Il costo degli inadempimenti dell’Italia

 

Negli anni passati l’Italia ha avuto il primato negativo di essere il Paese UE con  il maggior numero di procedure di infrazione pendenti a proprio carico per la non corretta applicazione del diritto dell’Unione. Procedure intervenute particolarmente per il settore ambiente e dei trasporti: 136 procedure pendenti, di cui 33 per l’ambiente, nel 2011. 

La procedura di infrazione, la cui disciplina è prevista negli artt. 258-260 del TFUE –Trattato  sul funzionamento dell’Unione Europea, (1) rileva gli eventuali inadempimenti da parte degli Stati membri circa gli obblighi previsti dal diritto dell’Unione ed è quindi l’indice indiretto del tasso di virtuosità dello Stato membro nell’applicazione del diritto dell’Unione.

A seguito di varie denunce e interrogazioni parlamentari italiane, di articoli di stampa nonché della pubblicazione, avvenuta il 22 ottobre 2002, di un rapporto del  Corpo Forestale dello Stato italiano, che evidenziava l’esistenza in Italia di un gran numero di discariche illegali e non controllate, la Commissione UE decideva di verificare l’osservanza da parte dell’Italia degli obblighi ad essa incombenti ai sensi delle Direttive  75/442/CE, 91/689/CE e 1999/31/CE in materia di rifiuti,  rifiuti pericolosi e discariche di rifiuti.   

Va tenuto presente che il tema dei delitti ambientali ha la sua massima estrinsecazione nell’ambito dei reati connessi al traffico di rifiuti e  che  lo smaltimento illegale dei rifiuti industriali è uno dei più pericolosi e proficui  settori di attività per le organizzazioni criminali.

La verifica della Commissione riscontrava il mancato rispetto da parte dell’Italia degli obblighi previsti dagli artt. 4,8 e 9 della Direttiva 75/442 del Consiglio (c.d. direttiva rifiuti),  dall’art. 2, par. 1, della Direttiva 91/689 (c.d. direttiva rifiuti pericolosi) ed altresì dall’art.14, lett. a-c, della Direttiva 1999/31 (c.d. direttiva discariche).

In base alle  disposizioni dell’art. 4 della Direttiva 75/442/CE del 15 luglio 1975 “gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti vengano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo  e senza usare procedimenti o metodi  che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente….Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti.” (2)

Ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. g)  del D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36 (Attuazione della direttiva 1999/31 relativa alle discariche di rifiuti) si definisce “discarica l’area adibita a smaltimento dei rifiuti mediate operazioni di deposito sul suolo o nel suolo, compresa la zona interna al luogo di produzione dei rifiuti adibita allo smaltimento dei medesimi da parte del produttore degli stessi, nonché qualsiasi area ove i rifiuti sono sottoposti a deposito temporaneo per più di un anno.………” .

L’esercizio delle discariche è soggetto ad autorizzazione a norma dell’art. 208 del D.Lgs. 152/2006 (c.d. Codice dell’Ambiente), rilasciata dall’ente competente in funzione della tipologia di discarica che si intende realizzare.

 

Nel dicembre 2003 con parere motivato la Commissione invitava il Governo italiano ad eliminare entro due mesi dalla notifica gli inadempimenti addebitati e non avendo avuto risposta ricorreva in data 22 marzo 2005 (C-135/05) alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), la quale con sentenza del 26 aprile 2007  riconosceva che la Repubblica  in “modo generale e persistente” si era resa inadempiente agli obblighi di cui alle Direttive in questione. 

A norma dei Trattati si configura l’inadempimento di uno Stato membro ogni qualvolta un’amministrazione nazionale  opera una violazione del diritto dell’Unione mediante un  comportamento attivo o omissivo.

In base all’art. 260, comma 1, del TFUE (ex art. 228 del TUE)  quando la Corte di Giustizia constata che uno Stato membro non adempie  alle obbligazioni previste dal Trattato, viene  richiesto allo Stato inadempiente di prendere le misure necessarie per conformarsi alle decisioni della Corte.

L’Italia avrebbe dovuto, tra l’altro,  adottare i provvedimenti necessari per imporre che in ogni luogo in cui sono depositati rifiuti essi siano catalogati ed identificati e vengano altresì adottate tutte le misure atte alla verifica dello stato di contaminazione delle aree.

Nel febbraio 2008 la Commissione con una lettera di messa in mora  diffidava l’Italia in merito alla incompletezza delle comunicazioni fino ad allora trasmesse  circa i provvedimenti di esecuzione della sentenza. Il 26 giugno 2009 la Commissione inviava al Governo italiano un parere motivato con il quale stabiliva il termine – prorogato poi al 30 settembre 2009  – entro il quale l’Italia avrebbe dovuto porre fine all’inadempimento della sentenza.(3) Ne seguivano contatti e scambio di documentazione tra l’Italia  e la Commissione fino al febbraio 2013. 

