Le applicazioni di intelligenza artificiale a nostra disposizione, dobbiamo considerarle docili strumenti nelle nostre mani, collaboratori dotati di iniziativa, colleghi, sostituti o antagonisti?
Dopo aver provato varie applicazioni, mi sono concentrato sull’uso collegato di Gemini e NotebookLM, in modo da lavorare in ambiente Google, ed ho l’impressione che sappiano veramente fare qualcosa di più rispetto a tutti i supporti tecnologici che ho avuto finora. Gemini è un vero assistente onnisciente (avendo a disposizione l’immenso database di Google) con cui posso parlare di qualsiasi cosa conversando amabilmente, e in base alle domande che gli faccio può arrivare a darmi risposte estremamente dettagliate e strutturate. E’ anche un ottimo generatore di immagini, come quelle che compaiono in questo articolo. NotebookLM è un segretario personale che mette in ordine i miei materiali, generando sintesi, mappe, podcast.
Ho la sensazione che ambedue superino il test di Turing, perché mi fanno dimenticare il fatto che sono sistemi automatici, e mi fanno sentire in una situazione del tutto simile a quella in cui ho scambi con esseri umani, e in più sono sempre pronti a rispondermi a tono su qualsiasi cosa. Ora non devo far altro che perfezionare la collaborazione fra me e gli assistenti, sia dal punto di vista pratico, lavorando insieme con essi, sia dal punto di vista teorico, riflettendo sul modo di interagire personale e generale.
L’uomo ha sempre sognato di costruire un alter ego, un automa a sua immagine e somiglianza, e cerca sempre di antropomorfizzare tutto quello che ha intorno a sé, come accade per le favole con gli “animali parlanti”. Ma al tempo stesso ha cercato di usare cose, animali, persone come strumenti capaci di prolungare i suoi arti, rafforzare le sue capacità, servirlo. Da una parte cerca un compagno, dall’altra uno schiavo. Il mito di Pigmalione rappresenta il primo atteggiamento, l’istituzione della schiavitù appartiene al secondo atteggiamento. Se voglio che qualcosa o qualcuno mi faccia compagnia devo umanizzarlo, dargli un’identità e un nome proprio, come faccio per il mio gatto, il mio cane, il mio cavallo, la mia automobile o la mia barca. Se voglio che qualcosa o qualcuno mi serva devo disumanizzarlo, come faccio per i polli in batteria, le cavie da laboratorio, gli schiavi, le maestranze, le risorse umane.
Arriviamo ad applicare questa modalità perfino nei confronti della Terra, che possiamo vedere come la Gaia di Lovelock, un essere vivente che respira e si muove con gli oceani e i continenti, le foreste e i venti, che si riscalda con il sole e suda e si rinfresca con le piogge, un grande organismo vivente fatto di organismi più piccoli fra cui noi esseri umani; oppure come un insieme di spazi e risorse materiali inerti da sfruttare a nostro piacimento o fino all’esaurimento, per passare senza rimorsi ad altre risorse inanimate.
Tornando ai nostri supporti tecnologici, la prima volta in cui tutti noi abbiamo umanizzato un nostro strumento in modo spontaneo e naturale è stata con l’avvento del personal computer, a cui ci rivolgiamo dicendo “lui non fa quello che ho chiesto”, “lui vuole più memoria ram”. Nessuno di noi avrebbe detto “lei” della macchina da scrivere o della fotocopiatrice, del tostapane o dello scaldabagno. Perché il computer è un “lui”? Perché è il nostro computer, plasmato e organizzato da noi, con i nostri contenuti, le applicazioni che usiamo, le nostre password. Lo abbiamo addestrato a fare ciò che vogliamo da lui, e diventiamo nervosi se non lo fa, ce la prendiamo con lui, mentre con qualsiasi altro strumento ce la prenderemmo con noi stessi e cercheremmo di usarlo con più abilità.
