Recenti   incontri e relazioni con persone e riferimenti a scuole di management e/o università mi hanno stimolato la tentazione di ripubblicare  un articolo dell’inizio del 2004: Scrap the MBA. Lo ripropongo:

E’ giunto il momento di abolire i Master in Business Administration?

Per amor di patria non parleremo delle scuole dei manager italiani, da cui vengono fuori personaggi che non sanno che Napoleone ha perso a Waterloo o che la Libia è stata una colonia dell’Italia, che spesso non sanno distinguere tra ha (verbo avere) ed a (preposizione), che applaudono entusiasti se qualcuno gli dice che la crisi non esiste ed è solo un fatto psicologico, che sembrano fatti con lo stampino, la testa rasata, con la loro arroganza, il loro vestitino blu, la cravatta di marinelli ed il loro telefonino ultima moda da usare con fragore nella prima classe della freccia rossa.

Parleremo invece della importante discussione che si sta svolgendo a livello internazionale sugli MBA, i Master in Business Administration.
E’ nato anche un nuovo termine: “MBA clone” (Dan Herman). Molti manager frequentano gli stessi corsi, studiano sugli stessi libri, leggono gli stessi giornali e le stesse riviste, partecipano agli stessi convegni ed assistono alle stesse conferenze. In questo modo assumono lo stesso atteggiamento e lo stesso vocabolario nei confronti del business. Diventano degli MBA clone.

Naturalmente non tutti diventano MBA clone e Dan Herman propone un questionario per verificare se lo si è diventato ed una serie di suggerimenti per “declonizzarsi”. Alcuni suggerimenti sono assolutamente accettabili, quali per esempio quello di abbandonare la strategia a lungo termine, di non confondere obiettivi e strategia, altri andrebbero discussi in maniera più approfondita come quello di abbandonare la market segmentation per la contextual segmentation oppure rinunciare alla vision. Henry Mintzberg critica aspramente l’MBA. Riportiamo qui parte di una recente intervista alla CNN:

CNN: Quale dovrebbe essere l’obiettivo dell’MBA?

MINTZBERG: Creare migliori manager che creino migliori organizzazioni che creino un mondo migliore.

CNN: Il management può essere insegnato?

MINTZBERG: No, è possibile migliorare la qualità o le caratteristiche dei manager, non è possibile creare i manager in aula….. Quello che non si può fare è insegnare la gestione a qualcuno che non è un manager, come non si può insegnare un intervento chirurgico a chi non è un chirurgo. ………….. Quello che ho contro gli MBA è il fatto che vieni fuori da un programma di MBA di due anni, non avendo mai fatto il manager, e presumi che sei pronto per assumere responsabilità di manager. Non solo lo presumi, ma è la stessa scuola che te lo assicura, e questo è profondamente sbagliato. …….. io considero la gestione, il management, come arte, artigianato
e scienza. Si tratta di una pratica che si basa su arte, artigianato e scienza e c’è un sacco di artigianato, nel senso di esperienza, che comporta intuizione, creatività, visione e vi è l’uso della scienza, della tecnica e dell’analisi. Ma i programmi MBA sono così orientati prevalentemente verso la parte analitica che vengono fuori quelli che io chiamo “calculating managers” e penso che stanno causando problemi ovunque……… Nelle scuole di management si da molta importanza ai case study. Si basano sul fatto di leggere una ventina di pagine di un’impresa di cui probabilmente non hai sentito mai parlare ed il giorno dopo si va in aula a parlarne. Così si stanno formando persone che pensano: datemi una ventina di pagine di relazione ed io vi do la
strategia. ……………non vi è alcuna esperienza diretta, nessuno ha mai incontrato il cliente, non è mai stato nelle fabbriche, non conosce i prodotti, nessuno sa nulla. E sono tutti a parlare di ciò che la società è tenuta a fare, perché hanno trascorso un paio d’ore la sera prima a leggere il caso………………..

Ray Williams in un articolo per il Sounding Board, rivista del Vancouver Board of Trade, rileva che per la maggior parte i programmi delle scuole di business sono orientati alla teoria ed utilizzano gli strumenti tradizionali: case studies, lezioni, film e discussioni. Il problema, secondo Ray Williams, è che i docenti di queste scuole sono scelti non sulla base della loro esperienza di leader o manager, ma sulla base delle ricerche pubblicate.

Kelly Holland in un articolo sul New York Times rileva che le scuole di business sono troppo teoriche e con pochi contatti con il mondo reale, agli studenti si insegna come affrontare problemi complessi con soluzioni semplici e rapide, l’unico obiettivo è quello di massimizzare il valore delle azioni, senza nessun riferimento all’etica ed ai problem sociali.

Anche Rakesh Khurana pensa che le scuole di business formano dei manager il cui unico obiettivo è quello di far crescere il valore della azioni e che, quindi, sono dei semplici agenti della proprietà, con tutto quello che deriva da questa idea.
In un articolo nel London Times, Philip Broughton è molto più feroce ed afferma che se Robespierre rinascesse e cercasse persone da ghigliottinare potrebbe cominciare da quelli che dopo il proprio nome inseriscono la sigla MBA: questa categoria di banchieri, finanzieri e consulenti distruttori di valore ha fatto molti più danni di qualsiasi altra categoria di persone.

Broughton rileva anche che se facciamo una lista dei più importanti imprenditori nella storia recente, da Larry Page e Sergey Brin di Google, Bill Gates di Microsoft, a Michael Dell, Richard Branson, Lakshmi Mittal, non troviamo un solo MBA. Se invece guardiamo dalla Royal Bank of Scotland a Merrill Lynch, da HBOS a Lehman Brothers, troviamo le impronte digitali di tanti MBA.

Lynda Gratton prevede, molto ottimisticamente, che saranno gli studenti a provocare il cambiamento nelle business schools. La sua opinione è che coloro che si iscrivono a queste scuole o che affrontano un MBA sono oggi a conoscenza, per fonti fuori dall’ambiente accademico, che esistono altri modelli di impresa, più egualitari e che esistono quelli che lei indica come “social entrepreneurs”.

Quest’ultima nota di ottimismo si basa sul fatto che la diffusione ed il facile accesso alle informazioni che riguardano le imprese è ormai un fatto compiuto nei paesi in cui esiste una trasparenza e dove i media sono effettivamente liberi da vincoli politici o addirittura di ownership. Speriamo che questo possa avvenire anche da noi.