Quando Bettino Craxi scelse di andare in Tunisia in esilio, spiritualmente stava ripercorrendo all’incontrario un cammino che era principiato tra il II e il III sec. D.C. Nella provincia dell’Africa proconsolare il Cristianesimo si era diffuso sin dal I sec. sia fra gli Ebrei sia tra i Romani (non dimentichiamo che la Sinagoga storicamente più antica e importante dopo il Tempio di Gerusalemme, esistente al mondo, è ancora oggi quella di Djerba; tuttora frequentata dai non molti fedeli colà residenti, ma soprattutto da quelli provenienti dal resto del mondo, non tanto invece fra i berberi).

Quando Costantino – con l’aiuto della madre Elena – liquidò Massenzio, ebbe la visita del Re d’Armenia – Regno Federato – in toto convertitosi come prima regione al mondo al Cristianesimo; ma era un atto politico e non solo spirituale. Invece, l’approccio dell’intero Maghreb, fu pieno di intensa partecipazione, di cui è prova anche l’archeologia che svela l’esistenza di chiese anche monumentali su tutto quel territorio dirette, come ci dice il Concilio del 220 D.C., da almeno 70 Vescovi. Nella seconda metà del III sec. grandi teologi e letterati come Tertulliano, Cipriano e Origene e poi Agostino, scrivono, pubblicano in lingua latina sui temi teologici della grazia e della predestinazione. La cultura cristiana si diffonde poi sui territori vicini fino a Tangeri e Volubilis da una parte e Malta e Sicilia dall’altra, peraltro già visitate da Paolo, come poi avrebbero fatto gli Arabi Fatimidi nel VII e VIII sec. Tertulliano scrivendo il suo “De Virginibus Velandis” getta le basi di alcuni costumi che poi si sono diffusi in tutto il mondo arabo, così il conflitto che poi si sviluppò con i vandali ariani sul tema dell’iconoclastia e quindi sull’impossibilità di rappresentare la Santissima Trinità e i suoi Santi, portò al suo recepimento in ambito islamico Fatimida e non. Vero che Bettino nasce a Milano e lì si forma, ma la sua famiglia proveniva dalle terre interne della Sicilia, da quei monti granatici, dove la compresenza tra le tre grandi religioni monoteiste (ebraismo, cattolicesimo-cristianesimo e islamismo) ha consentito la nascita di quel sistema di convivialità e tolleranza di cui la dominazione normanna fu espressione, poi esaltata dalla nobile figura di Federico II, puer apuliae, stupor mundi, pupillo del Papa, con un esercito formato da musulmani, cresciuto dai mercanti ebrei di Palermo e poi finanziato dai banchieri genovesi. Certo dovette reprimere violentemente le due rivolte arabe degli Abbate di San Giuseppe Jato, trasferendo poi la popolazione sopravvissuta al confine tra Molise e Puglia, per far mordere il freno al Conte del Molise che lo aveva avversato anche militarmente e aveva, come dire, antica scienza sannita. Craxi cresce con la cotoletta alla milanese, in un contesto laico e laicista, ma nel suo intimo rimane il figlio della cultura della sua terra che a prescindere dagli ideologismi di parte, come fu prima Giovanni Gentile, insuperato filosofo di Castelvetrano, con cui il suo marxismo fece sicuramente i conti ricevendo da lui una certa idea di Stato che lo condusse sull’esempio di Federico II, allo scontro di Sigonella fra Carabinieri e truppe statunitensi che volevano far proprio un soggetto arabo prigioniero in Italia e dell’Italia, per vicende avvenute su nave italiana. In Sicilia sono normali le figure eroiche così come gli antieroi; quelli che preferiscono morire che accettare il ridimensionamento che ad esempio Mussolini voleva dare alla cosiddetta mafia madonita, certamente ben diversa dalle mafiosità contemporanee, fondate solo su turpi ragioni economicistiche e predatorie. In Sicilia la spiritualità è il fondamento dello stare insieme essendo la spiritualità fondante la relazione fra l’essere e l’altro da sé, che siano natura o persona. Da Demetra/Cerere in avanti sono le donne che scandiscono e possiedono i segni vitali, lo stesso organo maschile per la riproduzione – mentula – è nominato al femminile, sono loro che accolgono il culto cristiano proveniente dalla provincia d’Africa, così come poi accolgono i Fatimidi di Tunisia così chiamati per via di Fatima, figlia del Profeta Maometto a cui il loro rito fa diretto riferimento, e che poi si ritrova nelle apparizioni in Portogallo. Tali trasferimenti di spiritualità accompagnati da migrazioni massicce allora come oggi, derivano e confermano la interconnessione fra le diverse arene esistenti al mondo. Del resto, come nel tempo di abitanti della Provincia d’Africa sono venuti in Sicilia, così i pescatori siciliani e tanti intellettuali isolani si sono trasferiti colà, al punto che una grande parte del Porto di Tunisi è nota sotto il nome di Cinisi, che è una cittadina vicina all’aeroporto di Palermo e la legazione del Regno delle due Sicilie non è mai stata chiusa secondo le più antiche tradizioni arabe. In Sicilia vi erano emiri ed emirati, oggi non vi sono più emiri ma ciò non toglie che l’emirato possa esistere ancora. L’attuale venir meno del senso di appartenenza sociale ad un qualche ceto dominante nei vari paesi ha