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Crisi o non crisi? Ripresa o depressione? Sviluppo o recessione? Ultima a morire sarà la speranza, ma così come san Gennaro chiede al suo devoto napoletano che gli chiede ripetutamente la grazia di fargli vincere la lotteria di comprare almeno una volta un biglietto, così da parte delle imprese sarà opportuno cercare ancora una volta di ottimizzare la propria gestione e innovare la propria offerta sul mercato. Se i Paesi ad economia matura (leggi Occidente) vogliono contrastare sia la delocalizzazione che la guerra dei dazi che Donald Trump ha avviato, citando Yoshihito Wakamatsu, uno dei padri del Toyota product system e uno degli ultimi discepoli di Taiichi Ohno, il padre fondatore del modello che ha dato vita al lean thinking, la produzione snella, leggera, le aziende dovranno
«ridurre i prezzi del 50 percento e dimezzare i costi».
Per farlo dovranno reinventare modelli e paradigmi. Dovranno scoprire le leve per dar nuova vita alla capacità di creare manufatti e prodotti e, specialmente, quelle per formare le persone in un ’sistema nervoso autonomo aziendale’, rappresentato dall’ingegno e dalla forza delle persone che vi lavorano. Da dove partire? La novità è che per ridurre i costi non si dovrà, questa volta, partire dalla diminuzione dei tassi di occupazione, ma dalla capacità di ridisegnarsi e di dare valore al lavoro e all’intelligenza degli uomini che lavorano nell’azienda, quindi verso la comprensione profonda dell’hitozukuri, ossia l’arte di saper formare e gestire le persone. La vera sfida sarà costruire ambienti organizzativi e stili manageriali dove la tecnologia non si limiti a sostituire, ma amplifichi le capacità umane.
L’hitozukuri, siamo sempre nel campo del miglioramento continuo di scuola Toyota, sprona le persone a utilizzare il loro ingegno e a crescere giorno dopo giorno. Creare questa condizione non è però semplice perché significa sviluppare un sistema di management che faccia risaltare la forza delle persone finalizzandoli ai principi chiave del kaizen.
Kaizen è una parola giapponese che ne mette insieme due: Kai, che sta per “cambiamento”, e Zen, che vuol dire “migliore”. Significa quindi “cambiamento in meglio”, o ancora, aggiungendo una sfumatura intraducibile che indica sforzo costante: “miglioramento continuo”. Ecco dunque i principi chiavi del kaizen che come vedremo mette l’uomo al centro del processo produttivo.
- Eliminazione degli sprechi: il kaizen si concentra sull’identificazione e l’eliminazione di tutte le forme di spreco (muda), tra cui sovrapproduzione, attesa, trasporto, inventario, movimento, difetti e talenti sottoutilizzati. Il controllo sugli sprechi e progettuale e sul campo, individuata da chi lavora.
- Standardizzazione: Ohno affermò notoriamente: “Senza standard, non può esserci kaizen”, sottolineando l’importanza di stabilire e mantenere pratiche di lavoro standard come base per il miglioramento.
- Coinvolgimento dei dipendenti: incoraggiare tutti i dipendenti, indipendentemente dal loro ruolo, a partecipare all’identificazione e all’implementazione dei miglioramenti.
- Just-in-Time: il concetto mira a produrre beni solo quando sono necessari, riducendo al minimo inventario e sprechi.
- Rispetto per le persone: occorre credere nella valorizzazione dei dipendenti e nel loro potenziale per guidare l’innovazione e il miglioramento.
I principi fondamentali del miglioramento continuo riguardano l’interno delle aziende; nell’ambito dei processi produttivi occorre identificare quelle attività che non creano valore per il cliente; significa saper adattare metodi e tecniche alla contingenza del momento restando coerenti con i principi fondamentali dell’identità aziendale. Ma il vero salto di qualità che bisogna fare è guardare fuori dall’azienda e capire cosa dà valore al cliente, dove il cliente percepisce esserci valore reale. Dovendo ridisegnare il modello industriale che deve confrontarsi con un mercato di esportazione ad alto valore aggiunto, non è più chiaro, infatti, ciò che è valore e ciò che viene percepito come tale. La crisi globale ha cambiato i modelli di riferimento. Le persone hanno cambiato modelli di vita? Si, no, forse! La vera innovazione oggi sta, quindi, nella capacità delle imprese di ripensarsi plasmandosi sulla base di ciò che il cliente desidera e di riorganizzarsi per ottimizzare il benessere del personale.