Questo atteggiamento diventa molto più marcato con un assistente o un agente AI, che ci ascolta se parliamo, capisce e ci risponde a tono nella nostra lingua, e pian piano impara da noi a ragionare come noi stessi. Lo psicoterapeuta Alessandro Bartoletti mi racconta che dopo aver nutrito ChatGPT di articoli scientifici da lui studiati o scritti da lui, gli ha sottoposto un caso clinico, che ChatGPT ha trattato come avrebbe fatto lui stesso.
In questo video Marco Montemagno spiega che cosa sono gli agenti AI, programmi capaci di fare cose al posto tuo, come cercare un albergo e prenotarlo: “Agenti AI: che cosa sono e come usarli”.
La fotografa Patrizia Savarese ha interagito a lungo con Midjourney e lo ha addestrato a produrre immagini di qualità sempre più alta, sempre più coerente con il suo modo di immaginare e rappresentare fotograficamente i suoi mondi, come si può vedere in questo articolo.
NotebookLM trasforma con pochi clic un articolo in un podcast con il dialogo fra due persone virtuali che parlano con dizione perfetta, con intercalari e mugolii di esitazione, come se fossero persone vere che chiacchierano sull’argomento dell’articolo. Alcuni podcast di questa rivista sono fatti così. NotebookLM mi ha fatto anche la sintesi e il podcast di questo articolo.
Finora abbiamo pensato che il sistema tecnologico, che per brevità chiameremo “la macchina”, fosse più efficiente, preciso e veloce nel fare cose ripetitive, lasciando a noi umani la fantasia, le emozioni, l’empatia, la creatività, l’ingegno. Ma ogni giorno assistiamo a qualcosa che la macchina ha imparato a fare, come diagnosi su imaging medicale, ragionamenti logici, scelte e decisioni, procedure creative come la combinazione di elementi eterogenei per ottenere qualcosa di diverso.
Diventa sempre più difficile capire che cosa la macchina non può fare, e che invece possiamo fare solo noi. Per esempio, noi possiamo amare un nostro simile. Ma l’amore si manifesta con parole e atti che la macchina può imitare, perché ci può dire quello che vuole o meglio che noi vogliamo sentirci dire, può farci un regalino, può consolarci se siamo tristi. Già ora molte persone, specialmente giovani e ragazzi, usano ChatGPT come confidente e consigliere, nel bene e nel male che ciò significa.
Tutto ciò ad alcuni sembra meraviglioso, ad altri fa paura, perché evoca la figura di un Golem stupido e servizievole che diventa un Moloch spietato e sanguinario pronto a divorare con lingue di fuoco gli apprendisti stregoni che ne volevano fare un proprio schiavo. C’è chi dice che l’assistente AI è uno strumento con cui possiamo convivere e imparare a usare come abbiamo fatto per tutti gli strumenti, chi dice che è un collaboratore da addestrare per farci aiutare meglio, chi infine lo vede come un individuo altro, un antagonista che può pensare e agire anche contro di noi.
Lo strumento
Ho chiesto a Gemini di farmi un’illustrazione del concetto di strumento come cosa, animale o persona, in stile pittorico cinquecentesco.
Per usare al meglio uno strumento dobbiamo prima di tutto sapere che cosa vogliamo fare, poi scegliere lo strumento più adatto, quindi capire come funziona, infine farlo funzionare come vogliamo noi. Oppure possiamo cominciare ad usare uno strumento, e man mano che ne diventiamo padroni saremo capaci di fare con esso cose sempre più valide. Il primo è un atteggiamento problematico (la definizione del problema porta a scegliere lo strumento), il secondo è pratico (l’uso dello strumento genera e risolve il problema). Facciamo un esempio musicale. Se sono un compositore ho in mente un’idea musicale, la scrivo (ricerca e definizione del problema) e scelgo gli strumenti più adatti per concretizzarla. Oppure scelgo lo strumento che mi capita fra le mani o che mi piace perché l’ho visto in mano ad un personaggio che mi piace, e imparo a suonarlo fino a poter esprimere tutte le idee musicali che mi vengono in mente, ponendomi problemi di tecnica musicale e strumentale per far fare allo strumento ciò che voglio io. Quando siamo poco esperti ci basterà uno strumento meno sofisticato, man mano che diventiamo bravi avremo bisogno di uno strumento sempre più pregiato, fino ai costosissimi Stradivari che solo violinisti di rango sono in grado di far suonare come si deve.
