Il filosofo E. Morin, pur affermando che “complessità è una parola problema e non una parola soluzione”, si dichiara fortemente affascinato dalla tensione, insita nel pensiero complesso, tra la consapevolezza di una “conoscenza inevitabilmente incompleta” e l’aspirazione per un “un sapere non settoriale e riduttivo”. Al riguardo, nell’articolo pubblicato lo scorso febbraio, abbiamo illustrato i due aspetti che, dal punto di vista epistemologico, attenuano l’accezione negativa con cui la complessità viene usualmente rappresentata. Il primo, le analogie comportamentali a livello interdisciplinare (“universalità”), consentono di trasferire o generalizzare le conoscenze ricavabili dai processi più accessibili (in genere, quelli del mondo della fisica e della chimica) verso sistemi di più difficile trattazione (come quelli legati alle attività umane). Il secondo, la “compressione dell’informazione”, consente di ridurre a pochi parametri la descrizione dei regimi stabili dei sistemi collettivi, le “strutture” (sottolineando, però, che anche in tali regimi, come in tutti i processi dei sistemi collettivi, sono presenti fluttuazioni “intrinseche”). Nel citato articolo, abbiamo, in particolare, mostrato le proprietà delle strutture dinamiche complesse (SDC) e la continuità tra SDC inerti e viventi, entrambe esibenti uno SCHEMA organizzativo adeguato alle specifiche finalità, garante della stabilità nel divenire (omeostasi) e implementato e sostenuto dall’attività autopoietica avverso l’ineluttabile azione della dissipazione. Inoltre, abbiamo visto che nei viventi superiori ha avuto successo evolutivo uno SCHEMA organizzativo duale cervello-macchina, principalmente per il fatto che la poiesi, con l’incremento di complessità, ha assunto sempre di più anche la valenza di acquisizione e organizzazione di informazioni e l’efficientamento di tale attitudine ha innescato il circolo virtuoso del progressivo perfezionamento sia della capacità di esplorare e manipolare l’habitat che della capacità di percezione sensoriale e razionale. Abbiamo anche visto che per le SDC vale il principio olistico per cui l’emergere di organizzazione e di nuove proprietà globali non è direttamente riconducibile alle interazioni esistenti tra gli elementi ma si sviluppa grazie ad una reazione interna “cooperativa” distribuita su diverse scale spaziali e temporali. Ciò conduce all’instaurarsi di una “causalità circolare” per cui i singoli emanano sinergicamente l’azione collettiva che, al contempo, li asservisce (è lo schema concettuale della Sinergetica di H. Haken di cui parleremo in un prossimo appuntamento).

Che dire delle Organizzazioni umane? Esse costituiscono una novità rispetto alle strutture spontanee poiché sono completamente artificiali e nascono da esigenze pubbliche o private. Progettare una Organizzazione in tutti gli aspetti e in modo costo/efficace è un problema della Scienza dell’Organizzazione. Tale disciplina, per molti versi, è ancora empirica e, nel nostro piccolo, cercheremo di dare un breve contributo di pensiero.
Partiamo dalla base. La “materia” di cui è composta una Organizzazione si identifica con uomini, mezzi, materiali, sistemi, infrastrutture, regole, compiti, protocolli, cultura, filosofie, ecc.. Essi sono le “macromolecole” dalle cui aggregazioni nascono gli Elementi di Organizzazione (EdO) di vario livello. Gli EdO sono strutturati secondo uno SCHEMA organizzativo mirato a implementare “Funzioni” e “Capacità”, in attuazione della fisiologia e delle finalità dell’Organizzazione nonché di qualche opportuna “utility” integrativa. In considerazione della possibile estensione verticale delle responsabilità connesse, risulta naturale l’esistenza di relazioni di inclusività tra vari gruppi di EdO (gerarchia). Le finalità consistono nella produzione di beni e/o servizi mirata a soddisfare la domanda e, quindi, a richiamare le “risorse” necessarie alla sopravvivenza e all’ammodernamento della Organizzazione, sia essa privata o pubblica.
La presenza di specifiche finalità e di “vincoli” (in termini di regole, procedure, tempi di esecuzione) assegnerebbero all’Organizzazione un connotato di “macchina”. Tuttavia, è da tempo maturata la consapevolezza che, nel moderno mondo globalizzato, le Organizzazioni agiscono in un ambiente fortemente imprevedibile e, pertanto, devono avere esse stesse opportune caratteristiche complesse. Alla luce dell’excursus sui sistemi naturali, la metafora che appare più adeguata è quella che le vede come organismi biologici evoluti. Però, le Organizzazioni sono “eterne” (almeno nelle intenzioni) e, quindi, devono poter coevolvere con i rispettivi specifici ambienti e rinnovarsi continuamente mediante adattamenti controllati che ne conservano l’identità (flessibilità strategica e resilienza). Allora, essendo l’elemento umano, con i suoi pregi e difetti, la componente preminente di una Organizzazione, come metafora pensiamo senz’altro ad una specie di “umanoide” organizzato in struttura dinamica complessa, aperta organizzativamente ma conservativa dell’identità.

