami all’Orto Botanico» (Hanami dal giapponese 花見 lett. “guardare i fiori”). Così si leggeva sul loro sito…
L’Hanami celebra l’effimera e spettacolare bellezza dei fiori (Sakura), che i giapponesi festeggiano organizzando pic-nic sotto i ciliegi. Il ciliegio è dunque l’ambasciatore della primavera, che trova la sua massima espressione in una fioritura unica e irripetibile (Ichi- go Ichi-e).
Risveglio della natura, rinascita, forza rigeneratrice: un’esperienza visiva profonda e sentimentale.
E’ Mono no Aware (niente dura per sempre): lo stupore, la meraviglia delle cose alla base di uno degli ideali estetici della cultura giapponese.
«..Non voglio dormire senza i tuoi occhi,
non voglio esistere senza che tu mi guardi:
io tramuto la primavera affinché tu continui a guardarmi. …
“Chiedo il permesso di rinascere”»
di Pablo Neruda.
Desidero sottolineare le attività collaterali organizzate e programmate al Museo durante le due giornate. Dalla dimostrazione di Kokedema, al Forest Bathing, il Laboratorio di Origami, dimostrazioni di vasi per Shitakusa e Ikebana, esibizione di Taiko No Koe (La voce del tamburo), esibizioni di Kendama, alla scoperta delle bambole Kokeshi e molto di più…
Personalmente, ero interessata soprattutto a l’Hanami!!!
Ho sempre avuto un rapporto speciale con la fioritura dei ciliegi e fino a pochi anni fa non conoscevo il termine giapponese. Ignoravo il rituale, il simbolismo che credo sia unico al mondo e la millenaria attenzione che viene riservata in Giappone a questo fiore e alla sua bellezza.
Io ne sono attratta per motivi personali e per una circostanza particolare legata ai miei ricordi. L’origine dell’Hanami, le sue radice nel passato leggendario del Paese del Sol Levante. Secondo il Nihon Shoki, il libro degli Annali del Giappone, questo rituale era praticato già nel III secolo dopo Cristo.
Un’altra leggenda narra invece che fu il sacerdote En-no- Ozuno, nel VII secolo, a piantare gli alberi di ciliegio presso la città di Yoshino, lanciando una maledizione contro chiunque avesse osato abbatterli.
Secondo altri, l’Hanami non sarebbe una tradizione autoctona, ma un’usanza importata dalla Cina, che all’epoca della dinastia Tang esercitava una notevole influenza culturale sul Giappone del periodo Nara (710-784).
Inizialmente però l’Hanami non si riferiva ai ciliegi, ma agli ume 梅, vale a dire gli alberi di prugne. Nel periodo successivo, detto era Heian (794-1185), la corte giapponese si trasferì stabilmente a Kyoto e in virtù della loro sfolgorante bellezza, i sakura soppiantarono gli ume.
La parola Hanami compare per la prima volta nel racconto “Genji Monogatari“, scritto dalla dama di corte Murasaki Shikibu intorno all’anno mille e considerato il primo romanzo della storia. In questo periodo, però, l’Hanami era essenzialmente un rito elitario, che consisteva in una cerimonia in cui si beveva sake e si declamavano poesie dedicate alla bellezza dei fiori di ciliegio. Vi prendevano parte nobili, dignitari di corte e poeti.
Solo successivamente, nel periodo Edo (1603-1868) l’Hanami si diffuse anche tra i ceti più bassi della popolazione, fino a divenire una vera e propria festa nazionale. Alla sua espansione contribuirono anche alcuni shogun (i capi dell’élite militare che governò il paese tra il 1192 e il 1868), fra cui Tokugawa Yoshimune, che fece piantare i ciliegi in molte zone del paese.
Altre leggende dicono che i Sakura sono accostati ai Samurai, i famosi guerrieri (considerati i migliori degli uomini) che seguivano il codice di condotta del bushido, e per questo sono legati dalla bellezza e dalla caducità, essendo i Sakura i fiori più belli!
