La chiusura del cerchio.
Secondo l’etimologia lavoro significa fatica dal latino labor. In altre lingue si parla di travaglio (trabajo in spagnolo e travail in francese, per esempio) dal latino tripalium che è uno strumento di tortura.
Anche travel (viaggio in inglese) ha la stessa origine. Ma questo è un altro discorso. Se ci fermassimo quindi all’etimologia sembrerebbe quasi masochismo la richiesta di lavoro tanto attuale. Nel nostro sistema economico/sociale però lavorare vuol dire occupare il tempo nel fare qualcosa di produttivo, traendone un vantaggio generalmente economico.
Nei secoli, anzi nei millenni per quello che conosciamo, l’umanità ha attraversato molte trasformazioni per quanto riguarda il lavoro. Nelle varie rivoluzioni molti lavori e mestieri sono scomparsi e molti ne sono stati creati. Tutte le rivoluzioni hanno avuto origine da scoperte ed invenzioni in campo scientifico e tecnologico. Le scoperte ed invenzioni hanno comportato radicali trasformazioni in campo economico e sociale. E queste trasformazioni sono avvenute in maniera sempre più veloce. Basta pensare a quelle che si definiscono prima e seconda rivoluzione industriale.
La prima rivoluzione industriale concerne il settore tessile, metallurgico ed estrattivo, e l’applicazione della macchina a vapore. La macchina a vapore, perfezionata da Watt, provocò un cambiamento epocale e permise all’uomo di svincolarsi dalla fatica fisica con un mezzo in grado di fornire, con continuità, potenza e lavoro meccanico. La macchina a vapore fu usata per le pompe idriche nelle miniere e per i telai tessili, e trasformò radicalmente tutti gli aspetti della vita economica e sociale, dalla produzione di beni ai trasporti.
La seconda rivoluzione industriale (1870 circa) concerne l’elettricità, la chimica e il petrolio.
Le innovazioni tecnologiche coinvolsero i settori agricolo e manifatturiero, la produzione dell’acciaio, il cemento armato, fertilizzanti, analgesici, la costruzione di centrali elettriche, l’illuminazione delle città. Molte scoperte ed innovazioni nel campo dei trasporti via terra e via mare, nelle comunicazioni, nel campo della medicina fra la fine del XVII secolo e il XX secolo la speranza di vita è passata dai 35 ai 75 anni. Sarebbe inutile e ridondante elencare gli effetti socio/economici radicali di queste due rivoluzioni.
Convenzionalmente si indica il 1970 come data di inizio di una terza rivoluzione industriale. Introduzione dell’elettronica, delle telecomunicazioni e dell’informatica. In poco più di quarant’anni stiamo assistendo ad un’influenza nella vita economica e sociale assolutamente radicale. E gli sviluppi e le applicazioni che verranno, e che stanno avvenendo con una velocità impressionante, ci fanno prevedere a breve ancora più radicali cambiamenti. La quantistica, le nanotecnologie e la robotica elimineranno sempre più il lavoro come fatica e travaglio. Fisica quantistica e nanotecnologie offrono dei potenziali enormi e sono già attuali applicazioni in psicocinesi e personal fabricator. La robotica ha già modificato molto della nostra vita.
Diciamolo chiaro: il lavoro non ci sarà più, almeno non per tutti e solo per una piccolissima minoranza. Le macchine faranno il lavoro per noi e da sole costruiranno altre macchine ancora più efficienti. E questo senza le paure di “Io, robot”, il film tratto dal racconto di Isaac Asimov.
Delle tre così definite rivoluzioni industriali si sa quasi tutto e ci sono intere biblioteche che le definiscono con le influenze che hanno avuto ed avranno nel sistema socio economico. Si tratta in fondo di mutamenti avvenuti solo centinaia di anni fa.
Una rivoluzione invece avvenuta diverse migliaia di anni fa (10-12000 anni a.c.) deve essere considerata effettivamente fondamentale per l’intera umanità: la rivoluzione agricola.
“Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita.” Genesi 3,17.
Potremmo dire che l’adozione dell’agricoltura fu il peggior errore nella storia della razza umana.
I miti e le leggende su questa trasformazione epocale da uomo raccoglitore e cacciatore, sempre in movimento, a coltivatore agricolo, stanziale, sono moltissime. Miti e leggende molto simili da tutte le parti del mondo, dai Maya ai Sumeri, dagli Inca del Sud America con Inti dio del sole che invia i suoi figli agli uomini del lago Titicaca per civilizzarli alla dea cinese Guan Yin che col suo latte fece crescere e fecondò il grano ed il riso, senza dimenticare le leggende delle religioni monoteista. Oggi noi possiamo dire che l’abbandono della raccolta e della caccia, la “domesticazione” di animali e piante, con la creazione di nuove piante ed animali (pensare che oggi esistano ancora cibi naturali, animali o vegetali, non è corretto, ma questa è ancora un’altra storia) segnò il primo passo verso la civilizzazione, con tutte le conseguenze.
Alcuni antropologi hanno avuto la possibilità di vivere per un certo tempo con gruppi di cacciatori raccoglitori superstiti. I boscimani Kung del Kalahara (tra Botswana e Zimbabwe) vivono ancora in era pre-agricola. Per la raccolta del cibo per una settimana impiegano in media un giorno e mezzo. I nomadi Hazda della Tanzania un giorno. In pratica lavorano in media due giorni alla settimana e hanno un week-end di cinque giorni. I cacciatori raccoglitori non hanno il senso della proprietà, anche perché dovendosi muovere frequentemente non possono trasportare molte cose.
Ecco, per concludere, quando le macchine, i robot, potranno produrre tutto quello che ci serve gli uomini saranno in grado di ridiventare raccoglitori. Abolire il lavoro (il travaglio) e fare in modo che il lavoro permetta di realizzare la propria natura potenziale, portando a termine compiti etici che possano fornire un beneficio morale a se stessi e all’ambiente sociale. E così chiudere il cerchio.