Il tema della funzionalità del nostro Stato e, quindi, della sua efficacia ed efficienza è noto e antico. Da molti anni si parla, si discute e si sono anche fatti vari tentativi per riformarlo, aggiornarlo, ammodernarlo, senza purtroppo risultati minimalmente accettabili ed anzi spesso indecorosi per la nostra democrazia.

Certamente il tema e le sue possibili soluzioni sono molto complesse ma ci sono alcuni elementi di sintesi che possiamo analizzare e sui quali si potrebbe concentrare l’ attenzione dei nostri rappresentanti.

Se andiamo a vedere le forme di governo esistenti nel mondo scopriamo che sono molteplici e precisamente:

1) Repubblica Presidenziale con Primo Ministro (Es. Camerun)
2) Repubblica Presidenziale senza Primo ministro (Es. Stati Uniti d’America)
3) Repubblica Semipresidenziale (Es. Russia, Francia, Egitto)
4) Repubblica Direttoriale (Es. Svizzera)
5) Repubblica Parlamentare (Es. Italia, Germania, Austria, India)
6) Repubblica Parlamentare con Sistema Presidenziale (Es. Libano)
7) Monarchia Parlamentare (Es. Canada, Danimarca, Giappone, Regno Unito)
8) Monarchia Costituzionale (Es. Giordania, Kuwait, Marocco)
9) Monarchia Assoluta (Es. Arabia Saudita, Qatar)
10) Teocrazia (Es. Iran, Città del Vaticano)
11) Repubblica Islamica (Es. Afghanistan, Pakistan)
12) Monopartitismo (Es. Cina, Corea del Nord, Cuba, Vietnam)
13) Governo di Transizione (Es. Libia, Thailandia).

Ognuna di esse ha le sue caratteristiche intrinseche ma, da un punto di vista tecnico a  tutela della democrazia se eliminiamo la Monarchia Assoluta, la Teocrazia, il Monopartitismo ed il Governo di Transizione, tutte le forme di governo sono in linea teorica funzionali alla tenuta di uno Stato Democratico.

Se poi andiamo a vedere il Democracy Index *(Indicatore di Democrazia) – indice calcolato dal settimanale The Economist che esamina lo stato della democrazia in 167 paesi; questo viene quantificato da l’Economist Intelligence Unit Index of Democracy che si concentra su cinque categorie generali: processo elettorale e pluralismo, libertà civili, funzione del governo, partecipazione politica e partecipazione culturale; le nazioni sono divise in quattro categorie: “Democrazie complete”, “Democrazie imperfette”, “Regimi Ibridi” e “Regimi autoritari”- scopriamo che, secondo l’indagine del 2017 la Norvegia (che è una monarchia parlamentare) ottiene il risultato più alto con un punteggio di 9.87 su una scala da 0 a 10, mentre la Corea del Nord ottiene il più basso con 1.08. L’Italia con 7.98 ottiene il 21º risultato che la qualifica come una nazione in cui vige una democrazia imperfetta (sono nazioni dove le elezioni sono libere e le libertà civili di base sono rispettate, ma possono avere dei problemi – ad esempio violazione della libertà d’informazione -. Nondimeno, queste nazioni hanno delle significative falle in altri aspetti democratici, inclusi una cultura politica sottosviluppata, bassi livelli di partecipazione nella vita politica, e problemi nel funzionamento del governo).

Le democrazie complete risiedono prevalentemente in Nord America ed Europa Occidentale, e sono le seguenti 19:

1) Norvegia
2) Islanda
3) Svezia
4) Nuova Zelanda
5) Danimarca
6) Irlanda
7) Canada
8) Australia
9) Finlandia
10) Svizzera
11) Paesi Bassi
12) Lussemburgo
13) Germania
14) Regno Unito
15) Austria
16) Mauritius
17) Malta
18) Uruguay
19) Spagna

 Da questo elenco possiamo trarre due prime riflessioni:

  • la prima è che il nostro Paese non compare tra le democrazie complete;
  • la seconda che gli Stati che compaiono in questo elenco hanno forme di governo diverse.

Una prima elaborazione ci porta a concludere quindi che la forma di governo, di per se, non garantisce un elevato indice di democrazia ne, tanto meno, l’efficienza e l’efficacia del suo sistema.

Il rapporto tra democracy Index e forma di governo degli Stati appare disgiunta e senza particolari correlazioni.

C’è poi un’altra riflessione empirica che possiamo fare riguardo all’efficacia e all’efficienza degli Stati. E’ abbastanza noto che gli Stati nei quali vi è un accentramento di poteri negli ultimi anni hanno saputo dare risposte più immediate, anche se non sempre adeguate,  ai molteplici problemi che la complessità della società nella quale viviamo presenta ogni giorno. E mi riferisco sia ai problemi sociali, sia a quelli economici, di ordine pubblico, di politica internazionale.  Se pensiamo alla Russia, agli Stati Uniti, alla Francia, alla Cina, al Regno Unito, nel bene e nel male (nel senso che alcune scelte che hanno fatto o provvedimenti che hanno preso non sempre  sono stati condivisi dalla maggioranza della popolazione o  non sempre hanno portato i risultati previsti) ma certamente sono Stati che, per le loro caratteristiche culturali, politiche e istituzionali (quindi non solo per la forma di governo)  hanno preso e prendono celermente decisioni che influiscono fortemente sui destini di milioni di persone.