Secondo la visione giapponese della vita, la concezione estetica è il principio informatore sia del rapporto con la natura che del comportamento umano. Ogni gesto, ogni azione, si inseriscono in un quadro logico e coerente di armonia e bellezza.
Armonia di bene e bellezza
«L’amore che pervade la mia mente consiste nell’armonia di bene e di bellezza che gli antichi greci chiamavano kalokagathía, termine tradotto solitamente con “nobiltà”, “virtù”, “onestà”, ma il cui concetto a me trasmette qualcosa di più: la bellezza dell’etica e la bontà della bellezza». Come scrive Platone: Bello e buono ci appaiono identici.
«Si tratta di un’acquisizione del mondo classico, ripresa dagli umanisti rinascimentali, a cui il mondo contemporaneo non crede più: per esso l’estetica non ha nulla a che fare con l’etica, né l’etica con l’estetica. Tale dissociazione, a mio avviso, è un segnale della decadenza spirituale che stiamo sperimentando, laddove per decadenza spirituale intendo la sfiducia nell’armonia tra sentimento e razionalità: la razionalità del mondo, il sentimento dell’anima e la connessione tra i due.
Ne scaturisce un’estetica senza etica, solo estetismo e ricerca esasperata di originalità; e un’etica senza estetica, solo moralismo e talora risentito pauperismo.
Il contatto autentico con la grande bellezza, invece, intenerisce e rende buoni; e il contatto autentico con il vero bene illumina e rende belli. Questo è l’ideale dell’estetica classica e rinascimentale, e anche il mio. Di esso la mia mente è innamorata». [La mente innamorata, Vito Mancuso, Garzanti]
Inizialmente, l’Hanami aveva uno scopo divinatorio, poiché si riteneva che gli Dei della natura (kami 神) vivessero all’interno della corteccia dei ciliegi. Oggi, è una festa alla quale partecipa attivamente la maggior parte della popolazione ed anche i turisti, che organizzano il loro viaggio appositamente per poter essere presenti al momento giusto.
In Giappone si contano centinaia di specie di ciliegio. I festival organizzati in tutto il paese sono tantissimi ed i fiori di ciliegio sbocciano in momenti diversi a seconda della varietà e della posizione geografica.
I numeri sono impressionanti: nel Parco Matsumae (Hokkaido) ci sono 10.000 fiori di ciliegio, alcuni dei quali vengono considerati sacri per eventi particolari e degni di nota. Ad esempio il ciliegio della nutrice, quello del 16 Gennaio e il ciliegio che spacca la roccia (Ishiwari-zakura). Quest’ultimo è a Morioka, ed è vecchio di 400 anni. È un fenomeno naturale.
L’Ishiwari-zakura ha messo radici in una piccola fessura in un masso e alla lunga è diventato così grande da spaccare il masso a metà. Si ritiene che la bellezza e la forza dell’albero fossero tali da rompere la roccia.
Tanti anni fa, nel mio paese di nascita, il Cile, nei giorni in cui si passa lentamente dall’inverno all’inizio della primavera: un segnale di cambiamento fondamentale erano “los ciruelos” (i ciliegi) che iniziavano a fiorire. Ed era importantissimo che lo facessero puntualmente!
Ogni famiglia ha delle ricorrenze ineludibili che non possono passare sotto silenzio. Una data da non dimenticare per noi era il compleanno di mia madre, il 29 di agosto. Una festa importante che doveva riuscire al meglio.
I preparativi cominciavano con anticipo e si seguiva un rituale ormai collaudato: si procedeva alla pulizia della casa, dove tutto doveva essere brillante e perfetto, a metà settimana si lucidava tutta l’argenteria, le numerose tovaglie di lino pregiato dovevano apparire impeccabili e stirate alla perfezione, si faceva una spesa abbondante di alcoolici, bibite e tutto il necessario per preparare da mangiare. In questa occasione noi figli, eravamo cinque ed io la minore, subivamo lo stesso trattamento.
