L’invenzione della stampa a caratteri mobili in Occidente fu un progetto imprenditoriale in un contesto d’innovazione tecnologica

Gutenberg: Founder, Coder, Maker, di Leo Sorge
Da non perdere: startup in cinque punti
Punto 0: la storia pregressa
Punto 1: l’idea, Kunst und Aventur
Punto 2: la valutazione del mercato
Punto 3: il modello di business
Punto 4: gli user’s needs/il prototipo/l’Mvp
Punto 5: la selezione del team
Punto 6: il business plan? È fantascienza!
Punto 7: fare pivoting (Das Werck der Bucher)


 

Gutenberg: Founder, Coder, Maker è un romanzo storico a forte componente fantastica sul cambiamento epocale che attraversa il mondo durante una fase di transizione tecnologica.
La vera storia di Gutenberg, inventore della stampa a caratteri mobili in Occidente, è usata come base per mostrare l’Europa che stava cambiando dalla superstizione medievale alla Rinascita, passando anche per la scoperta del Nuovo Mondo.
L’attenzione alle fonti è mantenuta alta anche negli aspetti culinari.

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Da non perdere: startup in cinque punti
Aprire un’attività in un contesto di innovazione tecnologica presenta grosso modo sempre le stesse sfide. L’operato di Johannes Gutenberg nello sviluppare la stampa a caratteri mobili all’europea segue la stessa strada delle cosiddette startup d’oggi.
Vediamolo per sommi capi. Una delle semplificazioni correnti per pianificare l’attività richiede la considerazione di cinque punti:

1) Idea
2) Mercato (clienti e concorrenti)
3) Bizmodel (entrate ed investimenti; scalabilità)
4) User’s need/Prototipo/Mvp
5) Team

Questo schema è troppo semplice per qualsiasi impiego, in quanto punta sul successo di un’idea qualsiasi, anche della prima idea, realizzata dal primo team. Questa è un’idea romantica, legata al sogno americano, ovvero dall’exploit, bellissimo ed irripetibile e che lascia dietro di sé troppe vittime d’insuccesso. Ecco perché esiste un punto zero.

Punto 0: la storia pregressa
In realtà, infatti, l’esperienza mostra che il successo arriva dopo che tutti i membri del team hanno già sperimentato più d’un insuccesso. In termini tecnici si parla di pivoting, ovvero della sterzata che un’attività ha mentre passa da idea a realizzazione. In genere un’idea teorica nella pratica non funziona e ci sono due possibilità, il fallimento o la rifocalizzazione. Nel primo caso l’Europa ha sempre pensato ai falliti come a dei rejetti e non come a persone che hanno molta esperienza valida, com’è nel mondo anglosassone. Recentemente però la percentuale di europei che comprende l’altra visione è molto aumentato.

Nella rifocalizzazione si prende la parte buona, la si isola, la si ripensa come unità a sé stante, quindi si usa l’esperienza fatta con l’idea originale per far perno (pivot) e ridirezionare l’attività in termini più realistici.
Insomma la percentuale di startup che hanno successo considerando la prima formulazione è molto, molto ridotta (tra il 3% e il 3 per mille), mentre dopo almeno un pivoting la percentuale cresce di almeno un fattore 10.
E come nei romanzi, anche nelle startup esiste una parte non scritta, che però esiste: tutto quello che è successo dalla creazione dell’universo all’inizio della vostra storia. Chiamiamolo punto 0.

Il team di base richiede esperienza nell’attività specifica e nella più generale capacità di fare gruppo: ecco perché in generale proviene in parte da tentativi precedenti.

Punto 1: l’idea. Kunst und Aventur
La sola grande ragione di successo delle startup è… la tempestività* (Bill Gross, Ted Talks 2015) [https://www.ted.com/talks/bill_gross_the_single_biggest_reason_why_startups_succeed?].
Nel Medioevo, la grazia dei Santi poteva essere ricevuta attraverso l’immagine delle reliquie riflessa in uno specchio. In questo modo a riceverla potevano essere svariate centinaia per volta.
Le reliquie venivano esposte in giorni e luoghi di difficile conoscenza con anticipo sufficiente per grandi produzioni di specchi.
L’idea di Gutenberg fu di produrre specchietti. Si noti la grande attualità del nome dell’azienda: conoscenza e avventura. (Quella fu la prima delle idee: quella fondamentale la chiamò Das Werck der Bucher, l’Opera dei Libri).
Prevedere le date delle ostensioni non era una cosa facile: servivano informatori nel clero e una conoscenza dei vari calendari regionali, molto diversi tra loro.
Egli riuscì a fare entrambe le cose, stabilì quanti specchietti convenisse produrre e fissò obiettivi e durata del progetto**. Insieme ad alcuni soci realizzò migliaia di pezzi per una ostensione ad Aachen.