portato all’attuale fenomeno migratorio ripetendo all’incontrario quanto nell’800 molti siciliani fecero per sfuggire alle repressioni borboniche e lo stesso Garibaldi poi, prima di riparare negli USA, fu ospite onorato e gradito a Tunisi, come è stato poi Bettino Craxi considerato colà sempre un Capo di Stato. Gli attuali migranti sono, quantomeno istruiti se non veri intellettuali, appartenenti ai ceti più abbienti, ma socialmente fuori dalla locale classe dirigente, e, quindi meno capaci all’interno della comunità di appartenenza di attivare l’ascensore sociale e di ottenere conseguentemente un riconoscimento politico alla loro crescita economica; così divengono portatori del desiderio di spostarsi, alla ricerca di quelle cose e di quei ruoli che in patria non possono avere. È quel qualcosa che spinse il giovane Scipione l’Africano a ritirarsi a Siracusa per un tempo infinito, per addestrare i suoi futuri soldati in vista del trasferimento in Africa e quindi della vittoriosa giornata di Zama. Convivere con il contesto eroico delle proprie origini, acculturarsi a Milano, dove qualche siciliano come Cuccia e Pirelli, disegnava le fortune delle imprese private italiane, costrette ad agire in un contesto privo di una reale politica industriale, se non per quel poco realizzato dai due colossi pubblici dell’epoca: IRI ed ENI, fu la missione di Bettino. Sull’altare dei due colossi avviati nel disegno del Presidente Moro, alla loro dissoluzione, fu immolato lo statista pugliese, mentre il Presidente Prodi avviava con la sua speciale legge sulla procedura (3 aprile 1979, n. 95), il salvataggio delle imprese, incappate in circostanze non favorevoli (caso Genghini, in Arabia Saudita ad esempio). Sul punto si verificò una straordinaria coincidenza di interessi politici. Se da una parte Moro e il PCI all’interno della futura Primavera di Praga tentavano di dare priorità all’iniziativa privata, dall’altro, sia pure al prezzo dell’incremento del debito pubblico, Andreotti e Craxi si occuparono di rilanciare la presenza internazionale del nostro Paese sia nella direttrice Africa e Medio Oriente, incluso il Corno d’Africa, sia la rinnovata coltivazione dei rapporti con l’Est Europeo, con la creazione anche a Trieste dell’INCE – Iniziativa Centro Europea – e della Facoltà a Gorizia di Relazioni Internazionali, dove formare la futura classe dirigente della scomparente URSS e dei due Patti, quello militare di Varsavia e quello economico di Sofia, contemporaneamente avviando la trasformazione del Ministero degli Affari Esteri in Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale. Sia nel Mediterraneo meridionale, incluso Israele che a Oriente nasce il processo di trasformazione delle varie realtà; in Tunisia, in Libia, in Marocco con la favorita creazione dell’unione magrebina araba, nel rispetto dell’OMC, che promuove la formazione di unioni regionali  e con la pacificazione intervenuta fra Egitto e Israele, nonché con la rivoluzione Komeinista voluta dal Bazaar di Teheran e sostenuta fra l’altro da Mediobanca, che peraltro vedeva in Craxi il suo rinnovante fautore; nasce al contempo, l’Iniziativa Centro Europea – INCE – che su indicazione della Commissione Economica per l’Europa delle Nazioni Unite – UNECE – avvia la procedura per creare il presupposto per la collaborazione con i paesi dell’Est, ormai rinnovati. Intanto, si procedeva alla modifica dei Patti Lateranensi con il magistrale ausilio di Chiomenti e del suo studio, capace di portare, nonostante l’ormai incalzante e irreversibile, carenza di vocazioni, a far rimanere esenti fiscalmente la gran parte delle attività ecclesiastiche anche di una qualche rilevanza economica. La cosa simpatica fu che durante il negoziato la delegazione vaticana, per vari motivi anche politici, sarebbe stata disposta a farsi prevaricare anche sui temi economici,ma quella italiana preferì non infierire, naturalmente Chiomenti seguiva le indicazioni fornite da Craxi, personalmente. La rivoluzione su carta bollata, fondata dal Giudice cattolico Gherardo Colombo, incominciò a liquidare la Prima Repubblica; Craxi diversamente da tutti capì in Parlamento e in Tribunale che ciò che era stato normale per Ugo La Malfa e in parte per Tanassi e Rumor, non lo sarebbe stato per lui e memore di Catone Uticense, si trasferì ad Hammamet. Il ritiro dalla politica attiva e il tramonto della Prima Repubblica lo porta ad indagare il significato del trascendente: perché la presenza di cinque donne, di un ragazzo e di un anziano ricco e saggio sotto la Croce? Proietta tale vista sull’incedere dei Profeti nell’Antico Testamento; considera la rigida morale di Tertulliano (lui che era stato lettore attento del “Pervirgilium Veneris”) e l’ebraico apprendimento di Maometto per l’opera dell’Arcangelo Gabriele. Sente Egli la presenza e la possanza degli eventi, come il telegramma disatteso del Comandante della fortezza di Giado che dinanzi alla risposta di Mussolini, richiesto di sapere che fare dei prigionieri ebrei ed arabi detenuti nella citata fortezza, telegrafò “Uccideteli tutti”. Non per