La Commissione ministeriale istituita con d.m. 28/01/2015, meglio nota come Commissione Rordorf, ha recentemente licenziato uno schema di legge delega per la riforma ed il riordino delle procedure concorsuali. Tra le novità maggiormente significative, figura la proposta di introdurre – sulla falsariga di quanto registratosi in altri ordinamenti – una generica procedura di allerta e composizione assistita della crisi d’impresa, ovverosia un sistema di prevenzione del dissesto imprenditoriale, dichiaratamente diretto ad anticipare l’emersione della crisi ed agevolare l’attivazione delle iniziative volte ad assicurare la continuità aziendale. 

Il meccanismo in parola, salvo eventuali futuri stravolgimenti, dovrebbe articolarsi in tre fasi distinte e conseguenti: anzitutto, si prevede una doverosa fase di segnalazione confidenziale, all’organo amministrativo, circa l’esistenza di fondati indizi dello stato di crisi; successivamente, l’organo gestorio sarà tenuto ad attivare la fase compositiva mediante informativa ad un organismo di composizione, il quale, a fronte delle segnalazioni ricevute, procederà all’audizione del debitore, per individuare le misure idonee alla risoluzione della crisi; all’esito dell’audizione, su istanza del debitore medesimo, l’organismo adito procederà infine ad affidare ad un mediatore l’incarico di addivenire ad una soluzione concordata con i creditori rimasti insoddisfatti.

 

L’input riformatore in commento si pone nel solco di un meritevole processo di ripensamento del diritto della crisi d’impresa recentemente affermatosi in ambito europeo: in effetti, volgendo lo sguardo agli ordinamenti vicini, risulta che anche la Francia abbia già da tempo aderito al modello della cd. ristrutturazione preventiva, configurando la procédure d’alerte. La fattispecie d’oltralpe, nonostante sia chiaramente finalizzata a far emergere tempestivamente le prime avvisaglie di crisi in vista di un’opportuna ristrutturazione, presenta, a ben vedere, notevoli differenze rispetto al modello delineato dalla Commissione Rordorf, probabilmente giustificate dal diverso clima giuridico-culturale: in questa sede, ci si limita ad osservare che il modello transalpino assume una chiara connotazione giurisdizionale, realizzando una disclosure dello stato di salute dell’impresa in favore del Tribunale di Commercio, che, benché astrattamente opportuna, potrebbe determinare un’accelerazione della crisi stessa, ingenerando un calo della credibilità del debitore in stato di difficoltà finanziaria. Ben diversa – come si è detto e come meglio si vedrà in prosieguo – è la versione italiana attualmente in discussione.

Venendo a giudicare la meritevolezza del “nostro” procedimento di allerta, è giocoforza accogliere con favore lo sforzo profuso dalla Commissione: si tratterebbe, a parere di chi scrive, di un meccanismo indubbiamente virtuoso, poiché molteplici sono i vantaggi ad esso connessi.

Innanzitutto, pare doveroso sottolineare che la procedura in questione consentirebbe, in linea con le indicazioni contenute nella Raccomandazione U.E. n. 135/2014, una ristrutturazione preventiva dell’impresa che, pur essendo sana (dunque non insolvente), si trovi in una situazione di difficoltà finanziaria. Un intervento tempestivo – quale quello tratteggiato – permetterebbe, non solo di evitare l’irreversibile insolvenza, ma anche di garantire il superamento della fase di crisi e, in via mediata, un verosimile innalzamento della percentuale di soddisfacimento di creditori coinvolti.

In secondo luogo, non può ignorarsi il perspicuo vantaggio connesso alla natura confidenziale e stragiudiziale della procedura: in effetti, un modello di allerta che, contrariamente all’esperienza francese, risulti basato sull’attivazione proattiva e confidenziale degli organi sociali di amministrazione e controllo permetterebbe di ovviare al rischio – come visto assai accentuato in Francia – di ingenerare un’accelerazione della crisi stessa; rischio verosimilmente connesso a forme di disvelamento delle condizioni dell’impresa, tali da determinare un calo di credibilità del debitore in crisi di fronte ai creditori già esposti o in via esposizione.

Ciò premesso quanto alla bontà delle procedura disegnata dalla Commissione, occorre altresì rilevare che, da un punto di vista strettamente endosocietario, il meccanismo di allerta – laddove effettivamente introdotto nella versione licenziata dalla Commissione – permetterebbe di identificare un nuovo canone di diligenza per gli organi societari, amministratori in primis: in effetti, gli amministratori, al ricorrere delle stato di crisi, sarebbero tenuti ad attivare celermente il procedimento in oggetto, onde evitare di incorrere in responsabilità civile ex art. 2392, comma 2, cod. civ.

Non solo: a favore dell’opportunità dell’impiego di siffatta procedura, vi sarebbero ulteriori elementi rinvenibili nell’eventuale introduzione di misure premiali e sanzionatorie – anche penali, nella forma della bancarotta – per chi decida di avvalersi o meno di un simile meccanismo.

Sul versante opposto, pare non ignorabile che l’eventuale futuro impiego della procedura di allerta determinerebbe un notevole svantaggio consistente nell’innalzamento del costo organizzativo interno, poiché l’attivazione tempestiva del meccanismo in questione presupporrebbe una diligente costruzione di assetti organizzativi tali da garantire il corretto dispiegamento dei flussi informativi per la rapida rilevazione della crisi.