Se durante l’anno, in occasione di qualche ricorrenza, una macchia poteva essere tollerata, in questo caso non erano ammesse deroghe. Parte dei preparativi prevedeva di attraversare la strada ed andare sulla piazza di fronte a casa nostra, e “prendere in prestito” (unica volta che si faceva nell’anno) dei rami di ciliegio per addobbare tutta casa! Tutto questo acquistava un significato particolare, un preludio di primavera che in Cile comincia il 21 settembre.

Ciruelo cileno
La festa durava tutta la giornata. All’ora del tè, le amiche, le cugine e le cognate si presentavano con dei bellissimi regali per mia madre, la quale era felicissima di stare in mezzo a loro occupandosi di tutto. Dopo pranzo, secondo la tradizione, ci divertivamo a preparare crostate di frutta, piccoli triangoli salati di pane guarniti, sempre con molta attenzione al colore per avere un colpo d’occhio impattante. Delle palline dolci fatte con biscotti tritati, con latte condensato e noci, altre di fichi serviti su grandi piatti di porcellana, completavano il tutto.
La teiera bolliva in continuazione e le tazze venivano servite più di una volta! Più tardi, si presentavano i mariti di queste signore, che tra parenti ed amici da sempre, mangiavano una fetta di torta Pompadour (rigorosamente sempre la stessa) e bevevano qualcosa.

torta Pompadour
La torta Pompadour merita un cenno. E’ di origine Francese e si prepara da più di settanta anni mantenendo intatta la stessa ricetta, che è passata dalla fondatrice della pasticceria, Doña María Desgroux de Rivera, a sua nipote, ed oggi è saldamente nelle mani di un nipote che continua a preparare la squisita torta con burro, latte, vaniglia e mandorle, abbinata a gustose sfoglie di pasta sfoglia, al “dulce de leche” prelibatezza fatta in casa e cremoso mol all’uovo. Tutti questi elementi si fondono al palato, permettendoti di assaporare i ricchi sapori degli ingredienti naturali.
Alla sera rimanevano i più intimi e il tutto si trasformava in cena e ballo. La festa finiva veramente tardi, e a noi era permesso di rimanere in piedi, come si suol dire , “facevamo le ore piccole”. Queste giornate fanno parte dei miei ricordi più belli e le conservo ancora intatte come fosse ieri!
Una fotografia a me particolarmente cara: non propone un panorama mozzafiato e non è molto riuscita, se la giudichiamo con occhio professionale, ma evoca ricordi indimenticabili. Quattro finestre che sono in corrispondenza col palo della luce, due del primo e due del secondo piano, un poco coperte dagli alberi colorati davanti che nascondono l’ingresso: casa mia…
È importante perché credo sia l’ultima abitazione famigliare, quando la maggior parte di noi viveva ancora nel nostro paese. All’interno era composta di tre piani, al primo c’erano il salotto, la sala da pranzo con un tavolo dove potevano sedere comodamente almeno dodici persone, un salottino, la cucina, la dispensa e il bagno per gli ospiti.
Quella era la parte di rappresentanza per così dire, che in quella giornata in particolare doveva rendere al meglio!
I giapponesi hanno la parola giusta per questo: “Natsukashii”, che vale a dire nostalgia felice. (cito me stessa in Dialogo molto intimo) https://www.caosmanagement.it/2024/10/27/dialogo-molto-intimo/.
Il compleanno di Maria Rebeca, mia madre, era noto a tutta la famiglia ed agli amici. Anche se molti di noi vivono da molto in Europa o negli Stati Uniti, viene ricordato: “lontano fisicamente, ma vicino nel cuore!” come si suol dire!
Bibliografia
https://ortobotanico.web.uniroma1.it/it/hanami-2025-allorto-botanico-di-roma
https://www.mediatorilinguistici.it/hanami-%E8%8A%B1%E8%A6%8B-la-bellezza-della-fioritura/
https://www.jal.co.jp/it/it/guide-to-japan/experiences/cherry-blossom/what-do-cherry-blossoms- represent/index.html https://www.mnhn.gob.cl/noticias/ciruelos-en-flor Google maps.
https://www.tradicionpompadour.cl/historia/ * “dulce de leche” = manjar