Craxi, non era Graziani e i suoi metodi ad avere ragione, bensì semmai Balbo in specie se avesse avuto il coraggio di aprire le scuole di ogni ordine e grado anche ai ragazzi arabi, oltre che ai piccoli ragazzi sefarditi, che poi sarebbero stati oggetto, sotto il regime inglese vincitore in Libia, di violenze inaudite. La comunità sefardita fu poi espulsa dal Colonnello Gheddafi all’inizio degli anni ’70, riparando in quell’Italia da cui attraverso Balbo avevano avuto la cittadinanza, mentre il piccolo libico arabo, intellettualmente più avanzato, nel 1945 aveva la quinta elementare. Venuti in Italia attraverso l’ottima azione della comunità Sefardita, presieduta da Raffaello Fellah e per il resto degli espulsi dalla Signora Orrù sono stati indennizzati adeguatamente sia in natura (posti di lavoro) che in denaro. Gli espulsi in occasione di una delle tornate elettorali europee ottennero nella lista di Rutelli un forte successo, sempre ispirato da Andreotti e Craxi, con Raffaello Fellah. Rutelli aveva promesso di dimettersi, per consentire l’ingresso a Strasburgo dei fuoriusciti dalla Libia, ma poi rifiutò, forse così modificando il corso della storia libica. Craxi sa che la rivista “Trenta giorni” personalmente diretta e voluta da Giulio Andreotti, porta avanti il cosiddetto “trialogo” per la gente del “Libro”, per la ricerca della pace, fondata sulla non violenza e principalmente sulla sacralità del libro, da cui deriva la sua immodificabilità e la sua non possibilità di interpretazione, se non che con il metodo del “Qyas”, cioè della analogia juris. Di ciò Maimonide e il Giudice di Cadice Averroè sono ampiamente testimoni: la legge di Dio non è modificabile come anche nella Roma non lo erano le dodici tavole alla stregua di quelle di Sparta e degli insegnamenti di Confucio; la Repubblica Popolare Cinese, peraltro il 24 maggio festeggia Maria Ausiliatrice sua protettrice. Craxi rammenta il veloce incalzante ritmo dei remi calati nel Mediterraneo dalla flotta imperiale di Nicea inviata dalla sorella di Manfredi Anna Costanza, per salvare Beatrice e i suoi figli, moglie di Manfredi ucciso a Benevento dagli angiò invasori. Troppo tardi. Quella madre viene portata al cospetto dell’angiò, a Barcellona Pozzo di Gotto, il vincitore di Benevento, uccisore di Re Manfredi. Quel mancato salvataggio comporta per la Sicilia l’abbandono della eredità conviviale e non solo tollerante sveva, araba e normanna, fra le varie fedi. A quel punto la Sicilia esce dalla storia e chi vuole essere nella storia deve andare altrove, come fece la famiglia di Bettino a suo tempo. Stessa sorte fu per Anna Craxi, anche per lei non arrivarono navi dall’Oriente ma dinanzi agli incalzanti processi che travolgevano il ruolo politico del marito, lo seguì nell’esilio di Hammamet, ben sapendo che da lì alla stregua di Catone non sarebbe più tornato, neanche da morto; come avvenne nel secolo diciannovesimo per migliaia di mazziniani genovesi e come detto di siciliani resistenti ai Borboni, poi naturalizzati francesi. Craxi, moderno Averroè, si dedica fra l’altro agli studi di arabistica e d’islamistica. Dinanzi all’uso del diritto per far cessare la Prima Repubblica, riscopre il libro: “La Bibbia” vetero-testamentaria, il Nuovo Testamento, antesignano della scelta verso i più deboli e poveri, che i gesuiti avrebbero poi fatto in centro e Sudamerica, fino al conseguente scioglimento voluto attraverso il Papa, dal portoghese Marchese di Pombal. In tutto il mondo i Gesuiti sono e furono combattenti e formatori di una potenziale classe dirigente, rinnovata e fondata su una perfetta giustizia amministrativa, da applicare tanto con austriaci e boemi, quanto con i guarany uruguaiani e argentini e con la gente della Guadalupa. Rinati i Gesuiti, pubblicato “Il Manifesto” del Partito Comunista e la “Guerra Civile in Francia”, la Chiesa chiede a Don Bosco di togliere i giovani futuri proletari del mondo dalla prospettiva di aumentare le fila dei comunisti, ufficialmente atei, così facendo nasce la Congregazione salesiana, fondata a Torino, ma subito radicata a Randazzo e nei paesini intorno all’Etna. Il riformismo operaio cattolico diretto innanzitutto alla formazione dei compositori delle tavole dei giornali, come oggi avviene invece con macchine ormai elettroniche, sempre comunque presso scuole gestite dai salesiani in alcune regioni italiane, ma poi anche in Palestina, Egitto e Albania, dove si sono sostituiti ai gesuiti nella formazione delle future classi dirigenti, immaginando anche una nuova capitale fra l’altro per l’Egitto. È la ragione della nascita prima del socialismo riformista, poi della socialdemocrazia e nel 1943 negli stabilimenti FIAT di Torino, della stessa Democrazia Cristiana e della CISL con Don Giuseppe Gemmellaro, poi fondatore dell’Università Pontificia Salesiana dove – peraltro – si consumò il dramma di Don Lutte e di Don Gutierrez, che avrebbero voluto l’impegno dell’università immediato al servizio degli indigenti di “Prato Rotondo”, luogo di prostituzione maschile e femminile, di femminielli coltivati e forse