Infine c’è ancora un altro fattore che influisce, e non poco, sull’efficacia e l’efficienza dello Stato, anche in questo caso indipendentemente dalla forma di governo. E’ il caso della Germania che, pur essendo una Repubblica Parlamentare e pur avendo un sistema elettorale proporzionale (che come noto non agevola la governabilità) non manca mai agli appuntamenti della Storia e riesce sempre, con tempi e modalità certamente ne celeri, ne semplici a trovare un comune denominatore e a formulare proposte politiche, industriali, sociali, adeguate. L’elemento che consente questi risultati è la matrice culturale! I tedeschi hanno la capacità, che si accentua nei momenti di difficoltà, di  ascoltarsi e confrontarsi e di trovare sempre un punto di mediazione di valore per tutte le parti in causa (win-win). Basti pensare agli accordi industriali tra imprenditori e lavoratori, agli accordi politici tra i diversi partiti per governare il Paese. Questi accordi, contrariamente a ciò che si può pensare o a ciò che avviene in altri Paesi (anche in Italia ad esempio) non trovano il loro punto
d’ incontro nel più basso fattore, ma anzi, riescono a trovare una sintesi di così grande valore che da esso ne deriva spesso un aumento dei fattori complessivi presi in considerazione (es. aumento salariale per i lavoratori con contemporaneo aumento della produttività; oppure governabilità con il partito avversario – grande coalizione – mettendo a fattor comune non le divergenze ma gli interessi generali del Paese per quanto riguarda ad esempio l’economia, il lavoro, l’ambiente, etc.). In altri termini i tedeschi hanno la capacità di fare sistema e di cooperare tra di loro (anche da fazioni diverse) per un interesse più grande i cui benefici vanno a vantaggio di tutti.

Un approccio di questo genere in realtà esiste anche in Italia, solo che non fa parte della cultura nazionale e non appartiene a tutti. In alcuni territori (es. Emilia Romagna, Nord Est)  industrie, università, istituzioni riescono in alcuni settori a mettere in comune competenze e risorse che poi si traducono in distretti industriali, in filiere e quindi facendo sistema riescono ad ottenere dei risultati di cui beneficia l’intera comunità. Sono casi non rari, ma che, come anticipato, non si possono definire di patrimonio nazionale. Altresì assistiamo anche a continui conflitti, politici, istituzionali, economici e sociali in molte altre realtà a livello regionale, provinciale o comunale (addirittura intracomunale in certe situazioni, basti pensare alle contrade, ai rioni che si contendono primati da millenni). Queste Italiche caratteristiche ci hanno spesso fatto definire come il Paese dei Campanili ed il campanilismo, per l’appunto ci caratterizza turisticamente ma certamente non ci aiuta a fare sistema da un punto di vista economico e sociale.

Dunque avendo analizzato quelli che sono i vari fattori: forma di governo, democrazia, cultura cosa potremmo fare per rendere il nostro Stato più efficace ed efficiente?

Una rivisitazione della forma di governo appare auspicabile, ma come abbiamo visto, di per se non garantisce uno Stato che funzioni meglio e, un accentramento di poteri non bilanciato,  potrebbe farci slittare ancora più in giù nell’elenco del democracy index nel quale già oggi non brilliamo.

Ecco allora che la strada percorribile è quasi obbligata se vogliamo salvare la democrazia e rendere più efficace ed efficiente il nostro Paese. Occorre agire sui tre fattori presi in esame contemporaneamente:

1) rivisitare la legge elettorale e la forma di governo, accentrando i poteri operativi, ma salvaguardando i principi di rappresentanza (camera e senato eletti dai cittadini), le tutele (elezione del Capo dello Stato, dei rappresentanti della Corte Costituzionale),  l’ indipendenza degli organi di controllo ( Magistratura) e le minoranze;

2) agire sui fattori per entrare a pieno diritto nell’elenco delle democrazie complete
(ricordo che le Democrazie Complete sono nazioni dove le libertà civili e politiche di base non solo sono rispettate, ma anche rinforzate da una cultura politica che contribuisce alla prosperità dei principi democratici. Queste nazioni hanno un valido sistema di pesi e contrappesi di governo, una magistratura indipendente le cui decisioni vengono imposte, governi che funzionano in maniera adeguata e media che sono diversificati e indipendenti. Queste nazioni hanno problemi limitati nell’ingranaggio democratico);

3) la cultura, come diceva Schein è vasta, profonda e stabile e quindi non è cosa facile modificarla, tanto più se partiamo con l’essere un Paese di campanili. Ma agire affinchè nelle scuole, nelle Università, nelle famiglie e nelle imprese si insegni che mettere a fattor comune le differenze significa fare sistema e fare sistema significa sviluppare il valore complessivo e sviluppare il valore complessivo significa distribuire i benefici che ne derivano, non solo si può, ma si deve. E’ un progetto culturale, forse il più difficile dei tre, ma certamente quello che potrà dare i migliori risultati perchè se restiamo nei nostri campanili senza aprirci, confrontarci e cooperare con quelli degli altri moriremo poveri ed infelici.