Sempre di più il verbo della ripresa è “ascoltare”
Primo passo per ridisegnare il nostro modello di sviluppo. Dobbiamo concentrare i nostri sforzi sulla capacità di sapere ascoltare: lo diciamo in molti, e spesso; ma pochi lo sanno fare. Prendiamo la Toyota. Quando esplose la bolla Lehman Brothers la prima cosa che la società ha fatto è stata quella di spostare una bella fetta di persone, circa 500 tecnici di varie discipline, per indagare sui desideri dei clienti e sapere da loro che cosa avrebbero voluto per la loro prossima auto. Uno sforzo ancor più apprezzabile considerando che era l’anno (2009) in cui la Toyota si apprestava a rendicontare il suo primo bilancio in rosso dopo mezzo secolo di bilanci in crescita. Fu uno sforzo di revisione culturale straordinario e drastico. Considerando i tempi di progettazione e messa in produzione un lustro dopo si videro i risultati di questa attenzione al mercato con il nuovo piano di rilascio di modelli legati alla propulsione ibrida. Un cambio di passo in azienda orientato da ciò che il cliente allora riconosceva come valore.
L’economia al servizio dell’uomo
Due. Il vero valore, checché se ne dica, sono le persone, gli uomini e le donne che vivono in azienda. Finche l’intelligenza artificiale non sarà matura non basterà investire in fior di automazioni se non si hanno le persone e non si investe nel loro miglioramento, nel creargli le migliori condizioni per farli esprimere; se non annulli le distorsioni delle raccomandazioni all’italiana e non riconosci un ampio spazio al merito e all’espressione delle capacità. Occorre crederci. Da un punto di vista organizzativo bisognerò incrementare la velocità della transizione verso modelli di gestione leggera essendo fondamentale mettere l’azienda al passo della velocità del mercato; passando, quindi, dalla filosofia del “made to stock” (pianificazione sulle previsioni di vendita) alla produzione su richiesta ossia il “made to order”. Questo è il cambiamento che sta portando molte aziende di medie e grande dimensione, in Europa, a vincere la sfida applicando la filosofia ’lean’ nelle scelte di tutti i giorni. In sostanza, come nelle famiglie, anche le aziende stanno imparando a decrescere felici: evitare investimenti inutili in scorte, o in impianti super sofisticati con capacità di produzione inutilmente sovradimensionata. Eliminare gli eccessi, come le rimanenze, diventa esistenziale.
Passo numero tre: è inutile produrre a prezzi bassi, in paesi lontani, se poi questo vantaggio se lo porta via il tempo di trasporto o una previsione di mercato sbagliata che porta a un ordine insufficiente o eccessivo. Oltre alla qualità il nuovo valore sul mercato è il tempo: un prodotto ’desiderato’ che però non arriva nei negozi al momento giusto, ed in quantità corretta, serve a poco; per questo è importante continuare a produrre in Europa, ciò che è di qualità. Sulla produzione a basso valore aggiunto è evidente che la sfida sarà vinta dai paesi emergenti. La nuova sfida è, e sarà, nella capacità di riuscire a produrre qualità vicino ai mercati di destinazione incidendo anche sui costi della logistica, e recuperando un ruolo sociale delle imprese nelle comunità che oltre che consumare possono anche produrre quel che consumano. Verso comunità che aspirano a diventare attori credibili.
Quattro. Ogni persona deve trovare soddisfazione in quello che fa. Occorre trovare un equilibrio tra il fare una attività produttiva, e lo svolgere una attività gradevole e che riesca a far crescere la professionalità. Far crescere le persone significa, ad esempio, insegnare prima un montaggio parziale per poi arrivare alla produzione completa o ad una trasformazione di prodotto. Il concetto di iper-specializzazione non è più sufficiente e destinata ad essere sconfitta dalla presenza dell’intelligenza artificiale.
L’intelligenza artificiale riconoscerà un ruolo all’uomo nella misura in cui si potrà esprimere creativamente. La peculiarità e l’attenzione di una persona la si desta molto meglio facendogli fare più cose. E facendogli capire che cosa sta facendo e perché.