di pedofilia; la redenzione Hic et nunc a fronte della redenzione nel tempo e nel mondo: nel Matogrosso come in Ecuador o in Zambia che l’educazione universitaria avrebbe consentito ai futuri missionari salesiani. Processo e radiazione dalla Congregazione, ma problema aperto se da quel contesto scaturì la teologia della liberazione con il motto “Fratello ti uccido perché ti amo” e le varie esperienze sandiniste delle diverse sinistre sudamericane. Craxi con la cooperazione internazionale agisce in Russia, in Somalia, in Uruguay, in Argentina e in Angola, come in Mozambico. Ma gli sforzi sono enormi e non portano i risultati redentivi attesi, salvo che in Palestina, dove qualcosa a livello agricolo e artigianale sembra funzionare. Rientra quindi in Craxi il tema del sacro. E l’amore sacro, totale e assoluto: amore incondizionato, quale che sia il credo di riferimento, fra i tre monoteismi mediterranei. Amore partecipe che si transustanzia evolvendo così da particolare a universale, affinché dalla gioia si possa trascendere a livello del “Cielo in una stanza”, cioè dell’Amore che è come la Legge consustanziale a Dio, anche usando le endorfine ottenute per partecipare di esso, l’essere umano ricomposto nell’unità della dualità deve accorgersi che l’amore di cui si parla è ben più di gioia; è dolore, è compresenza, è comprensione, è accettazione, è donazione di sé, è rinuncia, ma è anche attesa, ricerca della condizione umana e divina: quella della pregnanza che reca in sé il segno di una nascita che porta impresso altrettanto ineluttabile il segno di una condanna a morte. Nel nome di Dio Grande e Misericordioso Craxi cerca la salvezza, attraverso la preghiera, comune pratica delle tre religioni. Dall’inizio dei tempi il Dio monoteistico nei suoi 100 nomi, è un Dio perfetto, un Dio troppo grande per l’uomo, immensamente grande e misericordioso, mentre gli Dei dell’Olimpo non riescono a uscire dalle mille paure dell’amor profano, l’Altro non riesce ad amare che la sua perfezione. Egli è il Santo, è l’autore assoluto che permette a colui che è Dio, il Santo, il Santo, il Santo, di amare fino al punto di volere dalla Vergine più bella a lui dedicata dalla nascita e più pura, il Figlio con cui condividerà la natura Divina e attraverso l’amore che rilega nell’assoluto, determinerà anche la natura altrettanto pienamente umana del Figlio. Come qualsiasi innamorato, il suo messaggero parla a Maria appellandola come piena di grazia. Il messaggio non è riduttivo o possessivo è considerativo e associativo della speciale natura di Maria, creatura priva del peccato originale, amata e amante nella totale accettazione di quel disegno (il mistero del concepimento) senza uguale che porterà l’Essere Umano a essere Figlio di Dio, fratello in Cristo l’uno e l’altro attraverso una delle morti peggiori immaginabili, la Crocifissione, sconfitta, poi, dalla Resurrezione attesa, ma quanto ritenuta possibile dopo l’affidamento al giovane Giovanni elevato al rango di figlio vicario? Ma cosa può essere per una Madre partecipare alla Crocifissione se non un atto d’amore estremo e assoluto, atteso, meditato, voluto per la successiva Resurrezione. Il coraggio di esserci ma non di cedere quando i chiodi si conficcano nel suo cuore: ancora una volta la Madre riceve, con le altre “Pie – perché amavano Lui – vero uomo e vero Dio” – donne, la violenza oscura dell’amore/morte; non uomini a consolarLe – solo un bambino e poi un vecchio che va a riscattare il Corpo, vicini a Loro – hanno nulla da perdere, hanno già perso tutto: l’oggetto-soggetto del Loro amore, Gesù. La vita per una Donna, felice in forma assoluta, che ha amato Dio nel mistero del concepimento e quindi il Figlio da Lui ricevuto, si è compiuta sin dall’inizio dei tempi. Essa vive in un tempo senza tempo, perché da sempre era scritto che avrebbe schiacciato la testa del serpente: cosa sono alcuni miliardi di anni dalla creazione rispetto all’eternità? Nulla di meno di una frazione di tempo, irrilevante. Nell’annunciazione e nella conseguente accettazione dell’amore divino, umanamente coglibile nella sua immensità senza retorica, nella pienezza compiuta dallo spirito, dell’armonia universale e della carne, si compendia il destino della Donna Suprema, l’unica degna di ricevere al suo interno la Gioia di Dio che da Eterno, si storicizza per creare una nuova eternità, all’interno del mistero trinitario dell’amore, lo Spirito Santo. In Maria coesistono al momento dell’annunciazione tutte le stagioni dell’amore – eros e thanatos -: concepimento, nascita, contemplazione glorificante, e meditabonda, profezia della disintegrazione totale dell’amore (Simeone nella presentazione al tempio), quando una spada Le trafiggerà il cuore, fino alla Resurrezione e all’Assunzione in cielo, nuovo compimento in una dialettica contemplazione del Figlio e nella femminilissima adorazione del Padre amato amante. La Donna, la parte ricevente del dono dell’amore è l’Amore stesso. Essa accettando l’annuncio compie una scelta, anzi la scelta che il mondo temporale non potrà più scalfire, Essa è