Per i non addetti ai lavori riepilogo sinteticamente di cosa si tratta.

Il cosiddetto “Bail In” è un regolamento che cambia i principi di fondo per la gestione delle crisi bancarie. L’idea nasce  in occasione della crisi delle banche di Cipro e viene poi elaborata ed approvata in sede europea dove nasce il regolamento. Lo stesso è stato recepito dal Parlamento Italiano e dal 1 gennaio 2016 è norma dello Stato. Prevede che in caso di crisi di una banca il salvataggio della stessa venga effettuato con risorse private. I soggetti chiamati a finanziare la banca sono: gli azionisti, gli obbligazionisti subordinati, gli obbligazionisti non subordinati e non garantiti, i correntisti oltre la soglia dei 100.000,00 euro di deposito.

Ora senza entrare nei tecnicismi la follia è data dalla trasgressione di un fondamentale principio costituzionale, ovvero dalla mancata tutela del risparmio. Infatti la nostra costituzione all’art. 47  recita: ”La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese.”

Nel corso degli ultimi 25 anni le leggi che regolano l’attività bancaria in Italia sono profondamente mutate trasformando le banche da Istituzioni (spesso a controllo pubblico quali erano la Banche d’Interesse Nazionale, le Casse di Risparmio, la Banca Nazionale del Lavoro, il Monte dei Paschi di Siena, il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, Il Banco di Sardegna, etc.) ad Imprese. Tali leggi, recependo sempre direttive provenienti dall’Unione Europea  (si cita a titolo di esempio la legge 218/90 cosiddetta Legge Amato che obbligò le banche pubbliche a trasformarsi in SpA e il Nuovo Testo Unico del 1994 che sostanzialmente varò il modello di banca universale abbandonando le specializzazioni temporali e funzionali precedentemente esistenti) hanno profondamente mutato lo scenario bancario italiano assimilando le banche stesse in tutto e per tutto alle imprese.

Il “Bail In” è l’ultimo anello di questo processo di trasformazione che sancisce il principio che le banche, come qualunque impresa, possono fallire e, se non si vogliono far fallire i denari per il loro salvataggio (che può avvenire sotto varie forme e modalità) li devono mettere gli azionisti, gli obbligazionisti ed i correntisti.

Premesso che a mio avviso ci sarebbe da discutere sul fatto che la banca sia equiparabile in punto di possibile default ad una qualsiasi altra impresa per le funzioni che svolge, si tratta, per quanto ci riguarda ed in punto di diritto, oltre che di buon senso, di coniugare il principio che la banca è un’impresa (e quindi può fallire) con l’art. 47 della nostra Costituzione che prevede la tutela del risparmio.

Se accreditiamo il fatto che la banca sia un’impresa possiamo giustificare a buon titolo giuridico e finanziario che in caso di difficoltà i soci dell’impresa (gli azionisti) siano chiamati alle loro responsabilità, così pure possiamo giustificare che in caso di default i soggetti che hanno prestato soldi alla banca impresa (se ben informati dei rischi che correvano quando hanno sottoscritto le obbligazioni della banca) possano perdere i loro soldi, ma quanto ai correntisti non è giustificabile che possano perdere i loro denari. Il fatto che la normativa in vigore preveda che in caso di difficoltà o default il risparmiatore possa perdere un solo centesimo del denaro semplicemente DEPOSITATO (e quindi solo custodito dalla banca) e NON INVESTITO nelle azioni o nelle obbligazioni della stessa è sicuramente contrario a quanto previsto dall’art. 47 della nostra Costituzione e semplicemente folle!

Il fatto poi che la stessa normativa in vigore preveda la tutela di alcune forme di deposito (non tutte) fino a 100.000,00 euro non evita il contrasto Costituzionale, ma anzi lo amplifica per almeno 2 motivi. Il primo perché mette una soglia al risparmio custodito che non ha ragione d’essere: come diritto di tutela del risparmio 500.000,00 euro hanno lo stesso valore di 100.000,00 euro. Il secondo è che le risorse destinate dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi sono pari allo 0,4% del totale dei fondi rimborsabili e per il 2015 le risorse stanziate per gli interventi è stato di circa 2 miliardi di euro quando i Fondi Oggetto di Tutela a giugno 2014 erano pari a 749,45 miliardi di euro e i Fondi Rimborsabili ammontavano a 508,06 miliardi di euro.

Se pensiamo che una banca delle dimensioni di Unicredit o Banca Intesa ha una raccolta diretta di 350/450 miliardi di euro, il Monte dei Paschi di Siena circa 123miliardi di euro ed il Fondo di Tutela dei Depositi ha risorse stanziate per interventi di appena 2 miliardi di euro vi immaginate cosa succederebbe se “andasse in difficoltà” una banca di queste dimensioni? Pensate che i correntisti sarebbero “garantiti”?

Quanto alla ipotetica remunerazione dei depositi (ipotetica perché attualmente molti depositi sono a tasso zero) la stessa non si configura come la remunerazione di un prestito ricevuto, ma bensì per il fatto che essendo il denaro un bene fungibile, il risparmiatore, di fatto, autorizza la banca presso la quale deposita in semplice custodia il proprio denaro, a prestarlo a terzi, fermo restando il suo diritto di poterlo ritirare in qualunque momento e senza preavviso (a vista!).

Il caso recente delle 4 banche (Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Banca Etruria, Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti) andate in difficoltà e salvate con le modalità note sono un antipasto di quello che potrà accadere con il “Bail In”. Non entro nel merito specifico della questione ma certo è che, per il rapporto di assoluta fiducia che storicamente hanno gli italiani nei confronti della propria banca, nonché della ignoranza di questi nuovi meccanismi sia da parte di alcuni operatori bancari, sia della clientela, si è verificato il casus belli per eccellenza che ha permesso di far salire in superficie la follia di questa normativa.

Scambiare una custodia per un rischio (cioè equiparare il servizio di custodia del proprio denaro ad un investimento nel capitale dell’impresa (azioni) o ad un prestito (obbligazioni) non solo è sbagliato giuridicamente ma è eticamente contestabile e porta ad una sola conseguenza: la sfiducia delle persone nelle banche e, appena si diffonderà la cognizione che i propri soldi non sono al sicuro, al ritiro dei depositi. Esattamente il contrario di quello di cui ci sarebbe bisogno per ridare fiato all’economia. I nostri legislatori europei, dopo che i governi di molti Paesi avevano salvato con soldi pubblici diverse banche (in Germania, in Francia, in Gran Bretagna, in Spagna ed in minima parte in Italia) hanno deciso, a priori, che non si sarebbero più spesi soldi pubblici per salvare le banche perdendo di vista il ruolo fondamentale che le banche hanno nella vita economica e sociale di ogni paese.

Il problema vero è la gestione delle banche, le competenze degli amministratori e l’etica negli affari. La nostra costituzione oltre a garantire la tutela del risparmio prevede infatti che l’esercizio del credito sia disciplinato, coordinato e controllato.

Ebbene il “Bail In”, privatizzando le perdite, ha sancito, di fatto, l’incapacità dell’Europa di coordinare e controllare l’esercizio del credito. Mi auguro che, dopo questi primi casi, peraltro non esaustivi di quello che potrebbe accadere, i legislatori rivedano la normativa vigente apportando quei correttivi che il buon senso – nonché le conseguenze economiche che il perdurare della stessa potrebbe portare –  prima ancora che il contrasto giuridico impongono come assolutamente necessari e riportino il percorso di costruzione europea nel binario di giustizia, etica, solidarietà e sussidiarietà che lo hanno sempre caratterizzato.