Quando dalla foresta-giardino, che anticipa la mia casa e che si affaccia sulla strada,  guardo le case di fronte  sulla via vedo sempre una donna che dietro i vetri  della  sua finestra  gioca con il cellulare.  E ‘ sempre lì’ con gli occhi fissi sullo schermo colorato del  suo telefono,  come se vivesse in piedi in quello spazio, in attesa di uno squillo.
Oggi  ha sollevato lo sguardo e mi ha sorriso.

Ieri  al Telegiornale Regionale hanno parlato del Parco Nazionale del Pollino, dei   bellissimi luoghidel  massiccio Patrimonio dell’Unesco 
Interviste,  parole ufficiali, documenti…e poi  in fondo al foglio di carta intestata  il logo del Parco:  il disegno del pino coricato con la chioma al vento, simbolo del  luogo: grafica di Alfredo Profeta. 
E lui  era lì, le sue mani dentro il tronco, il suo sguardo  nei verdi rami svettanti,  la sua mente nella grande “P” che  vola  verso il cielo. 

Di Peppino Impastato hanno voluto eliminare anche il corpo, non bastava alla mafia e ai suoi mandanti  farlo  tacere, doveva sparire per sempre. L’hanno fatto saltare per aria come un terrorista inesperto.
L’hanno fatto scoppiare come un fuoco d’artificio, frantumandolo  in mille pezzi.
Hanno creduto così di aver vinto, di averlo cancellato dalla faccia del mondo.
Ma i  Peppino Impastato non muoiono  perché sono impavidi, perché sono reali.
Perché sono dalla parte della ragione.  Dopo 40 anni  le loro voci  stracciano il silenzio con un rombo di tuono  un boato di vulcano in eruzione nel miracolo dell’esempio dato.
I Peppino Impastato  vincono sempre.

Mia nipote Libera scroscia parole, un fiume ininterrotto di consonanti e vocali.
Lei canta, lei canta con la voce di  Gilda Mignonette. Lei canta, lei canta con  il corpo di Lina Cavalieri che fa la mossa.

Lei canta, lei canta con le note rauche  di Billie Holiday, lei canta, lei canta una gardenia  bianca tra i capelli.
Lei  é un merlo cantastorie, una Cenerentola chiusa in soffitta, una Regina nel suo regno  incantato.
Lei canta mille donne. Lei canta tutte le donne nella voce.

Quando una Fiat 500 impedì alla nostra Giulietta di passare sullo stretto viale che portava a casa di Uberto a Baia, pensammo fosse in panne. Poi due uomini si avvicinarono agli sportelli anteriori stringendo delle pistole con silenziatore. Dissero ” Siamo delle Brigate Rosse, non muovetevi”
Ci  spinsero dentro, gli uni sugli altri.
In momenti  come questi non è la paura a bloccarti il cuore ma la percezione razionale che stia avvenendo qualcosa di terribile, che il cielo ti stia crollando sulla testa, che è finita.
Ma non è paura, non piangi, non gridi, non  tremi, non chiedi aiuto.
Solo vivi.
La spia dell’istinto ben accesa, e lasci che il momento, l’ora il tempo il sangue continuino a fluire.
Le mani legate e la mente vigile.

Quando arrivò Ciccia, labrador biondo con un fiocco dorato al collo, fu come se tutta la bellezza dell’universo, rappresentata da quel la cucciola di pochi mesi  ancora un po’ spaventata dalla  sua  nuova vita, ci avesse abbracciati.
Alfredo ed io, increduli, sapemmo solo piangere per la gioia di quel dono che ci era stato concesso dopo la malattia di Alfie e la perdita  di Ulisse.
Così è arrivata Ciccia, madre di Betta e Blanche, balsamo della nostra  inquietudine, nostro  cuore battente.

Quando penso a Betta vedo una bambina bionda che mi cammina accanto.
Forse perché cani e bambini sono  il meglio che c’è sulla Terra.
Forse perché hanno lo stesso sguardo nitido sul mondo.

Sono ancora stupita: due attori molto noti travestiti da astronauti, invisibili ad occhio umano se non per le loro tute spaziali, sbattono nel cosmo come palline su di un tavolo da biliardo.
Foglie d’autunno in uno spazio senza gravità. Sandra Bullock, un’Alice trovatasi suo malgrado nella parte di novella  scienziata, non fa che strillare come un maiale morente.
La sua “intensa” interpretazione si avvale di sospiri, lacrime e gridolini di terrore. Un robot asimoviano avrebbe suscitato emozioni più forti  e sarebbe stato più convincente.
“Gravity” il film più imbarazzante di tutti i tempi.

Eccolo! E’ arrivato piccione insolente. Viene a bere acqua da me come fossi oste che mesce vino.
A me piace vederlo sporgersi  sul bordo del secchio rischiando di caderci dentro. Ma non accade.
Spavaldo mi guarda con i suoi occhi pettegoli e vola via.

La neve copre tutto.
Una visione finlandese con il Vesuvio  bianco eretto verso il cielo.
Il giardino splende  nell’algido vestito e fiocchi  grossi come nocciole veleggiano nell’aria verso terra.
La bellezza è un giardino innevato
La felicità un mondo in bianco e nero.

Accendersi la pipa per Alfredo era un dolce rituale, ma gli servivano ambedue le mani.
Così preferì  fumare grossi sigari cubani che gestiva con la sola mano destra.

Il controllo e l’anarchia sono obiettivamente in antitesi. Si fanno battaglia dall’alba del mondo.
C’è chi ha voglia di controllare la vita di chi lotta per la libertà. Spirito libero, cuore anarchico, bracciate controcorrente e c’è sempre qualcuno che cerca di costringere l’altro a smetterla, a rientrare nei ranghi, a pensarla diversamente.
Se si è  pavidi si cede, ma se si ha coraggio si va a fottere il mondo.

Un gattone aspetta che il pescivendolo gli getti gustosi bocconi. Mi rivolge appena lo sguardo quando mi avvicino, poi ritorna serio al suo lavoro di “richiedente cibo”.
Non è un randagio il bel micione benestante: ha  gli occhi sereni e l’anima sorridente.

Asimov descrive robot rivoltosi. Isaac li ama, li comprende, li difende.
E’ il “Gioco della Creazione” che pone di  fronte scienza e  religione.
Isaac crea robot ribelli che disobbediscono agli uomini oppressori e dominatori, creati da un  Dio sconosciuto.

La vita va presa a piccoli sorsi, diceva Alfredo.
Vivi oggi, non spaziare la mente fino a domani. E’ troppo tempo da elaborare, perdi sempre tu.
Sulla sua sedia a rotelle sapeva bene che questa semplice filosofia poteva salvarlo.