l’altare ed anche la vita, la via e la verità, che germina insieme e sempre rinasce; l’uomo fungibile, per definizione, diviene valore assoluto, perché scelto ed eletto quale unico soggetto identificato e destinato a riprodurre la vita. L’uomo viene liberato del tempo reale e assurge a divino e universale, rimanendo fedele ad una certa idea che la Donna scegliendo si è fatta di Lui. Amato Figlio dell’amore ricevuto e accettato. Medita Maria, le parole alle nozze di Canaan, medita le parole del Tempio, medita sui sermoni della montagna, medita Maria alle parole date all’adultera, medita sui capelli della Maddalena che ama tutto e integralmente del Suo amato senza paura e senza fastidio, la lavanda dei piedi e l’uso dei capelli per asciugarli, ogni e ciascuna parte di sè tende all’amato, su fino al calvario, poi giù fino alla tomba; sono le donne che portano la notizia della Resurrezione, quelle stesse che sfidando la decomposizione, per amore si portavano da Lui per ungerlo come un Re merita: il Re cioè l’Amato. Re perché amato, accettato e ricevuto. Senza altri uomini intorno, l’uomo amato era morto, Gesù; gli altri pallide figure fuggiasche e prigioniere di sè. Gesù e prima Osiride, e poi Mitra, senza violenza amano. Là rimasta, la Madre sta attonita e silente insieme alle donne che lo amano. L’amore non ha paura, l’amore che incontra il Crocifisso, non è silenzio e non è pianto è orripilante dissacrazione di ogni possibile dignità umana. L’amore disintegrato di una missione fallita: quella della vita ricevuta e concepita e poi violata sino alla sua totale negazione: “Stabat mater, mater dolorosa, via dolorosa”. Ma nulla può accadere a chi ama, in Lei non v’è terrore per i Kaifa di turno come prima per l’Erode, massacratore d’innocenti. Essi esistono non vivono, cioè quando il corpo del Figlio è dilaniato e violato, la Madre partecipa dell’impotenza della vita dinanzi alla morte. Sul Golgota muore l’essenza umana di Maria e fa sorgere quella Divina, transustanziazione dell’umano Amore in Divino. Demetra oppressa dal rapimento di Proserpina è antica e vendicatrice nuova Medea. La donna madre amata amante brucia le messi e le ricrea, diviene la Maddalena degli apocrifi, a che incarna, future stirpi regali, diventa Nostra Signora dell’Amore, che rende amor c’ha nullo amato amar perdona, diventa la causa o il principio perché il suo ricordo e la sua nostalgia porta a rivederLa nelle sembianze che la luce ci mostra, liberando le endorfine necessarie, o come, Giuseppe Alessi (conterraneo dei Craxi), avrebbe detto di Piazza San Venceslao a Praga per Jan Palach: una Cattedrale! La Luce che ci conduce inevitabilmente al mare luogo della vita. Maria, sola da sempre, la Madre del Signore, però, non si vendica, non grida, non protesta, ama, riamata; Essa diviene il primo Profeta cristiano del Tempo nuovo dopo l’Ascensione del figlio: Fino a quando l’Amore che la chiamò “Piena di Grazia” non la richiama a sè nella orientale dormitio per una eternità nuova ma mai cessata Viva Maria Piena di Grazia. Craxi, in esilio, afflitto dal diabete, non può occuparsi continuamente della ragionata rivoluzione in carta bollata, ma si preoccupa della rappresentatività delle cooperative nei vari segni che le contraddistinguono e dei sindacati. Dove lo Stato non giunge e dove il volontariato deve ancora arrivare. La domanda che si pone Craxi è se il PC possa confluire nel PSI di Ottaviano Del Turco e di Villetti, ma servirebbero soldi e politici adeguati. La riflessione non porta frutti, il nome del PSI si snatura e si perde in cose modeste, mentre nasce Forza Italia. Craxi, ospite del Presidente Ben Ali e di tutto il mondo arabo, si pone la domanda che già attraversa la Tunisia che è stata già ed è paese dell’accoglienza e si avvale del microcredito come gli stessi USA e rimane tale paese accogliente e con gli altri simili si trova a gestire la “Fair Competition”, a scontare il problema dell’omologazione fra prodotti similari, ormai tutti ugualmente realizzati. È come l’olio d’ulivo che con licenza di esportazione tunisina, consente agli italiani di continuare a usarlo e a spenderlo nel mondo. Il conflitto fra il fenomeno migratorio e la necessità di affermare attraverso strumenti non puramente meccanici la qualità che deve indurre al consumo di determinati prodotti, spinge oggi alla necessità di creare il marketing territoriale; diventa da una parte fattor comune di accoglienza, la necessità di creare istituzioni e formare risorse umane capaci di far fronte con alta professionalità alle necessità esportative, dall’altra la ragione per cui la nuova coesione sociale è miscelata alla dignità delle tradizioni fondate sulle evidenze archeologiche e non solo (come già detto, pensiamo alle decine di grandi Chiese preislamiche ritrovate in Tunisia dal Prof. Giuseppe Roma dell’Università della Calabria). Finalmente, sembra considerare Craxi, le Nazioni Unite, in particolare l’ILO e l’ECOSOC hanno compreso che uno sviluppo che tenga conto del bisogno dei poveri e delle culture rappresenta un necessario contrappeso ad un modello di