All’epoca era in grande spolvero la bolla speculativa delle reliquie dei santi. Oggetti e soprattutto parti dei corpi emanavano la grazia di Dio anche dopo la morte del corpo fisico, ed erano quindi venerati (a partire da Teodosio, che nel 381 dichiarò il cristianesimo religione di Stato). Il fenomeno fu amplificato dalla raccolta dei resti in seguito alle invasioni barbariche (in particolare dei Longobardi, che se ne andarono sul finire del sec. VIII).
Dopo l’anno Mille fu amplificata la pratica delle ostensioni delle reliquie, ben protette dal furto e mostrate per la celebrazione di feste o per la devozione in caso di catastrofi.
L’ostensione amplificò i pellegrinaggi, che incanalavano l’ardore religioso e trasformavano le occasioni di fede in momenti di attività economica. Si moltiplicarono quindi gli eventi, i contenitori ed ovviamente le stesse reliquie. Il numero di eventi si moltiplicò grandemente, tanto da far pensare che la Chiesa stessa replicasse alcune reliquie (dita, arti e altre parti delle quali fosse difficile tenere il conto) in modo da moltiplicare gli eventi.
Inizialmente la grazia sembrava fosse assorbibile solo per esposizione diretta alle reliquie, quindi solo dalla prima fila dei fedeli, ovvero poche decine per volta. Da un certo momento in poi, anche con il consenso della Chiesa, fu accettata anche l’esposizione indiretta: orientando uno specchietto, a mano o cucito nel cappello, il benefico riflesso poteva raggiungere svariate decine, se non alcune centinaia, di fedeli per volta.

Punto 2: la valutazione del mercato
Amplissimo e a vendita totale. Conveniente se data e luogo dell’ostensione venivano determinate con anticipo sufficiente a grosse produzioni.
I rischi di cassa erano considerevoli, perché l’investimento era tutto anticipato e qualsiasi errore o maltempo o cambiamento di data avrebbe reso la vendita trascurabile se non nulla. Ovviamente gli specchietti non si rovinavano nel tempo, quindi sarebbero stati comunque smerciati ad una successiva ostensione.

Punto 3: il modello di business
Vendita diretta per gli specchietti.
Probabilmente vendita ad incasso anticipato per la Bibbia.

Punto 4: gli user’s needs/il prototipo/l’Mvp
Fare uno specchietto in sé non era difficilissimo. Molto più complesso era identificare un prodotto più complesso che fosse interessante per un numero elevato di utenti.
Il libro a stampa era senz’altro un oggetto del desiderio. Fino a quel momento i libri disponibili sul mercato erano scritti a mano, quindi erano pochissimi, e costavano a partire da un piccolo appartamento in città, diciamo 100 mila euro come valore più frequente. Inventare un sistema che permettesse di fare tante copie in relativamente poco tempo e venderle a prezzi competitivi sui manoscritti, ma pur sempre elevatissimi, dev’essere stata l’idea fissa di Gutenberg.

Punto 5: la selezione del team
Per ciascun membro operativo del team serviva un capitale iniziale, una fonte di reddito alternativa e la disponibilità di tempo per i mesi della produzione. Maggiore era il numero dei membri operativi, maggiore teoricamente era la capacità produttiva, sempre ricordando che le ostensioni richiamavano svariate/parecchie migliaia di pellegrini, che in gran parte sarebbero diventati clienti.
Ovviamente la mente del progetto era essenziale, così come un factotum per approvvigionamenti ed altre necessità. Quindi 4/5 persone potevano bastare, per un progetto di media durata. Almeno per la K&A.

