A differenza dei rapporti precedenti, che spiegavano come avvengono i cambiamenti climatici e prestavano raccomandazioni ai governi, l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite, la massima autorità mondiale in materia, si limita interamente ad esporre le basi scientifiche del fenomeno e delle previsioni future. Una sintesi del rapporto, che appare a sei anni di distanza dal precedente, è stato presentato a Stoccolma lo scorso 27 settembre. I 259 scienziati provenienti da 39 Paesi, che hanno redatto l’intero rapporto, si dicono più che mai convinti che non vi siano più dubbi sul “global warming” e ne attribuiscono la causa principale per i passati 60 anni agli esseri umani per effetto delle emissioni dei gas serra prodotte dalla bruciatura dei combustibili fossili. Gli scienziati concludono che, a seconda dei tassi delle future emissioni, potrebbero verificarsi i seguenti cambiamenti:

  • le temperature di superficie globali potrebbero salire entro le ultime due decadi di questo secolo da uno a 3,7 gradi centigradi rispetto al livello medio delle temperature nel periodo 1986-2005.
  • i livelli del mare, già in corso di inconsueta accelerazione, potrebbero salire fra 0,5 metri e 0,9 metri entro il 2100.
  • le ondate di calore potrebbero diventare più frequenti e durare più a lungo in gran parte del mondo, mentre in alcune aree si avrebbe una intensificazione dei fenomeni temporaleschi e degli uragani.
  • i ghiacci dell’Artico nel periodo estivo, che negli ultimi 30 anni sono diminuiti più velocemente che nei 2000 anni precedenti, potrebbero scomparire del tutto prima della metà di questo secolo.
  • l’estensione e il volume dei ghiacci dell’Antartide potrebbero restringersi entro la fine di questo secolo.

Prudentemente gli scienziati hanno usato il condizionale ed abbassato i tassi dei cambiamenti climatici anche per rivedere e correggere alcune affrettate previsioni del precedente rapporto del 2007, che hanno suscitato un frastuono di critiche da parte degli scettici del “global warming”. Nel rapporto del 2007 si diceva che le temperature di superficie del globo sarebbero aumentate nei successivi 20 anni di circa 0,2 gradi centigradi ogni dieci anni. In realtà, l’aumento è stato di 0,05 gradi centigradi a partire dal 1998, anno in cui la temperatura globale ha segnato il picco per effetto del fenomeno anomalo del Niño. Ciò in contrasto con il fatto che nei 15 anni trascorsi dal 1998 ad oggi si è registrato un forte aumento delle emissioni di diossido di carbonio (CO2) che sono, come è noto, la causa maggiore del riscaldamento. Nel loro ultimo rapporto gli scienziati sostengono che la “pausa” nella crescita prevista del tasso di riscaldamento decennale può essere spiegata in parte dai cambiamenti che si verificano nel sistema climatico, come la ridistribuzione del calore negli oceani, e con altri fattori, come i gas prodotti dalle eruzioni vulcaniche che possono riflettere le radiazioni nello spazio ed avere così un effetto raffreddante sulla Terra. Aggiungono che, sebbene i modelli computerizzati usati per le proiezioni future dei cambiamenti climatici siano notevolmente migliorati, alcuni possono avere sovraestimato la risposta del clima alle accresciute concentrazioni di gas con effetto serra. In ogni caso, essi dicono, il periodo di 15 anni durante il quale la pausa si è verificata è troppo breve per poter formulare un giudizio preciso. Ancora maggiore resistenza ha incontrato nel mondo scientifico l’affermazione nel rapporto del 2007 che i ghiacciai dell’Himalaya si sarebbero completamente sciolti entro il 2035. Il direttore del Panel, l’indiano Rachendra Pachauri, del quale a suo tempo erano state chieste le dimissioni, ha ammesso l’errore, che non dovrebbe comunque portare a sottovalutare i rischi posti nei prossimi 22 anni dal ritiro dei ghiacciai che alimentano i fiumi e danno acqua ad alcune delle regioni più densamente popolate del sud dell’Asia e della Cina. E’ un fatto – ha aggiunto Pachauri – che i ghiacciai si stanno sciogliendo in tutto il globo, Himalaya compreso, ed è della velocità scientificamente misurabile con cui avviene il ritiro che occorre preoccuparsi.

Il compito degli estensori del rapporto è appunto di indicare i fatti, ovvero le linee di fondo, dei mutamenti climatici, in base ai quali i governi dovranno assumere le decisioni di politica ambientale. E’ un fatto che negli ultimi 40 anni la temperatura della fascia superiore degli oceani (fino a una profondità di 75 metri) è salita di 0,1 gradi centigradi ogni 10 anni e che non vi è alcun segno di rallentamento; che il livello dei mari è salito di 19 cm nell’ultimo secolo per effetto del riscaldamento che ha provocato lo scioglimento dei ghiacciai e l’aumento della massa acquea; che i ghiacciai dell’Artico si sono ridotti di circa 500.000 km quadrati ogni 10 anni a partire dal 1979. Gli scostamenti e la pausa del tasso di riscaldamento, come quella che si è verificata nei 15 anni dal 1998 al 2013, per i quali non è ancora possibile fornire spiegazioni scientifiche esaurienti, riguardano il come e non il se del cambio climatico.

Il rapporto del 2013 vincola i 200 Paesi aderenti all’Intergovernmental Panel on Climate Change a rinnovati sforzi per tagliare le emissioni di diossido di carbonio. Un segno incoraggiante in questa direzione è stato l’accordo bilaterale sottoscritto nel luglio scorso da Stati Uniti e Cina per ridurre le emissioni di carbone generate dai veicoli di trasporto pesanti e dagli impianti che fanno uso di carbone per produrre energia. Vanno invece in senso contrario i sussidi dell’Unione Europea per la produzione di energia foto-voltaica ed eolica che, oltre ad essere assai costosi, fanno ben poco per ridurre le emissioni. Le conclusioni del Panel figurano nell’agenda dei colloqui sul clima che avranno luogo a Varsavia nel prossimo mese, ove i Paesi saranno chiamati a discutere la forma di una intesa internazionale per il controllo dei cambiamenti climatici che dovrebbe essere finalizzata nel Summit di Parigi del 2015. L’auspicio è che in questa ultima sede l’esempio delle due massime potenze economiche mondiali, Stati Uniti e Cina, induca anche l’Europa a mutare atteggiamento e allargare così il consenso globale nella lotta al “global warming”.