La Commissione in caso di mancata esecuzione della sentenza può avviare una seconda procedura di infrazione ex art. 260 del TFUE, che ricalca la disciplina della prima procedura ma ha per oggetto la violazione dell’obbligo di eseguire la sentenza. 

La Commissione quindi, assumendo che la Repubblica anche nel termine prorogato posto dal parere non avesse adempiuto a quanto previsto dalla predetta sentenza,  in data 16 aprile 2013 (C-196/13) presentava ricorso alla CGUE per far dichiarare la violazione da parte della Repubblica Italiana degli obblighi di cui all’articolo 260 del TFUE, chiedendo anche l’applicazione di sanzioni (penalità giornaliera di 256.819 euro e somma forfettaria) per il ritardo nell’esecuzione della sentenza e fino al giorno di  esecuzione della sentenza stessa.

La penalità di mora viene applicata quando l’infrazione permane dopo la sentenza di condanna e viene calcolata su base giornaliera a decorrere dalla data della sentenza. La proposta della Commissione in materia non è vincolante per la Corte.

Le argomentazioni frapposte da parte italiana avverso il Ricorso non sono state accolte dalla Corte, la quale con sentenza del 2 dicembre 2014 (procédure de manquement) ha confermato che l’Italia, non avendo adottato  le misure occorrenti per dare esecuzione a quanto richiesto dalla sentenza del 26 aprile 2007,  è venuta meno agli obblighi posti a suo carico dall’art. 260 del TFUE.

La Corte ha tra l’altro affermato che per il rispetto delle Direttive : non costituiscono misure sufficienti  il sequestro della discarica da bonificare e il procedimento penale contro il gestore o la  mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti; gli Stati membri devono verificare se è necessario bonificare le vecchie discariche abusive e, ove occorra,  sono tenuti a bonificarle.

Secondo i rilievi della Corte,  nel 2013 l’Italia presentava 218 discariche, ubicate in 18 delle 20 regioni, non conformi alla Direttiva rifiuti e tra  queste  16 discariche contenevano rifiuti pericolosi in violazione della relativa Direttiva. 

La Corte,  considerando la gravità dell’infrazione,  la sua durata di circa sette  anni dopo la  pronuncia della sentenza che la ha constatata e tenendo anche conto delle procedure di infrazioni nei confronti dell’Italia in materia di rifiuti conclusesi con la pronuncia di inadempimento, ha applicato, quale misura dissuasiva, la sanzione pecuniaria consistente nel pagamento di una somma forfettaria di 40 milioni di euro. A tale sanzione è stata aggiunta (4) una penalità semestrale calcolata per  il primo semestre, dalla data della sentenza alla fine dello stesso, dell’importo iniziale di 42,8 milioni di euro, decrescente però in funzione del numero delle discariche o discariche di rifiuti pericolosi messe via via  a norma.  Per ogni semestre successivo la penalità sarà calcolata a partire dall’importo stabilito per il semestre precedente, detraendo 400mila euro per ogni discarica contenente rifiuti pericolosi  e 200mila euro per ogni altra discarica messa a norma nel corso del semestre in conformità alla sentenza del 2007.

La legge di stabilità per il 2014 ha istituito nello stato di previsione del Ministero del Bilancio un “Fondo per il finanziamento di un piano straordinario di bonifica delle discariche abusive individuate dalle competenti Autorità statali in relazione alla procedura di infrazione comunitaria n. 2003/2007”,  con una dotazione finanziaria di 30 milioni di euro per l’esercizio finanziario 2014 e di 30 milioni per l’esercizio finanziario 2015.

Nell’Audizione del 18 dicembre  2014 presso le Commissioni congiunte della Camera XIV-Politiche UE e  VIII-Ambiente, il Ministro dell’Ambiente Galletti precisava che dei 218 siti oggetto di contestazione:  4 costituivano un errore di censimento, 48 risultavano già bonificati, 115 erano oggetto di ripristino ancora in corso,  22 finanziati con il piano straordinario di bonifica. Per i rimanenti 16 si sarebbero dovuti reperire 54 milioni di euro  necessari per l’avvio degli interventi. 

Per la quantificazione delle penalità dovute per il secondo semestre 2 dicembre 2014-2 giugno 2015 l’Italia ha comunicato alla Commissione che 49 discariche tra quelle oggetto di contestazione erano state messe a norma. 

La penalità forfettaria di 40 milioni di euro è stata versata dall’Italia alla Commissione nel febbraio 2015. (5) Si tratta della penalità più pesante mai applicata dalla Corte.

Purtroppo il 16 luglio corrente è stata depositata altra  sentenza della Corte  di Giustizia (C-653/13) con la quale, a causa dell’inadempimento alla direttiva rifiuti in Campania, l’Italia è stata condannata a pagare la somma forfettaria di 20 milioni di euro ed una penalità giornaliera di 120mila euro.

L’onere complessivo delle penalità forfettarie al momento sale quindi a 60 milioni. Il Ministro dell’Ambiente Galletti intervistato sul caso Campania dal quotidiano La Repubblica ha dichiarato che “le sanzioni che riguardano le Regioni saranno pagate dalle Regioni”. 

