Una nazione è un grosso verme cieco che segue, che cosa? il destino, forse. Una nazione non ha onore, non ha parole da mantenere. Per questo in passato si preferiva avere un re, che aveva un onore e una parola personali da salvaguardare. Non sa dunque che, se si prendessero cento tra le persone più intelligenti del mondo e le si mettessero insieme, ne verrebbe fuori una plebaglia idiota? Se fossero in diecimila, poi, avrebbero l’intelligenza collettiva di un coccodrillo. Non ha mai notato che a un ricevimento, quanta più gente è invitata, tanto più stupida è la conversazione? Nella folla, le caratteristiche comuni si moltiplicano, si impilano, diventando l’aspetto dominante del tutto. Non tutti posseggono delle virtù, tutti però posseggono i bassi istinti animali, la primitiva suggestionabilità di fondo dell’uomo delle caverne, la diffidenza e la crudeltà del selvaggio. Il risultato è che una nazione di molti milioni di individui non è neppure umana. È una lucertola, un coccodrillo, un lupo. I suoi uomini politici non possono avere una moralità più elevata della moralità massificata e animalesca della nazione, anche se, negli Stati democratici questo o quel singolo uomo politico può sforzarsi di comportarsi un po’ meglio.

Nel caso di Hitler, oltretutto più che per qualunque altro uomo politico del mondo moderno sarebbe impensabile aspettarsi che in qualsivoglia patto, accordo o trattato internazionale debba mantenere la parola data andando contro gli interessi della Germania. Perche Hitler è egli stesso la nazione tedesca. E, tra parentesi, è questa la ragione per cui Hitler deve sempre parlare così ad alta voce, persino nelle conversazioni private: perché con lui parlano settantotto milioni di voci.

Un mostro, ecco che cos’è una nazione. Bisognerebbe tutti averne paura. È una cosa orrenda. Come potrebbe una cosa del genere avere un onore, una parola da mantenere? Perciò io sono a favore delle piccole nazioni. Una piccola nazione significa una piccola catastrofe. Una grande nazione significa una grande catastrofe.

*** CARL GUSTAV JUNG, 1875-1962, medico, psicoanalista, antropologo svizzero, fondatore della psicologia analitica, intervistato da H.R. Knickerbocker, ‘Hearst’s InternationalCosmopolitan’, gennaio 1939, in William McGuire e R.F.C Hull, a cura di,”” Jung parla. Interviste e incontri” 1977, Adelphi, 1995, estratto, p. 183, traduzione di Adriana Bottini.
Anche in ‘narratur-in1pagina’ (pubblicazione via email a circolazione riservata a cura di M. Ferrario), #73, 21ott22).

Carl Gustav Jung è una delle principali figure intellettuali del pensiero psicologico, psicoanalitico e filosofico. La sua tecnica e teoria, di derivazione psicoanalitica, è chiamata “psicologia analitica” o “psicologia del profondo” (più raramente “psicologia complessa”). Inizialmente vicino alle concezioni di Sigmund Freud, Jung se ne allontanò nel 1913, dopo un percorso di differenziazione concettuale culminato con la pubblicazione, nel 1912, di “La libido: simboli e trasformazioni”. In questo libro egli esponeva il suo orientamento, ampliando la ricerca analitica dalla storia del singolo alla storia della collettività umana (qui teorizza l’’inconscio collettivo’, che si esprime negli archetipi, oltre a un inconscio individuale, o personale).

 

IL FARMACO (mf)
Da sempre Carl Gustav Jung è uno dei miei (pochi) veri Maestri: espressione che non uso quasi mai, ancor meno se scritta con la maiuscola, perché ho troppo rispetto per quei pochi che a buon diritto sono a mio avviso qualificabili come ‘magister’. Ciò non vuol dire, almeno per me, rinunciare alla possibilità (e al dovere) di dissentire, tutte le volte che io ritenga di farlo, anche nei confronti delle autorità più autorevoli. E infatti credo che neppure Jung meriti, da parte di nessuno, l’ossequio, stupido perché acritico, dell’ipse dixit.

