Un minidizionario di poco meno di venti voci per capire bene di che si tratta quando abbiamo a che fare con la complessità – e un poco anche cosa bisogna “farci”. Tratto dal contributo di Paolo Cervari al libro Processo alla Complessità (a c.d. Giuseppe Sapienza, LetteredaQALAT) dal titolo “Saperci fare con la complessità: verso le pratiche” di cui abbiamo pubblicato l’introduzione nel N°100 di Caos Management, il Minidizionario procede a una o due voce per volta, pubblicate su vari numeri di Caos Management. Buona lettura.

 

 

Interdipendenza. 

In un sistema complesso le parti sono tra loro interdipendenti e una modificazione in una parte del sistema può causare cambiamenti in diverse altre sue parti, anche “distanti”, ovvero non direttamente collegate tra loro. Tale relazione vale anche per il rapporto tra il tutto e le parti. Così come ricorda Morin “complexus” « significa  ciò che è tessuto insieme; in effetti si ha complessità quando sono inseparabili i diversi elementi di un tutto (…). La complessità è perciò il legame tra l’unità e la molteplicità»[1].

Conseguenze pratiche. Non dimenticarsene: le catene e le retroazioni di interdipendenza possono produrre effetti imprevisti e imprevedibili. Ci vogliono prudenza, attenzione, sperimentazione per piccoli passi e su piccoli pezzi.

Il grande era piccolo.

Un sistema complesso funziona secondo una logica assimilabile a quella evolutiva: produce variazioni, in modo anche casuale o eteroindotto, che a volte si amplificano e a volte, più frequentemente, invece no. Ne consegue che i primi vagiti del mutamento che verrà sono spesso confusi tra mille altri segnali, difficilmente percettibili e, siccome non sorgono da pianificazioni lineari e massive, ovvero dichiarate e note, cominciano ad affermarsi in luoghi poco prevedibili, di regola periferie, minoranze, zone poco importanti o poco conosciute del sistema: quando iniziò la sua parabola ascendente, la minigonna era una delle tante stranezze inventate dalle ragazze di un quartiere periferico di Londra, eppure dilagò nel mondo e divenne un capo di vestiario codificato al pari del blazer o del tailleur.  A volte questa dinamica del piccolo che diventa grande viene descritta col riferimento all’importanza dei “segnali deboli”.

Conseguenze pratiche. Ascoltare (nelle organizzazioni è sempre più in voga l’attuazione di processi di “listening”) e osservare. Fare attenzione alle propagazioni. Cercare di capire quali nuovi fenomeni si stanno evolvendo, strutturando e diffondendo con maggiore velocità e in scala esponenziale, e se si sono sufficientemente stabilizzati da potere avere una propria ben definita identità.

 

Retroazione e costituzione retroattiva del senso.

Esattamente come fa un termostato, l’evoluzione del sistema produce effetti che retroagiscono sulle cause che li hanno prodotti, modificandole a loro volta. Ciò comporta, tra le altre cose, che spesso il significato o il valore di una variabile vengono stabiliti solo in seguito alla sua produzione, come accade di regola per le parole di quasi ogni frase, come per esempio questa. Oppure nella storia di una vita, come ci ha ricordato Steve Jobs nel suo celebre discorso all’Università di Stanford, dove i puntini si uniscono solo “dopo”, e solo “dopo”, pertanto, si determina il senso che avevano “prima”. In effetti è proprio sul piano della costituzione del senso che questo principio evidenzia la sua pervasività e potenza, e si tenga conto che il senso non è una variabile esornativa, ma in quanto identificabile con il valore che viene dato all’informazione, soprattutto nei termini di induzione alla decisione o all’azione, è parte essenziale di qualunque sistema complesso, umano e non. Sia detto en passant, questa caratteristica è coerente e collegata con quella successiva, l’essenzialità dell’incertezza, e con quella, di cui si parla più avanti, importantissima, della rilevanza della storicità.

 

Conseguenze pratiche. Tenere presente che la chiusura del valore di un’informazione non è mai definitiva e per cui lasciare sempre la “porta aperta” a un nuovo senso. Tuttavia, differenziare i livelli gerarchici di chiusura dell’informazione: una frase non è un periodo e un periodo non è un capitolo. Senza dimenticare, tuttavia, che una singola frase può ristrutturare retroattivamente (attraverso il periodo e il capitolo)  un intero romanzo, pur tenendo conto della relativa rarità del fenomeno.

[1]E. Morin, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001, p. 38