E’ certamente vero che molte infrazioni derivano da  inadempimenti causati dalle Regioni e quale misura deterrente la legge 234/2012 ha disposto (art. 43) che le sanzioni pagate dallo Stato sono oggetto di rivalsa nei confronti delle Regioni. (6)

Tuttavia nella situazione generale di difficoltà economiche e di bilanci deficitari come può lo Stato rivalersi sulle Regioni, ancorché ratealmente?

La conclusione è una sola: alla fine l’onere ricadrà comunque sul contribuente.

 

La condanna  del 16 luglio deriva dall’inadempimento dell’Italia alla precedente sentenza del 4 marzo 2010  con la quale la Corte aveva constatato che l’Italia era venuta meno agli obblighi previsti dalla Direttiva 2006/12/CE, non avendo adottato in Campania tutte le misure occorrenti affinché i rifiuti fossero recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza pregiudizio dell’ambiente e non avendo l’Italia predisposto una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento rifiuti.

Pur nel quadro non positivo quale quello sopra presentato, va tuttavia riconosciuto lo sforzo che l’Italia ha avviato per la progressiva riduzione del numero delle infrazioni : dalle 136 procedure pendenti nel 2011 si è passati  alle 104 nel 2013 e alle 98 in essere a giugno 2015, di cui 75 per violazioni del diritto dell’Unione e 23 per mancato recepimento di Direttive. Diciassette riguardano il settore ambiente.

Va tenuto anche presente che la Commissione è veloce nell’aprire le procedure di infrazione  ma non altrettanto nel chiuderle.

Quale ulteriore segnale degli sforzi che in materia sta compiendo l’Italia è intervenuta la recente approvazione in prima lettura da parte della Camera dei Deputati del disegno di legge (ora al Senato, S.1962), relativo alle “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti all’Italia dall’appartenenza all’Unione Europea – Legge Europea 2014”, volto a chiudere 13 procedure di infrazione e 12 casi Euro-Pilot. (7)

 

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(1) – Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 1 dicembre 2009 il diritto comunitario è divenuto il diritto dell’Unione e comprende tutte le disposizioni  adottate in passato in forza del Trattato dell’Unione Europea nella versione precedente al Trattato di Lisbona.
A  seguito al Trattato di Lisbona la Corte di Giustizia delle Comunità Europee (CGCE) ha cambiato  il nome in  Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE).
(2) – Abrogato dalla Direttiva 2006/12/CE   del 5 aprile 2006 del Parlamento e del Consiglio UE  , a sua volta abrogata dalla Direttiva 2008/98 del 19 novembre 2008 del Parlamento e del Consiglio che ha abrogato le Direttive  2006/12/CE,  91/689/CEE del 12 dicembre 1991 nonché  la 1975/439 sugli oli usati.   
Gli artt. 4, 8 e 9 della Direttiva 75/442 sono stati sostanzialmente riprodotti negli artt. 13, 15, 23 e 36 della Direttiva 2008/98. Cfr. ad es. art. 13: “Gli Stati membri prendono le misure necessarie per garantire che  la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare   la salute umana, senza recare pregiudizio all’ambiente e,in particolare: a) senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo, la flora o la fauna; b) senza recare inconvenienti da rumori od odori; c) senza danneggiare il paesaggio o i siti di particolare interesse”.
(3) – Art. 226 TCE:“La Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù del presente trattato, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni. Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia”: cfr. ora art. 258 TFUE. Con il parere motivato (ora non sempre necessario dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona) viene sancito l’inadempimento e viene diffidato lo Stato a porvi fine.
(4) – Secondo la Corte (Comm. c/ Francia, causa C-3304/02, 2005) le sanzioni possono essere cumulate.
(5)-Cfr. risposta del  Ministero dell’Ambiente all’interrogazione  parlamentare  n. 3-01834 del Sen. Moronese  (Comm. 13° Ambiente e Territorio, Senato, 17 giugno 2015).
(6)-Legge 24 dicembre 2012 n. 234: “Norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e  all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione Europea”.  Art. 43. – Diritto di rivalsa dello Stato nei confronti delle regioni o di altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto dell’Unione europea:
“4. Lo Stato ha diritto di rivalersi nei confronti dei soggetti di cui al comma 1 degli oneri finanziari derivanti dalle sentenze di condanna della Corte di Giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 260, paragrafi 2 e 3 , del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”.
(7) –Euro-Pilot: banca dati e strumento di comunicazione tra i servizi della Commissione e gli Stati membri per la fase antecedente alla procedura finale di inflazione.
Sulle diverse procedure di infrazione in materia di ambiente aperte dalla UE : v. Ufficio Rapporti con la UE – Camera dei Deputati (dossier n. 17  – 16 febbraio 2015)

 

Lucio Maria Brunozzi, 16 luglio 2015