Meno siamo bravi, più lo strumento ci limita e ci resiste. Più siamo bravi, più lo strumento fa ciò che vogliamo. Il nostro potere è totale se lo strumento è semplice come un coltello, o se lo sappiamo usare alla perfezione. Non fa nulla di sua iniziativa, fa tutto e solo ciò che noi sappiamo fargli fare. Invece il nostro potere è limitato se lo strumento è molto complesso e ne riceviamo solo output che escono dalla sua scatola nera in base a processi a noi ignoti e da noi incontrollabili.
Il collaboratore
I collaboratori del maestro in una bottega artistica rinascimentale, secondo Gemini.
Il collaboratore è un individuo capace di fare ciò di cui abbiamo bisogno, a cui dobbiamo spiegare ciò che vogliamo per lasciarlo lavorare fino a quando fornisce quanto richiesto. Ci aspettiamo che il collaboratore faccia ciò che gli chiediamo, altrimenti ci rivolgiamo ad un altro collaboratore. Però dobbiamo essere capaci di chiedergli le cose in modo che le possa capire e fare, e metterlo nelle condizioni migliori per fare quanto richiesto. Dobbiamo aver chiaro che cosa faremo noi e che cosa vogliamo delegare al collaboratore, e quale grado di libertà vogliamo concedergli. Per esempio, se un grafico deve rispettare un colore, devo dargli un campione preciso o un numero di codice condiviso come il Pantone, altrimenti devo aspettarmi dal grafico qualsiasi colore di suo gusto. Il nostro potere è totale nello sceglierlo o licenziarlo come collaboratore, ma è limitato dalle mie capacità di comunicazione e di persuasione, oltre che di richiedergli le cose giuste al momento giusto.
Il collega
Colleghi che collaborano alla pari in un affollato e vivace salone cinquecentesco, sempre visto da Gemini.
Il collega è un individuo su cui io non ho potere, e che si trova a interagire con me, o a giudicarmi, ad aiutarmi o ad ostacolarmi. Non avendo potere su di lui, devo fare in modo che condivida i miei interessi e i miei obiettivi, per averlo come collaboratore e non come antagonista. Per stabilire una buona relazione con lui, devo partire dall’ascolto delle sue opinioni e dei suoi desideri, passare al confronto con ciò che penso e voglio io, concludere con la sintesi di un volere comune.
Il sostituto
Il maestro giardiniere sostituisce il principe nella cura del roseto, come proposto da Gemini.
Un individuo che per un certo periodo e in determinate circostanze fa tutto quello che farei io operando al posto mio è un mio sostituto. Io ho il potere di sceglierlo come mio sostituto, e di addestrarlo, ma poi la mia delega sarà totale perché io mi occuperò di altre cose. L’unica cosa che posso chiedere al mio sostituto è di condividere i miei obiettivi, e controllare che li abbia raggiunti nei termini prefissati.
L’antagonista
Se non sono riuscito a convincere collaboratori e colleghi, questi possono o disinteressarsi al mio progetto, o diventare antagonisti, ossia individui che cercheranno di far prevalere il loro punto di vista anche se va contro il mio. Se l’antagonista è più forte di me, sarà lui ad avere potere su di me, e contrasterà le mie opinioni e i miei progetti fino ad impedirmi di raggiungere i miei obiettivi. Se strumenti, colleghi, collaboratori e antagonisti possono essere tali al di fuori di me, sono io che posso considerarli in un modo o nell’altro. Posso animare un mio strumento, chiedendogli di aiutarmi o imprecando contro di esso, posso considerare un collega come collaboratore se cerco di farmi aiutare, o come antagonista se cerco di sopraffarlo.