Punto 6: Il business plan? È fantascienza!
Tutto questo lavoro è fatto a partire d’uno schema prestabilito, che funziona in teoria ma mai nella pratica. Sviluppare schemi serve ad incasellare e valutare un progetto, non ad aumentarne le possibilità di successo. La stessa cosa si verifica nella letteratura a stampa: nel successo di un libro, infatti, etichetta e classificazione non contano molto, e neanche la qualità. Il successo è dovuto ad elementi fortuiti quali l’emotività d’una serie di elementi non programmabili (copertina, titolo, eventuali influencer che ne parlano bene) e le coincidenze (copie stampate, distribuite, concomitanza con eventi inattesi).
L’evento più inatteso viene esemplificato umanizzando il prodotto o servizio oggetto dell’attività: si dice che l’intelligenza del prodotto o servizio (di successo) è superiore a quella del suo creatore, e quindi se vale, il nuovo prodotto (o servizio) troverà da solo la sua strada. Così è stato per il libro a stampa in Occidente.
Il business plan, in particolare, è uno schema, una di quelle cose che non esistono: c’è chi lo chiama Financial Science Fiction***. Infatti la prima versione della K&A finisce male, probabilmente perché G. ha sbagliato i conti sulle date, e per vari motivi si formula una K&A2, un progetto quinquennale.
All’epoca non era ancora chiaro il detto se devi sbagliare, fallo in fretta, come dice anche Mike Moran in Do it wrong quickly[mikemoran.com/writing/do-it-wrong-quickly]. In Italia questo detto sta iniziando ad essere compreso ed accettato solo oggi, e sta finendo la criminalizzazione di chi non riesce a portare a termine un progetto e quindi ha alle spalle un fallimento.

Punto 7: fare pivoting
I veri capitali di ventura scelgono di finanziare startup che abbiano fatto almeno un riposizionamento (pivoting). Questo perché in genere la prima idea non è realizzabile e i suoi promotori non hanno la preparazione necessaria per affrontare il mercato ****.
Dopo gli specchietti di K&A 1 e 2, Gutenberg fa pivoting. Ha imparato a lavorare con i metalli e a gestire progetti complessi ed usa queste competenze per lanciare un progetto che richiede tecnologie (inchiostri grassi, torchio da stampa, fusione di metalli a basse temperature) per realizzare in metallo alcuni milioni di lettere poggiate a parallelepipedi, un processo del tutto nuovo e la filiera relativa. Questa è l’intrapresa Das Werck der Bucher.
In un certo modo, all’epoca c’era comunque un ecosistema di finanziamento, un sistema non mecenatesco (occasionale) ma che portava al successo una ragionevole percentuale dei nuovi imprenditori.
Ecco che a questo punto G. riesce ad attrarre capitali dai banchieri di Norinberga e Francoforte, nella figura di Friedel von Seckingen, finanziatore occulto della seconda iniziativa. E successivamente di Fust, che gli farà causa, chiudendo definitivamente la sua storia imprenditoriale.

(*) L’esecuzione conta tantissimo, l’idea conta tanto… ma la tempistica conta ancora di più. La miglior tempistica, aggiungiamo noi, è quella nella quale senza che voi lo sappiate un grande carro viene lanciati proprio insieme al vostro prodotto o servizio.
Il miglior modo per valutare i tempi è osservare se i consumatori sono pronti per quello che si ha da offrire. Ma bisogna essere davvero onesti sul fattore tempo.

(**) E a proposito del fattore tempo, oggi la prima fase dell’attività deve avere un tempo limitato, altrimenti non state facendo impresa e tutto andrà a rotoli.
Ecco perché la prima fase di finanziamento, quella nella quale cercate una cinquantina di migliaia di euro (che vi costeranno carissimi), deve durare tra 12 e 18 mesi: non di meno (mancherà robustezza), non di più (non si sta convergendo).
Tra il 2009 e il 2014, il tempo passato tra il seed e un investimento milionario è stato di circa 300 giorni (280 nel 2011, 382 nel 2013).
Your seed round should last 12-18 months (Nic Brisbourne, novembre 2014)[http://www.theequitykicker.com/2014/11/17/seed-round-last-12-18-months-data]

(***) Yossi Vardi è certamente un grande insegnante di startup in pratica, ed ha una simpatia straordinaria che lo rende, a nostro avviso, il mentor ideale.
i Business plan appartengono al genere letterario della Science Fiction”, per cui egli non li legge.

(****) Sempre da Yossi Vardi: “non considerate start-up che non hanno fatto almeno un riposizionamento (pivoting), perché vuol dire che i loro membri non hanno imparato nulla”.

 

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