crescita fondato su delle valenze esclusivamente economico-finanziarie. Governare i processi di mutamento culturale che derivano non solo dall’intensificarsi dei contatti tra individui e gruppi con differenti culture, ma anche dalla creazione di interazioni sociali di condivisione partecipativa e poi famigliare fra gli individui e gruppi, proponendo dei modelli di interazione, di esistenza comune, di comune progettazione, basati sul valore delle origini (archivi e biblioteche, arti musive e lapidee come contenitore del messaggio) e quindi sul rispetto delle diversità e sull’accettazione delle differenze che in questo senso diventano punti di forza, quindi fattori di omogeneità creativa e di complementarietà esistenziale, sull’esempio di società miste già esistenti come gli stessi USA, il Brasile, la Germania, il Sud Africa, la Gran Bretagna. In tale prospettiva Craxiana, si trova da tempo anche l’analisi delle grandi organizzazioni culturali, multilaterali come il Consiglio d’Europa e l’Unesco, le quali sottolineano la necessità che le politiche culturali e la qualificazione delle risorse umane assumano un ruolo determinante nell’orientamento generale delle politiche per lo sviluppo. Ciò è tanto più vero se si riflette sul ruolo centrale che nei processi di integrazione europea rivestono le politiche culturali e le qualificazioni delle risorse umane, tendenti ad evitare tanto il fondamentalismo, quanto il fenomeno della omologazione (che anche sul piano economico del consumo, disorientano il consumatore,  e non determinano un risultato: ricordo il motto dell’azione studentesca “Non comprate amerikano” che accompagna le ballate di Joan Baez e quelle cult nostrane di Fabrizio De André tristemente caducato per il mancato passaggio globale del suo tema elitario, alla gente che costituiva e costituisce la cosiddetta maggioranza silenziosa, mentre l’immaginazione conserva il potere eliminando persino il grande De Gaulle, come direbbe Papa Francesco), specie nei rapporti con i paesi terzi del Mediterraneo e con quelli dell’Est europeo. Certo, direbbe Craxi, alla stessa stregua di Papa Francesco, oggi le modalità con cui le due dimensioni – cultura e sviluppo – interagiscono, vanno sempre più approfondite attraverso la chiarificazione degli obiettivi, l’analisi delle politiche e la dotazione di strumenti di intervento adeguati. È a queste esigenze che si vuol dare una risposta, nel tentativo di attuare il piano di azione adottato dalla conferenza intergovernativa sulle politiche culturali per lo sviluppo, promossa dall’UNESCO già nel 1998 (noto come piano d’azione di Stoccolma) ancora in corso di applicazione. Gli strumenti previsti permettono in sede applicativa di seguire talune principali direttrici nei programmi di ricerca:

  • La prima riguarda l’analisi comparata della politica commerciale e degli IDE (investimenti diretti esteri/FDI), nonché di quella estera europea e statunitense nei riguardi dell’area mediterranea meridionale e balcanico-danubiana;
  • La seconda riguarda l’analisi delle dinamiche socio culturali-religiose e politiche che nell’area europea e mediterranea, derivano dall’incontro con la “modernità” e con la privatizzazione del terrorismo nel confronto con gli stati; la crescita della società civile, l’acutizzarsi delle povertà morali e materiali nei vari paesi ed il loro ruolo nelle relazioni anche economiche-internazionali;
  • Una terza linea di ricerca va dedicata da un punto di vista interdisciplinare alle problematiche relative alla protezione del patrimonio culturale (si pensi al Bardo di Tunisi) delle popolazioni mediterranee anche attraverso l’elaborazione del coordinamento di programmi di ricerca comunitari ed internazionali.

Le ricerche così identificate, una volta realizzate consentirebbero, sulla base dei risultati ottenuti, di perseguire finalità di integrazione culturale a diversi livelli su molteplici issues, analizzando temi quali l’integrazione degli immigrati in Italia e nell’Unione Europea, la costruzione di una comune cittadinanza europea e balcanico-mediterranea che si fondi su una visione culturale condivisa con i paesi dell’Europa centro-orientale e balcanica, il dialogo etico politico e socioculturale con la Russia e con i paesi del sud del mediterraneo, i rapporti strategici e commerciali con gli Stati Uniti, le visioni dell’Europa e dell’Occidente diffuse nelle altre società, in quanto fattori che influenzano le relazioni internazionali, anche commerciali e l’atteggiamento nei confronti dell’Italia e dell’Unione Europea. Chiaramente nello sviluppo dei programmi di ricerca questi obiettivi, verrebbero perseguiti attraverso due punti:

  • Il coinvolgimento di strutture appartenenti a diversi ambiti territoriali e quindi culturali e cultuali;
  • L’ottica comparativa tanto negli studi analitici, quando negli orientamenti progettuali;
  • La selezione di aree e temi di ricerca rilevanti per la promozione di politiche che favoriscano una maggiore integrazione politica, economica, culturale e cultuale fra società diverse e all’interno delle medesime.

