Io dico che siamo quel che sembriamo e che ci meritiamo i nostri rappresentanti.

 

Quotidiano è il lamento di ciascuno circa i “vizi” dei nostri connazionali. Ci lamentiamo di ogni cosa. E’ ormai da molto tempo diventato lo sport nazionale per eccellenza. Un tempo si diceva che siamo tutti allenatori della nostra nazionale di calcio. Ed oggi potremmo dire che siamo tutti allenatori del popolo italiano ovunque rappresentato. E’ infatti quotidiano il lamento sulle carenze della politica, della cosiddetta classe dirigente, dei comportamenti ora di questo, ora di quell’uomo o donna che abbia una certa responsabilità o notorietà. Ma è anche diventato uno sport nazionale parlare male degli altri indipendente dal ruolo o dal contenuto specifico (il condomino, il vicino, il collega, l’amico, la moglie, l’amante, i figli..). Gli esempi non mancano e potremmo citarne a migliaia ma, sinceramente, ritengo che non ce ne sia bisogno perché è a tutti nota e percepita tale situazione. Ma se questo è ciò che accade nel nostro vivere comune e quotidiano allora io affermo che quel che vediamo nella televisione, quel che leggiamo sui giornali, quel che ci raccontano amici e conoscenti non è un romanzo, non è una telenovela, non è un copione scritto da qualcuno per qualcun altro ma è la pura e vera realtà delle cose. Dobbiamo solo convincerci che siamo quel che sembriamo! Dobbiamo solo prendere atto che la realtà delle cose non è quella che desidereremmo che fosse, ma è esattamente, precisamente, duramente quel che appare. Non c’è mistificazione, non c’è trucco, non ci sono strumentalizzazioni, non c’è ipocrisia. La realtà è quel che appare.

 

E qual è la realtà?

La realtà è quella che alla fermata degli autobus i cittadini italiani aspettano disordinatamente ed altrettanto disordinatamente entrano nell’autobus quando si ferma (si entra e si esce da tutte le porte anteriore, centrale e posteriore)

La realtà è che alla fermata della metropolitana non si attende che le persone escano prima di entrare ma si entra prima facendo spesso uno sforzo fisico enorme

La realtà è che agli incroci pedoni piuttosto che automobilisti si dispongono su linee orizzontali anziché verticali e appena scatta il semaforo sembra che parta una mandria di bisonti a pettine

La realtà è che nessuno si alza negli autobus per far sedere una persona più anziana o malata

La realtà è che i pacchetti di sigarette si gettano usualmente dal finestrino dell’auto

La realtà è vedere spesso 4 vigili urbani ad uno stesso semaforo

La realtà è ascoltare spesso la musica o le grida dei vicini anziché la propria voce

La realtà è entrare in un negozio o ufficio pubblico o privato ed attendere molti minuti prima che qualcuno ti chieda “posso fare qualcosa per lei?”

La realtà è avvicinarsi con molta cautela alle strisce pedonali per paura di essere investiti

La realtà è sorprendersi quando una persona ci saluta o ci ringrazia

La realtà è ascoltare per anni lo stesso ritornello nei telegiornali senza che cambi nulla

La realtà è ascoltare sempre le stesse promesse dei politici senza che accada nulla

La realtà è che mentre si costruisce la nuvola di Fuksas in Cina hanno costruito 3 nuove città

La realtà è……

Ora se questo è il nostro vivere quotidiano, di cosa ci lamentiamo? Dov’è la sorpresa di quel che appare in televisione? Per cosa ci indigniamo? Perché ci sorprende il comportamento ora di questo, ora di quel personaggio o rappresentante del popolo italiano?

Siete mai stati ad un concerto, in una manifestazione sportiva, allo stadio, avete mai preso mezzi pubblici, siete stati ad una manifestazione pubblica? Siete mai stati in mezzo alla gente? Questo è il popolo italiano.

Facciamo dunque un coraggioso atto di coscienza. Assumiamoci le nostre responsabilità. Questo è il popolo italiano, nel bene e nel male. Siamo esattamente ciò che sembriamo e la nostra classe dirigente rappresenta esattamente, perfettamente, specularmente il popolo italiano. Non c’è nulla da recriminare, non ci sono sogni da fare, né altri mondi da evocare. Questa è la realtà!

