Fra mito e disillusione

 

Il contributo offerto sul tema nasce dall’esperienza maturata con le aziende clienti nella gestione dei programmi per gli high potential nonché di alcune iniziative volte allo sviluppo dell’internazionalizzazione, che chi hanno permesso e ci permettono di entrare in relazione con giovani che hanno già fatto o stanno compiendo esperienze d lavoro in Europa. 

Sicuramente stiamo parlando di una generazione priva di quegli ideali di Schumann, Adenauer, De Gasperi e non ne possiamo fare loro una colpa visto che i padri fondatori dell’UE non hanno avuto in Italia (ma neanche negli altri Paesi!) leader politici capaci di coltivare e sviluppare un approccio europeo; anzi se poi si sono alternati movimenti decisamente antieuropeisti e xenofobi lo si deve proprio a questa desolante mancanza di idealità politica. Per rimanere fedeli alla premessa metodologica, quello che emerge, soprattutto nelle forme strutturale di assessment è una generazione che guarda all’Europa con un atteggiamento utilitaristico come luogo di lavoro. 

Non dimentichiamo che il campione di riferimento è composto da giovani, nati tra il 1980 ed il 1995 la così detta Generation Y, che hanno fatto magari l’Erasmus, hanno una conoscenza delle lingue straniere (inglese, spagnolo, francese ma anche tedesco) decisamente superiore a quella che era la media di soli dieci anni fa, hanno sperimentato come la preparazione ricevuta nelle università italiane (nonostante che non compaiono ai primi posti delle periodiche classifiche stilate) sia molto più solida del comune sentire. 

Sono giovani che hanno sperimentato però difficoltà nel muoversi in organizzazioni complesse, nel sapersi adeguare alla logica del team, nel costruire e nel gestire i network. 

Difficoltà superati grazie sia ad una capacità di problem solving (e di creatività) superiore alla media dei loro coetanei sia alla prudenza che scatta ogni qual volta si va all’estero con la consapevolezza di dover affrontare tanti luoghi comuni sull’Italia. 

Atteggiamento questo che ho poi portato molti giovani ad avere successo e ad essere apprezzati. Il problema è quello di come favorire e pilotare il rientro di questi giovani. Stiamo correndo, se guardiamo la percentuale di disoccupazione giovanile, il rischio di perdere una (e forse più generazione di giovani ma anche il rischio di non riuscire più ad attrarre talenti!