L’assistente di intelligenza artificiale
Per illustrare lo strumento AI ho chiesto a Gemini una illustrazione disegnata in stile Moebius.
Lo stesso atteggiamento posso avere nei confronti del mio assistente AI. Che cosa voglio da lui? Che faccia tutto e solo ciò che gli chiedo? Allora sarà un mio strumento, che farà solo quello che io conosco risparmiandomi lavoro. Per esempio, la funzione AI di un programma di fotoritocco come Photoshop, può trasformare una foto verticale in orizzontale integrando le parti mancanti in base a cio che c’è nella foto. Oppure scontornare una figura e cambiarne lo sfondo.
La foto originale in verticale, che mi ritrae mentre passeggio sulla spiaggia di Alassio.
La stessa foto in orizzontale, con le fasce laterali aggiunte e riempite dall’intelligenza generativa di Adobe Photoshop con elementi coerenti con l’ambiente della foto. L’operazione di trasformazione ha richiesto meno di un minuto.
Il collaboratore AI secondo Gemini.
Voglio che svolga a modo suo alcune mie richieste? Devo considerarlo un collaboratore. Per esempio ad un programma di text-to-image dovrò formulare richieste sempre più dettagliate per fargli fare qualcosa che si avvicini man mano ai miei desideri, riproponendo di volta in volta le mie richieste con domande magari formulate in modo diverso, come ho fatto per ottenere le illustrazioni di questo articolo.
Il collega AI illustrato da Gemini che ha lavorato con me.
Voglio un confronto con un altro punto di vista? Allora cerco un collega per un consulto. Gli farò domande problematiche invece che richieste operative. Per sperimentarne la capacità consulenziale ho chiesto a ChatGpt una panoramica sull’accanimento terapeutico e relative normative in Italia e Francia, un argomento di cui non so quasi nulla. In pochi minuti e con tre domande ChatGPT mi ha dato tutte le informazioni con tabelle comparative fra Italia e Francia, e una guida per compilare una DAT (disposizione anticipata di trattamento).
Mentre il sostituto AI (in questo caso Gemini) lavora al posto suo, l’umano pensa ad altro.
Voglio qualcuno che faccia le cose al posto mio, per dedicarmi ad altro? In questo caso cerco un sostituto. Questo fa un po’ paura, perché più mi sostituisce più rende inutile la mia attività. I robot che occupano i posti di lavoro cacciandone via gli umani sono uno degli incubi dei nostri tempi. Anche in questo caso però c’è uno scenario nero in cui orde di disoccupati disperati renderanno la società sempre più instabile, fino ad invocare regimi tirannici e repressivi, e uno scenario rosa in cui gli umani, liberati dal lavoro quotidiano, potranno dedicarsi alle cose belle della vita, dall’affetto dei propri cari ai viaggi, allo sport, all’arte. Naturalmente ciò prevede che i robot ci paghino stipendi e pensioni. La differenza fra un sostituto e un collaboratore è che con questo esercitiamo una delega controllante, col sostituto una delega al buio, di cui controlliamo solo il risultato finale, come una scatola nera di cui si vede solo l’output. E se ci sfugge di mano, il sostituto può diventare un pericoloso antagonista che arriverebbe a cacciarci via e ad occupare il nostro posto di lavoro e di vita.
Un eccellente programma a questo proposito è Notebook LM, che lavora solo su materiali informativi che gli carichiamo noi. Per esempio, io gli ho messo dentro la mia guida in slide sui 6 Cappelli di De Bono, e in un attimo mi ha fatto questa sintesi:
«Questo testo esamina il metodo dei sei cappelli per pensare ideato da Edward De Bono, come presentato in un’elaborazione di Umberto Santucci. Il documento introduce il metodo come uno strumento per favorire la creatività di gruppo senza conflitti, superando le naturali differenze di pensiero che sorgono nelle riunioni. L’idea centrale è che, indossando metaforicamente diversi cappelli colorati, i partecipanti possano adottare specifici atteggiamenti mentali, focalizzandosi su un unico aspetto alla volta (dati, emozioni, giudizi negativi, vantaggi, idee creative, o organizzazione). Il testo descrive in dettaglio le funzioni di ciascun cappello (bianco, rosso, nero, giallo, verde, blu), fornisce domande e frasi tipiche associate a ciascuno, e spiega come la tecnica possa essere applicata in gruppo o individualmente per affrontare problemi e migliorare la produzione di idee in modo strutturato ed efficace.»
