Disoccupazione strutturale

La disoccupazione strutturale è una forma duratura di disoccupazione, causata da profondi cambiamenti nell’economia. Le cause della disoccupazione strutturale possono essere diverse: i lavoratori hanno scarse competenze rispetto a quelle richieste, vivono geograficamente troppo lontano rispetto alla disponibilità di occupazione. Oppure, semplicemente non vogliono lavorare perché i salari hanno raggiunto livelli eccessivamente bassi.                       

Dunque, nonostante esistano posti di lavoro disponibili, c’è un divario tra ciò che cercano le aziende e quello che offrono i lavoratori. Infine, la disoccupazione strutturale è esacerbata da fattori esterni come la tecnologia, la competitività e le politiche nazionali. La disoccupazione strutturale può durare per decenni e richiede spesso interventi radicali a livello legislativo (da Wikipedia).

 

Douglas McGregor: Teoria X e teoria Y 

Douglas McGregor tratta l’aspetto umano delle organizzazioni ed elabora un modello basato su due alternative su come gestire il lavoratore e il modo di lavorare. Egli individua due tipi fondamentali che sintetizzano le modalità di gestione delle risorse umane e che denomina Teoria X e Teoria Y.

 

La teoria X

La Teoria X, che riassume l’approccio tradizionale ai problemi di gestione delle risorse umane e che Douglas McGregor ritiene maggiormente diffusa nelle pratiche manageriali del periodo considerato si basa su alcuni ben identificati presupposti:

  1. L’uomo medio ha un’evidente ripugnanza per il lavoro e, se possibile, ne fa volentieri a meno. In base a questa considerazione i dirigenti si preoccupano di porre l’accento sulla produttività del lavoro, sui danni di un basso rendimento, sulla riduzione della produzione e sui premi di produzione, in breve la direzione deve fare di tutto per opporsi alla tendenza connessa alla natura umana di evitare il lavoro.
  2. A causa della caratteristica umana di detestare il lavoro, la maggior parte delle persone deve essere costretta, controllata, comandata, minacciata di punizioni, allo scopo di far si che realizzi uno sforzo adeguato per il conseguimento degli obiettivi dell’organizzazione. La ripugnanza per il lavoro è così forte che neanche la promessa di un’adeguata ricompensa può essere sufficiente a superarla. Solo la minaccia di punizioni otterrà l’effetto voluto. Conseguenza di questo atteggiamento è una tendenza alla centralizzazione del potere.

L’uomo medio preferisce essere diretto, cerca di evitare la responsabilità, ha ambizioni relativamente scarse, desidera sopra ogni cosa la sicurezza (da Il giornale delle PMI).

Secondo l’etimologia lavoro significa fatica dal latino labor. In altre lingue si parla di travaglio (trabajo in spagnolo e travail in francese, per esempio) dal latino tripalium che è  uno strumento di tortura.

Anche travel (viaggio in inglese) ha la stessa origine. Ma questo è un altro discorso. Se ci fermassimo quindi all’etimologia sembrerebbe quasi masochismo la richiesta di lavoro tanto attuale. Nel nostro sistema economico/sociale però lavorare vuol dire occupare il tempo nel fare qualcosa di produttivo, traendone un vantaggio generalmente economico (da Il Caos Management).

 

Quando ho iniziato a lavorare “ufficialmente” (Olivetti, 1965) si usava ancora la carta carbone ed il bianchetto e per comunicare c’era solo il telefono e la telescrivente. E’ vero che avevo potuto usufruire del calcolatore a valvole Elea ma la mia tesi era stata battuta da mia madre su una macchina da scrivere meccanica Olivetti Studio 44 che possiedo ancora funzionante. La rivoluzione IT faceva i primi passi con l’introduzione in fabbrica del computer e delle macchine a controllo numerico computerizzato CNC. Questa tecnologia permette di dare istruzioni ad una macchina su come gestire operazioni di produzione e assemblaggio. L’introduzione di questa tecnologia fu dunque il primo passo per la costante sostituzione del lavoro umano con la gestione computerizzata. I macchinari a CNC segnavano l’emancipazione dal lavoro umano (Arthur D. Little). Intanto la produttività aumentava e le belle menti (famosi economisti) erano convinte che una maggiore produttività determina crescita occupazionale. Ed eravamo in epoca pre internet. Ma ecco il paradosso: aumento di produttività determina contrazione della manodopera.