A questo punto, se la mia analisi fosse condivisa le questioni sulle quali si potrebbe discutere sono due:

La prima è: ci piace questa situazione? La apprezziamo? E’ così che vogliamo vivere e sviluppare la nostra comunità? E’ questa realtà che vogliamo lasciare ai nostri figli? E se la risposta fosse affermativa è evidente che l’approfondimento finirebbe qui ed anzi dovrei chiedere scusa al popolo italiano per aver posto la questione.

Ma se la risposta fosse negativa. No non ci piace, vogliamo modificare questa situazione. Non è questo modello che vogliamo lasciare in eredità ai nostri figli. In questo caso occorrerebbe fare un serio approfondimento che parte dall’analisi della seconda questione: come siamo giunti a questo? Da cosa è dipeso?

 

Come siamo giunti a questo? Da cosa è dipeso?

Non è facile rispondere compiutamente a tale domanda, tantomeno in un articolo, ma a mio avviso hanno ragione tutti coloro che attribuiscono la responsabilità della situazione attuale a quanto accaduto negli ultimi decenni. Perché le motivazioni profonde della crisi attuale non sono a mio modesto avviso né recenti, né economiche, o finanziarie, o istituzionali. Esse sono innanzi tutto etiche, valoriali, culturali, educative.

Se le persone giovani sedute negli autobus non si alzano per far sedere una persona più anziana o malata non dipende da quanto guadagna il padre o la madre; se lo sportellista o il commesso del negozio non assiste tempestivamente un cliente che si presenta nell’agenzia o nel negozio non dipende da quanto pecepisce di stipendio; se i giornalisti che pur della comunicazione ne fanno la loro attività professionale si accavallano nella comunicazione tra di loro, ovvero non lasciano parlare gli interlocutori, ovvero non attendono i tempi tecnici di trasmissione nelle comunicazioni a distanza, non dipende dal loro ruolo sociale; se il politico di turno si appropria a vario titolo di risorse pubbliche non è perché ne ha bisogno; se l’industria nazionale non innova e specula non è perché ……

In altri termini abbiamo consolidato comportamenti che non dipendono dal ruolo sociale, dal reddito o dal grado di istruzione. Io credo che ci debba porre un problema serio di civiltà.

Come volete chiamare i comportamenti suddetti? Come vogliamo chiamare la mancanza vera di solidarietà? Come vogliamo chiamare l’appropriarsi di risorse altrui? A cosa vogliamo attribuire la prassi nazionale di non pagare le tasse? La persona che non lascia parlare un interlocutore come la definireste? Il giovane che non aiuta le persone più anziane come lo appellereste? Il ladro perché ruba? Perché gettiamo la carta (e non solo) per le strade?

Ci potrebbero essere attributi o appellativi diversi da situazione a situazione, da persona a persona in base alle sensibilità individuali. Pertanto per qualcuno molti comportamenti derivano dalla scarsa istruzione, per altri dalla scarsa educazione, per altri ancora dalla bramosia di potere, dall’avidità, etc. etc.

Ma se vogliamo alzare lo sguardo e porci un problema generale che riguarda il popolo italiano e non il comportamento della singola persona dobbiamo porci il problema serio del livello della nostra civiltà che nulla ha a che fare con le crisi economiche o finanziarie e che è la vera causa dei nostri comportamenti.

Il termine civiltà deriva dal latinocivilitas, a sua volta derivato dall’aggettivo civilis, da civis (“cittadino”). In questo ambito indicava dunque l’insieme delle qualità e delle caratteristiche del membro di una comunità cittadina, nel senso di buone maniere cittadine contrapposte a rusticitas la rozzezza degli abitanti della campagna.

Con entrambi i significati il termine passò nella lingua italiana nel Trecento. A partire dal Rinascimento, il significato iniziò ad includere un giudizio di valore, relativo alla superiorità del proprio modo di vita, considerato più progredito, rispetto a quello di altre e differenti culture, sia antiche, sia extraeuropee, la conoscenza delle quali si andava diffondendo in Europa. Avvicinandosi molto al termine di “cultura” cominciò inoltre ad indicare le caratteristiche (idee, valori, tradizioni) proprie di un popolo in un particolare momento della sua storia.