NOTA:
 
Metodologia Democracy Index
Come descritto nel report, il democracy index è una media ponderata basata sulle risposte a 60 domande, ognuna delle quali ha due o tre alternative risposte permesse. Molte delle risposte sono “valutate da esperti”; il report non indica il tipo di esperti, né il loro numero, né se gli esperti sono impiegati dal The Economist o ad esempio studiosi indipendenti, né la nazionalità degli esperti. Alcune risposte sono fornite dall’esame dell’opinione pubblica emergente da sondaggi nei rispettivi paesi. “Nel caso di paesi per i quali manchi un sondaggio, questo viene ricavato da paesi simili e la valutazione degli esperti viene usata per chiarire i punti oscuri.”

Le domande sono distribuite nelle cinque categorie sopra indicate. Ogni risposta è pensata per ottenere un risultato di 0 o 1, o 0.5 nel caso le possibili risposte siano tre. Con le eccezioni riportate sotto, il risultato viene sommato per tutte le risposte in una categoria, moltiplicato per 10 e diviso per il numero delle domande della categoria. Ci sono alcuni modificatori, spiegati più precisamente del metodo principale. In alcuni casi una risposta che ottenga 0 invalida un’altra domanda; ad esempio, se le elezioni in una nazione non sono considerate “libere” (domanda 1), allora la domanda successiva, “Le elezioni… eque?” non è considerata, ma automaticamente risulta essere 0. Allo stesso modo, ci sono alcune domande considerate così importanti che un basso punteggio in queste causa una penalità al totale punteggio della loro categoria, riguardanti:
1. “L’equità e la libertà delle elezioni”;
2. “La sicurezza degli elettori”;
3. “L’influenza di poteri o governi stranieri”;
4. “La capacità dei funzionari di attuare modifiche”.

Dagli indici delle cinque categorie, tutti mostrati nel report, viene poi calcolata la media che fornisce il democracy index della nazione. Infine questo decide la classificazione della nazione in questo modo:

  1. Democrazie complete (punteggio di 8-10): sono nazioni dove le libertà civili e politiche di base non solo sono rispettate, ma anche rinforzate da una cultura politica che contribuisce alla prosperità dei principi democratici. Queste nazioni hanno un valido sistema di pesi e contrappesi di governo, una magistratura indipendente le cui decisioni vengono imposte, governi che funzionano in maniera adeguata e media che sono diversificati e indipendenti. Queste nazioni hanno problemi limitati nell’ingranaggio democratico;
  2. Democrazie imperfette (punteggio da 6 a 7.99): sono nazioni dove le elezioni sono libere e le libertà civili di base sono rispettate, ma possono avere dei problemi (ad esempio violazione della libertà d’informazione). Nondimeno, queste nazioni hanno delle significative falle in altri aspetti democratici, inclusi una cultura politica sottosviluppata, bassi livelli di partecipazione nella vita politica, e problemi nel funzionamento del governo.
  3. Regimi ibridi (punteggio da 4 a 5.99): sono nazioni dove avvengono puntualmente significative irregolarità nelle elezioni che non sono quindi libere. Queste nazioni comunemente hanno governi che mettono pressione all’opposizione, una magistratura non indipendente e una corruzione estesa, pressione sui media, debole principio di legalità e falle più pronunciate delle democrazie imperfette nel campo della cultura politica sottosviluppata, bassi livelli di partecipazione politica e problemi nel funzionamento del governo.
  4. Regimi autoritari (punteggio inferiore a 4): sono nazioni dove il pluralismo politico è scomparso o è estremamente limitato. Queste nazioni sono spesso dittature assolute, possono avere qualche istituzione convenzionale propria di una democrazia ma di scarsa rilevanza; le violazioni e gli abusi sulle libertà civili sono all’ordine del giorno, le elezioni (se ci sono) non sono assolutamente libere, i media sono spesso controllati dallo stato o da gruppi associati al regime, la magistratura non è indipendente, la censura è onnipresente e sopprime ogni critica che interessi il governo.

Il report discute anche altri indici di democrazia, come definiti ad esempio da Freedom House, e discute alcune delle scelte compiute dal team di The Economist. Ad esempio, in questo esame è stata data una maggiore enfasi all’opinione pubblica e ai suoi atteggiamenti, misurata da pubblici sondaggi, ma gli standard economici di vita non sono stati considerati un criterio di democrazia (come altre indagini hanno fatto).
Il report è largamente citato da numerose testate giornalistiche e da pubblicazioni accademiche in revisione paritaria.