Conoscere l’obiettivo del proprio lavoro
Richard Feynman, premio Nobel per la fisica, ricordava come le persone coinvolte nel famoso, forse famigerato, progetto Manhattan, il programma di ricerca militare che portò alla realizzazione delle prime bombe atomiche, vi avessero lavorato in modo molto diverso prima e dopo averne conosciuto lo scopo. Da quando Robert Oppenheimer spiegò ai tecnici su che cosa stessero davvero lavorando (fermare i nemici dell’Asse), ci fu una
«completa trasformazione del modo di lavorare. Cominciarono a inventarsi il modo di fare meglio le cose. Lavoravano di notte… Secondo Feynman compreso l’obiettivo il loro lavoro procedette dieci volte più velocemente di prima».
Non bisogna essere premi Nobel per capire che non si va da nessuna parte se non si ha in ‘testa’ la destinazione chiara e precisa da raggiungere. Così come si ha bisogno di feedback continui, per permettere di fare una valutazione vettoriale, cioè capire se si sta avanzando nella direzione corretta. Se poi a decidere la destinazione sono altri che ci guidano in questo percorso l’obiettivo dei capi deve esserci comunicato, per far capire con chiarezza cosa ci si aspetta. Molto meglio sarebbe se il processo con cui si arriva a definire l’obiettivo nascesse da una condivisione tra i dirigenti e chi deve raggiungerlo con il proprio lavoro. Solo così si attivano le motivazioni che consentono di raggiungere il risultato atteso. Banale. Eppure. Il management non sempre pare aver capito quanto sia cruciale il suo impegno in questa area.
L’alta direzione ha conoscenza esclusiva di macro-vincoli e macro-opportunità e quindi ha il diritto e il dovere di orientare tattiche e strategie, anche ignorando le proposte suggerite dal basso. Ma capire e, o, esser messi al corrente di cosa, quando, come e perché fare quel che si deve fare non è affatto scontato. Lo stile che prevale in troppe culture aziendali piccole, medie e grandi continua a essere top-down
«al di là della retorica partecipativa, spesso profusa nelle convention in cui domina il ‘pensiero positivo desiderante’, nei fatti, dal vertice, a cascata, calano ordini indiscutibili, elaborati secondo una visione alta e lontana»
spiega Massimo Ferrario, consulente di direzione per lo sviluppo delle organizzazioni e delle persone. Gli obiettivi dei vari livelli, più che essere negoziati diventano target obbligatori, costruiti senza il confronto con professional e manager intermedi: gli unici a conoscere profondamente vincoli e opportunità della realtà produttiva. Ma proprio per questo dovrebbe attuarsi, ai vari livelli gerarchici, un processo di negoziazione a due vie, da cui far scaturire obiettivi sfidanti, ma realistici. Insomma non si deve far altro che comunicare in modo etico, quindi autorevole e trasparente. Altrimenti
«ancora una volta potremmo dire, in linea con chi non si occupava certo di organizzazione (faceva il prete e si chiamava Lorenzo Milani), che per affrontare la complessità dell’oggi ci può aiutare il principio per cui «l’obbedienza non è più una virtù.»
In Italia, si confonde spesso il costo del lavoro con il valore del lavoro. Paolo Iacci, direttore scientifico del trimestrale “Direzione del Personale”, cita un vecchio imprenditore brianzolo, noto per la sua ruvida franchezza, che, gongolando per la sua conoscenza del mondo, amava ripetere:
«Quand gh’è minga i danée, la gente la laüra pü fòrt. Per disperazion»
“Quando non ci sono soldi, la gente lavora più forte. Per disperazione”. Era convinto che tenere gli stipendi bassi fosse la vera leva della produttività. Lo raccontava tronfio, ridendo, ma chiudeva l’anno in perdita e, naturalmente, la colpa era dei collaboratori.
Il punto non è se il lavoro “costa troppo”. Il punto è se lo stiamo facendo valere abbastanza. In un mercato che cambia, dove l’intelligenza artificiale, le competenze digitali e l’adattabilità sono le nuove chiavi della competitività, un lavoro sottopagato è spesso anche un lavoro sottoutilizzato. E quindi un’occasione sprecata per tutti: per le persone, per le imprese e per il Paese.