E’ ormai acquisito il concetto che si può produrre di più con costi minori e un minore numero di addetti. Non c’è alcun bisogno di fare riferimento e riportare complesse tabelle statistiche. In tutto il mondo ci si sta avviando verso la fabbrica senza umani. In gergo si parla di produzione lights-out (a luci spente).

Il  fatto è che tutto questo sta avvenendo sotto i nostri occhi ad una velocità che prima d’ora non era immaginabile. Negli ultimi trenta anni c’è stata una forte diminuzione del lavoro tradizionale ed una modifica sostanziale del mercato del lavoro. Internet, Big Data, digitalizzazione industriale, Internet delle Cose, Intelligenza Artificiale, Robots stanno cambiando il mondo in maniera radicale e a grande velocità. La previsione è che nei prossimi venti anni il 50% della forza lavoro umana scomparirà. 

D’altra parte David Ricardo (The Principles of Political Economy and Taxation in 1821) sostiene che la sostituzione dei lavoratori con le macchine può rendere la popolazione ridondante e John Maynard Keynes predisse che una diffusa disoccupazione tecnologica avrà come risultato per il genere umano di non riuscire a trovare nuovi impieghi sufficienti per il suo lavoro. E non stiamo parlando solo di fabbriche. Jeremy Rifkin (La società a costo marginale zero) afferma che anche i lavoratori della conoscenza sono a rischio.

E’ l’innovazione scientifica e tecnologica, bellezza! Verrebbe da dire.

Intanto un nuovo trend si sta sviluppando sotto i nostri occhi: la geografia è diventata un dettaglio. L’economia digitale permette a tutti, e con costi sempre più bassi, di comunicare con il mondo intero e di raggiungere nuovi consumatori. Questo permette, e permetterà sempre più, un fiorire di un artigianato diffuso e quindi uno sviluppo del self employment. Sembra quindi evidente, e studi recenti lo confermano, che più l’economia va verso la digitalizzazione più il self employment diventa normale. 

Altro trend importante è lo sviluppo inarrestabile della sharing economy. Ci stiamo finalmente convincendo che è molto più conveniente condividere che possedere.

In un saggio intitolato 1932 Elogio dell’ozio, Bertrand Russell sosteneva che una giornata lavorativa più corta permetterebbe alle persone di godere di “necessità ed elementari comodità della vita”. Secondo John Maynard Keynes il progresso tecnologico ci permette di raggiungere questo obiettivo. Il problema da risolvere sarà su come utilizzeremo il tempo libero dal lavoro.

“L’impulso fondamentale che definisce e mantiene in moto il motore del capitalismo deriva dalle merci dei nuovi consumatori, i nuovi metodi di produzione o di trasporto, i nuovi mercati … [Questo processo] rivoluziona incessantemente la struttura economica dall’interno, incessantemente distruggendo il vecchio, creando incessantemente uno nuovo. Questo processo di distruzione creativa è il fatto essenziale del capitalismo.” (Schumpeter 1942).

 

L’era digitale può essere più dirompente delle rivoluzioni precedenti in quanto sta accadendo più velocemente e sta cambiando radicalmente il nostro modo di vivere e lavorare.

Tutto questo dovrebbe ispirare i politici di tutto il mondo, ed i nostri in particolare, a vantaggio delle future generazioni, invece di concentrarsi sulle elezioni del prossimo mese. Ma per fare questo ci sarebbe bisogno di statisti visionari. E non se ne vedono all’orizzonte.

 

Conferenza dei Presidenti dei Parlamenti dell’Unione europea, che si è tenuta nell’Aula di Montecitorio, il 20 e 21 aprile.

La sessione dedicata all'”Europa oltre la crisi” è stata aperta dall’economista Usa Jeremy Rifkin.

http://youtu.be/RJCqWu7MHAU

 

Conference of Presidents of Parliaments of the European Union, which was held in the Hall of the House, on 20 and 21 April.

The session dedicated to ‘”Europe beyond the crisis” was opened by the economist Jeremy Rifkin.

http://youtu.be/vf1chkcgZi4