La discussione che si è aperta nella comunità civile sui cibi transgenici, sull’etica della loro preparazione, sui possibili danni che ne possono derivare all’utenza merita da parte delle sedi istituzionali un’attenta considerazione in quanto gli aspetti tecnico-scientifici non possono essere considerati che una parte delle problematiche che assillano il settore. Bisogna anche esaltare gli aspetti etici e sociali che obbligano tutte le sedi che svolgono istituzionalmente un ruolo fondamentale nei processi formativi ed educativi dei cittadini a porsi con impegno come interlocutori chiari e documentati, fino ai municipi ed alle circoscrizioni che per il rapporto diretto che hanno con le scuole del territorio e con i cittadini, non possono esimersi da tale compito, diffondendo e facendo conoscere i fondamentali elementi di valutazione e giudizio, forniti in un linguaggio che sia il più chiaro e accessibile possibile.

Premesso che ove tutta la popolazione della terra si dividesse in parti uguali tutta la superficie coltivabile, a ciascuno spetterebbe un’area valutata in sedi diverse fino a 25 volte più piccola di quella necessaria; è evidente che per superare questo scompenso ci sono due strade: aumentare la produttività del suolo coltivabile o fare aumentare il potere nutritivo degli alimenti prodotti.

A tutte due queste finalità, oltre a quell’altra di combattere le pesti dei vegetali che riducono i raccolti, punta la scienza con manipolazioni di tipo chimico, in quest’ultimo caso, o genetico-biologico molecolare. Purtroppo la prima strada in passato ha fornito risultati contrastanti: dapprima l’uso di fertilizzanti ed antiparassitari ha effettivamente giovato, successivamente gli abusi che ne sono derivati da un lato hanno finito per provocare un inquinamento crescente dovuto all’eccesso di pesticidi smaltiti nell’ambiente e dall’altro hanno portato all’eccessivo sfruttamento del suolo che di conseguenza ha perduto la sua struttura e la sua tessitura con una crescente tendenza alle frane ed al dissesto idrogeologico.

Sul secondo fronte si è iniziato con la modifica genetica di alcuni alimenti molto popolari (soia, mais) per renderli più rispondenti alle esigenze alimentari: Si deve ricordare che la dieta ideale prevede che le calorie da immettere ogni giorno nell’organismo in misura diversa a seconda dell’età, del sesso, del tipo di vita che si conduce dovrebbero provenire approssimativamente per il 60% da carboidrati, 30% da grassi, 10% da proteine.

E’ logico quindi che quanto più le risorse alimentari sono coerenti con tali valori, tanto più l’alimentazione su di esse basata sia corrispondente all’idealità. A seguito dei primi successi però il processo ha assunto connotati ed intensità non sempre dettati da esigenze sociali. Si pensi che si è arrivati a parlare di alimenti di forma la più idonea possibile per trasportarne, a parità di ingombro, il massimo peso possibile.

Gli aspetti economici hanno finito per prevalere; alcune multinazionali si sono impossessate del business: il prevalente capitale americano di esse è certo una delle cause che hanno fatto assumere a questo Paese una posizione estremamente liberistica sul tema delle produzioni transgeniche al contrario di quanto avviene in Europa dove la maggiore prudenza e la resistenza rispetto a questo tipo di produzioni sono dettate non soltanto dal minore coinvolgimento economico, ma anche dalle maggiori tradizioni culturali ed etiche.

E’ però discutibile pensare che tutte le modificazioni siano in sé pericolose.

La modificazione genetica ha in sé la colpa di alterare lo stato naturale, quindi, in qualche misura di essere una trasgressione alle regole di natura che sono molto ferree come ad esempio avviene in tema di utilizzo da parte di alcune specie, di altre assunte come riserva energetica.

Gli organismi sono dotati di sistemi sentinella di vigilanza che consentono che ciò avvenga solo in presenza di particolari garantite condizioni. La conservazione e l’armonia ecologica della natura è affidata all’uomo. E’ un’eredità comune, un diritto di ogni individuo e di ogni società. Le sue violazioni vengono sempre scontate.

La scienza può, così come ha consentito questi risultati in tema di modificazione genetica, consentire controlli sia chimici che biologici necessari e rigorosi per la verifica della avvenuta modificazione dei suoi possibili effetti. Tali strumenti di controllo vanno dalle sonde ai sensori DNA ai test immunologici. In tutti i Paesi gli organismi di Stato devono fissare precisi limiti a questo tipo di innovazione ed imporre che su ogni alimento modificato l’etichetta per il consumatore ne indichi il carattere modificato e le motivazioni, garantendo al cittadino, in termini ancor più generali, il diritto di conoscere il passaporto di ogni prodotto.

L’importante fase che stiamo vivendo in questo settore obbliga a rinforzare le fasi di monitoraggio e di controllo: questo significa educazione alimentare sin dalla prima infanzia, formazione tecnico scientifica adeguata, con percorsi formativi scolastici ed universitari coerenti con le nuove problematiche e capaci di soddisfare le esigenze di personale tecnico-preparato, istituti nazionali di controllo referenziati e certificati capaci di evitare che gli aspetti commerciali, in qualche caso anche colpevolmente speculativi, prevalgano.