In italiano il termine indica attualmente l’insieme degli aspetti culturali e di organizzazione politica e sociale di una popolazione; un significato affine indica invece lo stadio a cui una certa popolazione si trova in un determinato momento e si collega alla vecchia idea di una continua evoluzione verso forme sempre più alte di progresso sociale e tecnologico. Nel primo significato il termine è quasi sinonimo di “cultura“, nell’accezione riguardante il patrimonio delle realizzazioni artistiche e scientifiche di un popolo in una determinata epoca (in senso antropologico l’insieme delle manifestazioni della vita spirituale e materiale di una comunità). Nel secondo significato invece se ne differenzia tenendo ad assumere un significato più universale, di generale progresso dell’umanità.”

(Da Wikipedia)

 

Ebbene quali sono le nostre idee, valori, tradizioni? Quali vogliamo trasferire ai nostri figli?

Il ladrocinio, la menzogna, l’arroganza, l’autoreferenzialità, il vil denaro o qualche cosa di più nobile?

ll nostro progresso sociale e tecnologico su quali basi deve avvenire?

Perché su molti indicatori del benessere equo e sostenibile non siamo ai primi posti nella classifica mondiale? E soprattutto se siamo fanalino di coda in Europa per gli aspetti economici e finanziari dove pensiamo di trovare le risorse per ripartire?

Un tempo molto lontano si insegnava a scuola “educazione civica”. Non voglio fare retrospettiva ma forse occorre ripartire da lì. Una volta individuati o riscoperti (speriamo che ci siano, magari coperti da una spessa coltre) i valori nobili che hanno fatto dell’Italia un grande Paese del novecento è solo con il buon esempio e con l’insegnamento nelle famiglie prima e nella scuola poi che si potrà innescare un nuovo circolo di comportamenti virtuosi e sviluppare quel sentiment comune che possa portare tutti ad invertire la rotta ovvero ad osservare scrupolosamente (e non ad infrangerle quotidianamente) quei valori, quelle idee e quelle regole.

Il mio invito, augurio e stimolo va a tutte le persone di buon senso della mia generazione (pentiti e non) post sessantottina e, naturalmente, in misura particolare ai giovani che faticano non poco a marciare nella strada che gli abbiamo lasciato piena di menzogne e di…buche valoriali.

Per invertire la rotta non occorre un decreto legge, non serve attendere (abbiamo atteso invano fino ad oggi) le riforme istituzionali, cominciamo con i piccoli ma significativi comportamenti quotidiani. Iniziamo con soccorrere chi ha più bisogno, attendiamo il nostro turno quando ci troviamo dietro ad altre persone che aspettano, proviamo a gettare il pacchetto di sigarette in un cestino, proviamo a salutare il vicino invece di distogliere lo sguardo, spendiamo i soldi che guadagnamo con il nostro lavoro e non quello altrui. Vi sembra difficile? Vi sembra inutile? Ebbene la cultura, affermava Schein sono “gli assunti acquisiti, condivisi e taciti su cui la gente basa il proprio comportamento quotidiano” e solo il comportamento reiterato nel tempo delle persone genera questi assunti. Quindi se sempre più persone rispettassero la “coda agli sportelli” vedrete che in un lasso temporale di medio periodo l’attuale prassi nazionale di “saltare le code” verrebbe meno, sarebbe annullata e dimenticata. La migliore “legge”, è l’esempio che induce i comportamenti virtuosi e la migliore sanzione è quella del controllo sociale, cosa che i Paesi, al momento più evoluti e civili del nostro, hanno compreso ed applicato da tempo.

Non trinceriamoci per l’ennesima volta dietro la convinzione che “ma cosa vuoi che faccia da solo!”, “ cosa volete che conti il mio comportamento rispetto alla massa, rispetto alle bad practice nazionali!”. Ebbene, per coloro che la pensano così invito a riflettere sul fatto che la storia dell’umanità è piena di testimonianze di singoli uomini e donne che hanno inciso non poco nell’evoluzione della stessa. Trincerarsi dietro tale affermazione è spesso un alibi per non affrontare i problemi e per non assumersi le proprie responsabilità civili. Di questo purtroppo siamo pieni ma i risultati di tali comportamenti sono sotto gli occhi di tutti. Se vogliamo continuare così lasceremo certamente un segno indelebile nella nostra storia e…ai posteri l’ardua sentenza.