E questo podcast a due voci
Nel nostro caso tutti i processi di automazione sono sostitutivi del nostro lavoro. La sostituzione è cominciata molto tempo fa, dagli schiavi che lavoravano al posto del padrone fino alla lavastoviglie che lava i piatti al posto nostro. Come fare per farci sostituire dal nostro assistente? Istruendolo e assegnandogli compiti che può svolgere da solo. Almeno per quanto riguarda la parte che cade sotto il nostro controllo. Infatti anche il padrone poteva ordinare allo schiavo di rimettere in ordine il triclinio dopo il pranzo, ma poi lo schiavo decideva da solo da dove cominciare, come procedere, come muoversi, che cosa usare, dove buttare i rifiuti. Allo stesso modo, diremo all’assistente di ricevere le richieste di materiale provenienti da un nostro sito, rispondere con una email personalizzata e chattare con chi si mette in contatto, ma non sapremo mai come fa a fare tutto ciò. Se non fa quello che abbiamo chiesto, invece di prendercela con la sua negligenza, come faremmo con un nostro simile, dobbiamo prendercela con noi stessi, e cercare di spiegargli meglio che cosa volevamo.
Per esempio, un programma come Udio genera canzoni con parole, musica, arrangiamento, esecuzione musica e canto, come questo esempio di bossa nova generato da questo sintetico prompt: “classic 1960s bossa nova, soft guitar, portuguese” con il risultato ascoltabile qui.
Ma possiamo arrivare a creare un nostro clone che a nostro piacimento può essere indistinguibile da noi o può, come novello Proteo, assumere qualsiasi altra forma e ambientazione, come in parrucca e abito settecentesco in una foresta tropicale. Al proposito vedi questo video di Marco Montemagno: “Ho testato il mio CLONE AI… e fa paura!”
L’antagonista AI sovrasta lo spaurito ragazzo nell’immaginazione di Gemini, sempre in stile Moebius.
Infine, vedremo nella macchina un antagonista quando ci sentiremo esautorati o minacciati da essa, fino ad arrivare alla distopia massima in cui la macchina deciderà che per il bene della Terra il genere umano va eliminato. O più semplicemente quando ci mettiamo in competizione con la macchina e cerchiamo di riaffermare la nostra umanità, la nostra capacità di disobbedire, di sbagliare, di combattere l’algoritmo con la fantasia e l’immaginazione, l’insensibile logica automatica con le emozioni e le cose fatte a mano, dal pane alle carezze. Ricordiamoci che la bicicletta non può battere una moto in velocità, ma la batte sicuramente nel parcheggio.
In conclusione, siamo noi a decidere come vogliamo interagire con la macchina, né più né meno di quanto faremmo con un umano, per trattarla come uno schiavo, come un collaboratore, per farci sostituire, per sottometterci e diventare superflui. E sta ancora a noi decidere se vogliamo essere i padroni delle macchine trattandole come strumenti e come collaboratori, o se vogliamo farci sostituire, dominare e infine eliminare da esse.
E vale sempre la pena di ricordare l’insegnamento di Ivan Illich, secondo cui uno strumento di cui abbiamo il controllo come la bici è al nostro servizio, mentre noi siamo al servizio di strumenti e sistemi di cui non abbiamo il controllo, come il treno o Facebook. Quindi sarebbe prudente non affidarci eccessivamente a questi ultimi.
Il podcast che potete ascoltare, è elaborato dalla IA Notebook LM, costruito a partire dalla scrittura originale del suo autore umano. Lo consideriamo un complemento, non è una replica, è un’interpretazione!