Il ruolo dei dirigenti
All’ombra dell’attuale crisi economica se ne cela un’altra di proporzioni molto più ampie: la scomparsa del senso di comunità in seno alle aziende, ovvero di quel sentimento di appartenenza e di attenzione verso qualcosa che va al di là del singolo individuo. Decenni di management orientato al breve termine, specie negli Stati Uniti, hanno dato troppa enfasi alla figura del Ceo e ridotto le altre persone dell’azienda a «pezzi» sostituibili, risorse umane da «ridimensionare» non appena gli indici azionari scendono.
Diventa responsabilità dei manager capire come valorizzare le persone. La differenza sta qui. Sono pochi i dirigenti che riescono a far crescere i collaboratori. Altro che autorità, qui ci vuole autorevolezza. Occorre studiare e partire dagli standard operativi, che devono essere non troppo impegnativi, per lasciare libero e consentire al lavoratore di migliorarsi, avendo il tempo di pensare. Se si è nelle condizioni di usare il cervello, se si richiede di usare il cervello, se si dà spazio alla creatività del lavoratore le cose si faranno meglio, con più soddisfazione e senza perdere tempo; portando un fattivo risparmio in azienda.
Diceva mio nonno quando sbagliava
«Marziale predica bene e razzola male».
I manager devono capire una cosa fondamentale: loro e i loro comportamenti sono il primo esempio e non possono continuare ad essere solo coloro che dicono come si devono fare le cose pianificando una semplice strategia ad obiettivi. Purtroppo questo, in Italia, ma anche in Europa, è un modo di pensare ancora dominante. Le aziende ad alto tasso di Intelligenza artificiale richiedono una leadership diversa, che non controlli ma che orienti.
Introdurre processi creativi
Più in generale come si crea l’innovazione in azienda e come si struttura il processo creativo? Le innovazioni hanno due dimensioni:
- una dimensione quotidiana (quello che in Giappone è conosciuta come Kaizen) che è quel tassello di miglioramento personale che tutti si devono sentire di dover portare. Day by Day. Far bene ogni giorno il proprio lavoro, ogni giorno cercando di migliorare ed ottimizzare gli sforzi.
- Poi c’è la dimensione dell’innovazione strategica (tanto per rimanere in Giappone, quella che chiamano il Kaikaku); quella innovazione che cambia il volto di una azienda, quella che poi finisce anche sui giornali, che deriva dalle scelte fatte dall’imprenditore o dall’amministratore delegato che, dopo aver analizzato l’andamento del mercato si fa portatore di una idea innovativa capace di cambiare la strategia con forza. Quella innovazione che nasce dalla capacità di essere dei visionari. Quello che manca, in modo assoluto, alla nostra classe dirigente politica da ormai numerosi, certamente troppi, decenni.
Gli aziendalisti, spesso, sono abituati a vedere solo l’innovazione strategica, il Kaikaku; ma perché si possa parlare di vera innovazione, serve una filosofia basata sul Kaizen: la capacità e determinazione di innovare ogni giorno per mano di tutte le persone. Fare bene il proprio mestiere (Fbpl) e cercare ogni giorno di farlo meglio; di chiudere i cicli produttivi in giornata, Day by Day, senza che il “potere” si frapponga come ostacolo a questo processo individuale e collettivo di miglioramento. Solo all’interno di un processo virtuoso di miglioramento continuo il grande ulteriore sforzo che porta all’innovazione strategica non è dispersivo.
Se si è abituati al cambiamento è facile rivedere le proprie posizioni. Si fa così, si può fare solo così e, crisi dopo crisi, si crolla. Si deve continuare ad innovare. Quindi anche questa rilettura degli equilibri e delle alleanze geopolitiche si supererà se, e, per la nostra capacità di essere innovatori. Non per scelta, per forza. Pena il fallimento, la chiusura.
Bibliografia
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Massacesi Luca (2025), Comunicare in azienda, dopo l’ingresso dell’intelligenza artificiale. OfficineEinstein edizioni, giugno 2025, in particolare il capitolo “Ripartire dagli uomini e dalle donne”.
Ohno Taiichi (2024), Gemba. La leadership pratica di Toyota e il suo impatto nel mondo. Feltrinelli.
Wakamatsu Yoshihito (2013), Il valore delle persone nel Toyota Production System, 6 novembre 2013.
Il podcast che potete ascoltare, è elaborato dalla IA Notebook LM, costruito a partire dalla scrittura originale del suo autore umano. Lo consideriamo un complemento, non è una replica, è un’interpretazione!