(In memoria di una legge tradita)

C’era una volta…
Un re – direte subito voi, miei  cari lettori.
No, avete sbagliato…c’era una volta una coppia gay.
Mastr’Antonio e  Mastro Geppetto, due uomini non più giovani,  che convivono da anni.
Mastr’Antonio, conosciuto meglio come Mastro Ciliegia per il suo naso rosso e grosso da avvinazzato, Cherry per  Geppetto,  si occupa di legname per il camino, bei ciocchi robusti di quercia, frassino e betulla.
Geppy, come lo chiama  affettuosamente Ciliegia,  invece è un falegname.
Un giorno i due decidono di avere un figlio, per loro è  importante essere genitori, è cosa necessaria per sentirsi veramente una famiglia e cercare di ricomporre  guasti e dissidi.
Cherry mette il seme, un bel pezzo di legno da ardere, Geppy l’utero e il ventre, gli arnesi per intagliare.
Così  viene al mondo un burattino di nome Pinocchio, per volontà di due persone che si amano.
Pinocchio è un bambino di legno, è un bambino diverso, non è di carne e sangue, ma di trucioli e segatura.
Il Padre Seme però, come molti padri, non ne vuole sapere più nulla e se la svigna, lasciando al Padre Utero il piacere di nutrire ed educare il bimbo.
La diversità di Pinocchio presto si fa notare. E’ uno spirito libero, è ribelle, è simpatico, non ama i luoghi chiusi e lo studio. Non ha paura di nulla e si ficca in guai e pericoli di ogni tipo. E’ intelligente e fantasioso.
Purtuttavia… Padre Geppetto vuole che la sua diversità si normalizzi.
Nonostante le sue scelte di vita  vuole un bambino di carne, non un  tronco d’albero.
E’ questo il desiderio di ogni padre. Che il proprio figlio non soffra.
Eppure a Pinocchio nessuno fa sconti. Per le sue evidenti differenze viene sottoposto a prove difficili e crudeli.
E’ attraverso punizioni, abusi, ricatti che a Pinocchio si aprirà la via della normalizzazione.
Il suo corpo si fa carne e sangue: l’omologazione è compiuta.
Questo “divertissement” vuol rassicurare chi ha paura per la vita di un figlio di coppie omosessuali.
Crescerà proprio come tutti gli altri bambini.
C’è poi la storia di un tal Yesua’, ragazzo ebreo che un padre putativo considera suo proprio figlio,
pur se figliastro;  frutto del ventre di sua moglie ancora minorenne. Lei non ha mai rivelato il nome di chi l’ha ingravidata. Ha sempre affermato essere un soffio di vento, un raggio di luce, un canto struggente. Ma la  provata verginità di questa fanciulla  fa pensare a un “utero in affitto”.
Anche Yesua’ è un diverso: un anarchico, un rivoluzionario, un visionario, un puro genio.
E finisce inchiodato sulla croce.  La diversità, quella vera non paga. E’ un Calvario.
Pinocchio ha ceduto per amore, Yesua’ per  un ideale.
Ho imparato ad amare Giannino, mio padre, da adulta, quando gli ho mostrato il mio cuore e il mio cervello perché  potesse finalmente fidarsi di me. E lui lo ha fatto!
Fiducia è  la prima parola, rispetto la seconda.
Una figlia adolescente, una figlia adolescente ribelle, una figlia adolescente che fugge di casa perché non amata.
Una figlia adolescente che ti disprezza, una figlia adolescente che non  riconosce in te un uomo da stimare.
Come può un padre sopportare tutto questo? Un padre, sì,  assente, mai coinvolto, critico e imbarazzato. Un padre che non comprende, che non sa vedere. Che distoglie lo sguardo, disinteressandosi.
Ho ritrovato il padre “perduto” con la forza di una speleologa sprofondata in un abisso.
La figura paterna, è considerata meno importante di quella materna. Gli sciocchi  pensano che sia solo un bancomat.
Il mestiere di madre è quello di amare, nelle varie e vaste forme dell’amore. Il lavoro del padre è trasmettere una identità, un valore su cui giocarsi la vita.
Quando un figlio maschio considera il proprio padre  un perdente, oppresso dalla necessità di far soldi per nutrire, vestire e allietare la vita di  moglie e figli, quando questo figlio sa che il padre amerebbe vivere d’arte, di musica, di bellezza  non può perdonargli l’aver scelto il nulla…. .
Il padre di Alfredo era un musicista divenuto bottegaio per aver dilapidato una fortuna.
Un uomo così non è più un padre, non è più un marito perché ha deluso tutti. Alfredo avrebbe voluto un gesto di  ribellione, avrebbe voluto un anelito di dignità, il coraggio dell’orgoglio. Giacomino, suo padre, era stato un giovane ricco, pieno di passioni e desideri. La sua lussuosa automobile era una delle poche che circolavano a Napoli in quei lontani giorni di inizio secolo. E la moglie ne andava orgogliosa.
Dopo il fallimento la loro vita si è stretta in un continuo rigurgito di rabbia. Il corpo creativo, rivoluzionario, colto, incredulo del piccolo Alfredo si è contratto dentro abiti troppo angusti.
Creando anfratti e tane in cui  nascondersi per leggere,  pensare,  analizzare,  guardare dentro le cose. Scomporre la realtà.
Così la sua voglia di paternità si è spenta. Di fronte alla consapevolezza di una possibile inadeguatezza. Come si fa a decidere di mettere al mondo una persona, se poi non riesci a renderla “felice”?
Per le stesse ragioni mio nipote, chiusosi in un mondo interiore, ironico, sarcastico, estraneo ha voluto  affrancare la figura paterna diventando a sua volta il genitore coraggioso, coinvolgente, amorevole di cui un figlio ha bisogno. Riscattarsi e diventare finalmente “uomo” in nome di una genitorialità fortemente e giustamente consapevole.
Un figlio ha solo bisogno di venir riconosciuto come persona, di guardare dentro la vita senza
paura di ciò che potrà vedere. Incontrare lo sguardo dei suoi genitori, di qualunque sesso siano, e
riconoscersi.
Non è cosa difficile, non è cosa impossibile.