 

 

In prima approssimazione, una Organizzazione è definibile da uno flusso input-output in cui entrano risorse economiche ed escono beni e/o servizi e “scorie”. Queste ultime poiché, come in tutti i sistemi collettivi, in una Organizzazione è sempre presente l’azione della dissipazione e una sua analisi è necessaria per capire quanto può essere oneroso mantenere la struttura. Essa attiene al degrado delle Funzioni e delle Capacità conseguente ad EdO non più funzionanti in modo efficiente. Tali inefficienze possono essere legate, ad esempio, alla quiescenza di personale addestrato e con lunga esperienza lavorativa, al consumo e usura dei materiali, alla vetustà dei sistemi, ecc.. Una aliquota di inefficienza più sottile nasce dalla tendenza naturale alla perdita di sincronia o cooperazione tra gli EdO, spesso imputabile al “fattore umano” e alla faraginosità dei protocolli. I macrostati possibili in cui si agisce in modo scoordinato sono tantissimi mentre il regime ideale è uno solo. È molto facile, quindi, che si perda coerenza esecutiva tra gli EdO. La cooperazione va sostenuta e, come tutte le strutture reali, le Organizzazioni sono “strutture dissipative” nel senso che buona parte delle risorse economiche servono a fronteggiare la dissipazione. Naturalmente, una Organizzazione quante più Capacità esplica (versatilità) tanto più articolato è il suo SCHEMA organizzativo e, di conseguenza, tanto più è onerosa da sostenere. Allora, avverso alla dissipazione è necessaria una oculata attività poietica. La poiesi costituisce l’insieme delle attività cicliche mirate alla continua rigenerazione e ammodernamento di quello che abbiamo chiamato la “materia” dell’Organizzazione. La poiesi è in buona parte materiale ma quella del “personale” è più articolata e delicata. Deve comprendere tutte le attività finalizzate al pieno inserimento dei nuovi elementi nella organizzazione (formazione, addestramento, ecc.), a dare coerenza alla collettività umana, nel senso di politiche del personale mirate ad infondere “senso di appartenenza” e “motivazione”. Per quanto visto, la poiesi non significa solo “oliare la macchina” e “favorire i coordinamenti”, come spesso si sente dire quando si ricerca maggiore efficienza ed efficacia. È qualcosa di molto più complesso; è una attività strategica fondamentale e deve essere una attitudine dell’intera Organizzazione. Il bilancio poiesidissipazione incide su un parametro ad alta valenza competitiva, la qualità della produzione.

Nelle Organizzazioni possiamo individuare due collettività di interesse: la collettività degli EdO e la collettività umana. Partiamo dalla premessa di uno SCHEMA organizzativo duale cervello-macchina e dalla consapevolezza, da qualche tempo maturata, che le attività di “conoscere, prevedere, decidere” hanno maggiore affidabilità e successo se sono emanazione di una mente collettiva, anche distribuita all’interno dell’Organizzazione. Allora, la condizione per rendere complesso l’umanoide è la presenza delle “causalità circolari” che dalla cooperazione tra gli EdO fanno emergere l’esecuzione efficace ed efficiente delle funzioni e delle finalità della Organizzazione mentre dalla cooperazione degli “uomini” fanno emergere sia la componente cerebrale mirata al controllo informativo interno ed esterno che, soprattutto, la mente che supporta le decisioni della Leadership gerarchica (che può anche essere un “board”) nella sua attività di definizione e valutazione della strategia di alto livello. Quindi la domanda è: in una collettività organizzata artificialmente quale è l’ingrediente che fa emergere spontaneamente tali circolarità e che in un continuo processo autorganizzativo, fa coevolvere l’Organizzazione con il mondo esterno, pur conservandone l’identità e la stabilità nel divenire? In una prossima nota cercheremo di dare una risposta.