La scarsa ‘simpatia’ di Jung per le folle è cosa nota e il suo atteggiamento verso la politica non si direbbe oggi molto ‘progressista’: qualunque cosa voglia dire questa categoria. Questo suo estratto, tuttavia, mi pare una ‘pro-vocazione’ utile e intelligente, anche se forse non così originale come sembra alla prima lettura, visto che molti nel secolo scorso hanno pensato, scritto e pubblicato convinzioni simili.

Insomma, credo si tratti di un ‘memo’ che dovrebbe continuare a interrogare anche, e forse soprattutto, chi come me continua a non far mistero delle sue posizioni, convinte, di ‘sinistra’: qualunque cosa voglia dire questa categoria, sempre più bestemmiata da una pratica che, contraddicendo l’autodefinizione, da troppi anni si dedica con testardaggine all’imitazione della destra. Non so se la ‘nazione’ sia un ‘mostro’, come proclama con sicura convinzione Jung, ma mi pare indubbio che quanto meno lo possa diventare. E mi sembra altrettanto fuori discussione che la storia, e forse anche il presente desolante e inquietante da cui siamo avvolti, ce lo confermi. Non dimenticare questa pericolosa eventualità può essere il ‘farmaco’ per neutralizzare questo ‘grosso verme cieco’. Che ha prodotto, ad esempio, gli stermini della prima e della seconda guerra mondiale: 16 milioni di morti nella 1^ (9-10 milioni di militari e 7-10 milioni di civili) e 71 milioni di morti nella 2^ (21-25 milioni di militari e 50-55milioni di civili), per un totale di oltre 90 milioni di esseri umani assassinati. E che oggi sta per farci cadere in un nuovo abisso, fantasticando di riarmi necessari per prepararsi a nuove guerre che sostituiscano, per risolvere i conflitti, la feluca della diplomazia con il fallicismo di missili già eretti contro un nemico frutto di allucinazioni interessate. Il tutto mentre assistiamo, in presa diretta (prima volta nella storia), impotenti noi ‘senza-potere’ e complici tutti i sedicenti leader del mondo (occidentali in primis) che potrebbero e non fanno, ad un genocidio quotidiano, certificato, più ancora che da commissioni e tribunali internazionali, da occhi che sappiano non distogliere lo sguardo e vedere fino in fondo l’inguardabile.

Contro la perdita della ragione e la rottura della soglia che ci divide dalla follia, oltre alla lettura della ‘realtà-che-accade’, sarebbe medicina risolutiva la memoria. Ma intanto, e sarebbe già molto, potremmo finalmente mettere la sordina agli inni alla ‘nazione’ alzati ‘h24’ nel nome di una retorica patriottarda fatta di parole distraenti e vuote, abissalmente lontane da politiche concrete che agiscano sui bisogni reali degli esseri umani in carne e ossa. Forse, così facendo, potremmo essere ancora in tempo per riconoscere nel ‘popolo’ (che ha bisogno di ‘cittadini’) e non nella ‘plebe’ (che vuole ‘sudditi’) il soggetto più consono per alimentare una convivenza di individui che cooperino per fare ‘Politica’ in una logica (ancora, oibò!) di res publica. Altrimenti, e confesso che in questo caso mi spiacerebbe dar ragione all’‘apolitico’ (‘antipolitico’?) Jung, ‘vincerebbe’ la folla, il gregge, la massa pilotata. La ‘poltiglia’ in cui siamo finiti, insomma.

Un obiettivo troppo impegnativo? Sì, se ci piace la ‘nazione’ che oggi piace alla gente cui piace; e se siamo già stati fagocitati, consapevoli o no, dal ‘verme cieco’. No, se ci resta ancora un barlume di pensiero critico da alimentare, sviluppare, diffondere.

Prevenire ‘non’ è meglio di curare: in questo caso è l’unica terapia. Perché, dopo, a disastro compiuto, le terapie possibili costano troppo, anche milioni di morti, e non assicurano il risultato. Il risultato è favorito soltanto da una auto-consapevolezza vigile e costante di ognuno e tutti: anche dopo 80 anni di pace, la regressione è possibile.

La Storia lo insegna, ma solo a chi vuole imparare. E, tra l’altro, neppure basta: se, chi ha imparato, rigetta la fatica, continua, di ricordare e, soprattutto, di agire perché il passato non ritorni, questo è il test decisivo per dire che non ha imparato.

E infatti: non abbiamo imparato.

 

Massimo Ferrario

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