A fresco at the Minoan palace of Knossos Photo: GETTY                           
                                                                                                               
                                                 *      Del dalfino

“Dalfino è un grande pesce, e molto leggiere, che salta di sopra dell’acqua;e già sono stati di quelli che sono saltati di sopra delle navi, e volentieri seguiscono le navi,e non vanno se non a molti insieme, e cognoscono  lo  mal tempo quando dee essere, e vanno contro alla fortuna che dee essere.
E sappiate che egli ingenera e porta dieci mesi.E quando gli ha fatti, ed ella li nutrica del suo latte.
E quando lei vede pesci di cui li figliuoli temano, ella se li mette in corpo, e tanto i vi tiene, ch’ella vede luogo sicuro. E vivono trenta  anni, o muoiono di piccola fedita ch’elli abbiano. E mutano la lingua. Ed a nullo altro animale d’acqua addiviene quello che a lui, che mentre egli sta sotto l’acqua non può inspirare. E però ispessoviene di sopra dell’acqua, secondo che l’uomo lo puote vedere quando lo truova in mare. Alle primavera vanno al mare di ponente, quando fa egli  figliuoli, per l’abbondanza dell’acque dolci. E l’occhio sinistro vede peggio che lo diritto, e lo diritto vede bene.
E sappiate che dal fiume del Nilo è una generazione di dalfini che hanno sullo spino del dosso una spina con ch’egli uccide lo coccodrillo. Ed egli si trova nelle storie antiche che uno garzone nutricò uno dalfino col pane, e amavalo tanto che’l fanciullo lo cavalcava e giuocava con lui. Avvenne che ‘l garzone morì; ed egli stimando che’l fosse morto, si lasciò morire.
E sappiate ch’egli è quel pesce, che più amore porta all’uomo, che nessun animale che d’acqua sia”

Nel mare di Gavdos i delfini seguivano il caicco. Ci giravano attorno balzando tra le onde.
Erano allegri e fedeli. Cantavano parlando tra loro. Poi scomparvero. Mare pescoso, mare caldo, mare d’ Africa. Polpi dai lunghissimi tentacoli, da noi chiamati ”purpesse” come fossero le femmine del porpo, sfrecciavano, riparandosi tra gli scogli. Le loro case aveva no piccoli giardini di pietre sul davanti. Tra le insenature degli scogli i loro occhi  fissavano i predatori.
In quel paradiso cretese gli uomini desiderosi di scontrarsi con il grande signore dei mari,
perlustravano i fondali, per armi le sole mani. La leggenda narra di una enorme Cernia, padrona dell’oceano. Nessuno l’ha mai vista. Si narra che fossero i suoi amici delfini ad allontanare con salti e giravolte chiunque le si avvicinasse. Spostando l’attenzione sui loro gridi e i loro giochi.
Sul caicco che ci portava all’isola di Gavdos i viaggiatori affascinati dai magnifici animali, loro amici  fedeli e allegri, non immaginavano nemmeno per un istante che i delfini fossero  lì per difendere il loro mare.

 

                                                *  Delli smerli

“Smerli sono di tre maniere. Uno che ha la schiena nera, e altro che ha grigia, e son piccioli e sottili uccelletti. L’altro è grande e somiglia al falcone laniere bianco, ed è migliore di tutti gli altri smerli e più tosto si concia. Ma egli addiviene loro una malizia, che si mangiano tutti piedi, se l’uomo non li ritiene dell’uccellare al tempo della sementa del lino e del miglio. Qui lascia il conto il parlare
degli uccelli di caccia, e vuol seguire la natura e la maniera degli altri animali, cioè gli altri uccelli che non son da caccia.”

Un merlo, Nerone, passeggia altezzoso  nel mio  giardino. Ha nero l’abito e rosso il becco.  E’ un giovane maschio nato sul ramo del sambuco.
Fiori bianchi, bacche viola. Lontano un cuculo lancia il suo lugubre canto d’amore.
Nerone nacque di Maggio, lo vidi caracollare nei viali, crebbe tra i glicini e i noccioli. Mangiò le
briciole di pane che spargevo per lui, insieme ad  incantevoli pettirossi e  allegri passeri.
Merle femmine  si accapigliavano e bisticciavano come fossero gallinelle nelle stie.
Poi una di loro cominciò a raccogliere fili di erbe, filamenti di plastica, esili legnetti per il  nido. Anche Nerone becchettava e conservava.
I vermetti della  terra, insetti  invisibili  venivano afferrati nel becco e portati ai piccoli nati sul nido del sambuco.
Ai suoi  cuccioli  Nerone insegnò a bagnarsi nelle pozze d’acqua piovana, li imbeccò raccogliendo le briciole di pane. Ora non più giovanissimo si stende, ali aperte al sole.
Viene a trovarmi entrando nella veranda e uscendone a passi spediti. Lui sa, perché gli animali percepiscono i cambiamenti, che il mio cane, Betta, che ha sempre tentato di acciuffarlo, non c’è più.
Lui resta nel mio giardino, picchiettando la terra, scorrazzando nei viali, volando tra aranci e gelsomini in fiore, ricordandomi che la felicità resta nei nostri ricordi anche quando molte cose son trascorse.

 

                                               *      Delle Rondini o ver  ceselle

“Rondina è uno piccolo uccello, ma ella vola alla volta diversamente, e la sua pastura prende volando, e non posando, e si è preda degli altri uccelli cacciatori. Tuttavia per sicurtà abitano tra uomini, e li loro nidi hanno sotto le case e sotto i tetti, e sotto altre coperture e non mai di fuori; e sì dicono i più ch’elle non entrano in case che debbiano cadere, e fanno loro nido di loto e di paglia, per ciò ch’ella non è di tanto podere ch’ella possa portare lo loto, anzi si bagna nell’acqua le penne dell’ale, e poi le mette nella polvere, e quello che vi si appicca, porta ed edifica il suo nido. E quando li suoi figliuoli perdeno la veduta per alcuna cagione, ella porta loro d’un’erba che ha nome calidonia, e danne loro beccare, e ricevono la veduta secondo che molti dicono. Ma l’uomo dee guardare li suoi occhi da loro uscito e sterco, per ciò che Tobia ne perdè la veduta,  sì come conta la Bibbia.”

                                               Le rondini! Aspetto che tornino.
                                               Portando la Primavera in volo.

* BRUNETTO LATINI  (1220- 1294)  –  IL LIBRO DELLE BESTIE –  volgarizzato da Bono Giamboni – ROMA –Eduardo Perino, editore – Via del Lavatore, 88 – 1891.