Occorre naturalmente dedicare uno sforzo originale e innovativo allo studio ed al dibattito attorno alle tematiche connesse, all’estensione della cittadinanza europea e mediterranea comune sul modello che fu di Caracalla, e, con lo sviluppo di modelli di società in grado di coniugare pluralismo interno, legislazione adeguata alle buone prassi dell’OMC e dell’UE, e, condivisione di valori etico politici fondamentali e non negoziabili quali: i diritti dell’uomo, della donna, del fanciullo, del lavoratore e dell’anziano; il rispetto e la tutela attiva dell’ambiente, i diritti inalienabili e le libertà fondamentali, la prassi democratica e le indicazioni cultuali e rituali altrettanto costitutive se non oggi prevalenti. A questo punto il soggetto esperto nell’ambito del marketing d’area che ha fondamento della sua azione le risorse archeologiche e quanto contenuto negli archivi o nelle biblioteche che costituiscono l’unico valore aggiunto che un’area può conferire ai propri prodotti, assume un ruolo determinante nell’ambito della regolazione nel processo di internazionalizzazione dell’economia, vuoi nel territorio in cui ha sede l’azienda alla cui attività concorre, vuoi nelle diverse aree dove per ragioni di approvvigionamento o per ragioni di espansione mercantile e/o produttiva si va a localizzare. È il protagonista, e la soddisfazione del consumatore, trasforma quest’ultimo prima in azionista e poi in politico. L’approccio che tale nuovo soggetto deve assumere da un punto di vista metodologico sarebbe di tipo interdisciplinare e il soggetto nell’ambito della esplicazione delle proprie capacità e competenze dovrebbe applicare le diverse scienze sociali (sociologia, storia, antropologia, etnostoria, economia, scienza della politica) fra loro in uno con le discipline giuridiche, filosofiche, teologiche e tecnologiche. Il metodo interdisciplinare consentirebbe al nostro protagonista di perseguire due finalità permanenti dei programmi di ricerca, di investimento e di commercializzazione:

  • lo studio dei processi attraverso i quali la dimensione culturale condiziona le dinamiche sociali, politiche, istituzionali e legislative nei diversi contesti;
  • l’analisi delle influenze che modernità e globalizzazione esercitano, a loro volta, sull’evoluzione socio-culturale e politica interna a ciascuna società, attraverso l’adesione o meno ricettizia o contraddittoria degli stimoli proposti dalle culture eterodosse.  Le vicende vissute Cirio e Parmalat, confermano il fatto che il sistema Italia non dispone più di grandi imprese in grado di sostenere la concorrenza e la competizione internazionale. Solo il sistema delle piccole e medie imprese che dispone ormai di un proprio strumento di capitalizzazione borsistica può sostenere il confronto con il resto del mondo.  Ma tale confronto non può più essere figlio di ragioni di scambio puramente economicistiche, ma come giustamente sosteneva il Palomba e più di recente la Stefanut,  deve essere al servizio dell’essere umano, in maniera tale da soddisfare la totalità dei suoi bisogni e quindi di aiutarlo ad esprimere la totalità dei suoi valori. Il punto di forza di tale proposta oltre che funzionale all’ambiente di cui è espressione viene a consistere nella definitiva consustanzialità con i giacimenti culturali.

La logica di valorizzazione integrata dei beni culturali I Beni Culturali hanno svolto da sempre un ruolo strategico per l’Italia, non solo in qualità di importante risorsa da un punto di vista culturale, ma anche economico. Naturalmente questo è in gran parte dovuto al fatto che il patrimonio storico, artistico e architettonico del nostro Paese non ha eguali nel mondo per consistenza numerica e valore culturale: 40.000 i castelli e le rocche, 95.000 le chiese, 30.000 le dimore storiche, migliaia le biblioteche, e, gli archivi, circa 3.800 i musei e 2.000 i siti archeologici. In tale scenario, assumono un ruolo di primo piano le biblioteche e gli archivi, sia perché rappresentano più di altri l’identità culturale a livello locale e non, sia perché sono diffusi in maniera capillare e preponderante su tutto il territorio nazionale. Le biblioteche, così come gli archivi, possono costituire una leva importante per l’innovazione e la promozione del territorio, diventando veri e propri strumenti di marketing territoriale, valorizzando le risorse e i beni del territorio attraverso la cultura locale. È bene ricordare come il più antico testo coranico occidentale sia conservato nelle biblioteche di Venezia e ovviamente, qualsiasi prodotto venga proposto con riferimento a quella Sacra Pubblicazione, finisce per diventare il passaporto necessario per la spendita di beni e servizi nei territori di cultura islamica. Questa nuova prospettiva, orientata al marketing territoriale, richiede un cambiamento culturale significativo: è necessario un passaggio da una cultura che si esaurisce nel solo aspetto storico-artistico ad una che comprende un orientamento di carattere maggiormente manageriale e gestionale dei Beni culturali e nel caso specifico delle biblioteche e degli archivi. Sempre sul piano delle relazioni con il mondo islamico, non dimentichiamo come gran parte della letteratura dell’VIII e del IX secolo, sia conservata negli archivi Vaticani e nel Palazzo del Duca di Medina Coeli a Madrid (in quanto il Duca prese gli archivi e le biblioteche arabe di Messina a ristoro delle attività militari che dovette svolgere per riprendere la ribelle Messina). In questa nuova funzione che dovranno svolgere le biblioteche e gli archivi, lo Stato dovrebbe rivolgere grande rilevanza alle azioni di comunicazione che le biblioteche stesse dovranno svolgere, in quanto dovranno “indirizzare una parte consistente delle proprie risorse per promuovere il prodotto territorio, prendendo atto di un principio di forte interazione che la comunicazione pubblica è chiamata ad assorbire, elaborare, esprimere ed immettere sulla scena sociale ed economica: un tessuto connettivo capace di leggere/far leggere il territorio nella molteplicità dei suoi aspetti e delle politiche espresse. È in questo senso, il fine dell’Istituzione (Biblioteca) sarà raggiunto attraverso un uso più consapevole di uno strumento al quale il dibattito odierno riconosce sempre maggiore importanza: il marketing territoriale”, sapendo che ancora oggi la massima aspirazione del soggetto che raggiunge grandi obiettivi in termini finanziari – sociali e politici è di essere ammesso come socio a Club Saint Andrews di Scozia e ricevere come riconoscimento l’onorificenza dell’Order of British Empire. Le due appartenenze però non sono altro che tentare di rientrare nell’Antico Impero Romano così come creato da Claudio: la Britannia, quasi a conferma che le migrazioni e le ambizioni siano determinate dalla ricerca di un consenso sociale e di una prospettiva di qualità della vita che solo chi fruisce di servizi provenienti da radici di alto lignaggio culturale può avere. In sostanza, oggi la domanda vitale non è quella di lasciare il mondo un po’ migliore di come si è ricevuto, ma essere vissuti ottenendo un certo riconoscimento sociale che ricada in un passato di cui l’Europa romanistica sarebbe l’unica depositaria. Le imprese e i soggetti pubblici e privati che hanno il compito di assicurare quel processo di crescita del Prodotto Interno Lordo, devono applicare il principio del fare per assicurare all’essere umano la necessaria qualità della vita. “Fare” vuol dire trasformare le idee in progetti concreti, affinché innovazione e Sviluppo Economico divengano un dato costante del nostro modo d’essere, accompagnandosi tuttavia al mantenimento di quel modello di solidarismo che ha consentito comunque al nostro paese di attraversare in maniera dignitosa la tragedia di due guerre mondiali. L’attività delle nostre imprese, anche artigiane, deve essere una felice sintesi di tradizione e modernità, fantasia e concretezza e responsabilità sociale, da ciò discende che il nostro prodotto deve necessariamente essere figlio della nostra cultura materiale e generale. Il ruolo di promotore e diffusore di tale processo non può non essere che il mondo degli archivi e delle biblioteche, portante l’universo del nostro retaggio, che nella competizione globale è l’unico elemento che può fare la differenza; promuovendo l’acquisizione di quell’impronta di originale e di nuovo nell’antico, all’interno del concetto di qualità sociale e di qualità totale che certamente supera di fatto e di diritto la proposta commerciale delle multinazionali; un esempio concreto nel senso, è il successo dell’iniziativa denominata Eataly, sull’esempio dei precedenti Fauchon di Parigi e la Fortnum and Mason di Londra. A tu per tu Un’improbabile intervista a Bettino Craxi oggi si aprirebbe con la domanda – Esiste oggi una cultura euromediterranea o bisogna costruirla attraverso l’opera di vari mediatori culturali? Risposta – Una persona è il simbolo della cultura euromediterranea; Claudia Cardinale (nata e cresciuta in Tunisia e poi trasformata in grandissima attrice da Luchino Visconti). Battute a parte, due eventi hanno segnato la storia delle sponde del Mar Mediterraneo; l’incendio della Biblioteca di Alessandria d’Egitto d’ordine del metropolita di Costantinopoli e dell’Imperatore Romano d’Oriente, Teodosio prima, sulla base della considerazione che tutto quanto non fosse contenuto nella Bibbia, era superfluo. Poi il Califfo Omar, che sulla base dello stesso ragionamento, completò l’opera; il secondo episodio è voluto dall’Imperatore Giustiniano, colui il quale cristallizzò l’ordinamento giuridico romanistico, dopo che Diocleziano (inter alia cfr Francesco De Martino in “Individualismo e diritto romano privato” e “La giurisdizione nel diritto romano”) aveva congelato la società civile romana incatenandola ai ruoli e alle funzioni esistenti al momento dell’entrata in vigore della relativa normativa e che si ritrova ancora oggi pienamente in vigore nel codice comportamentale nell’India delle caste. La guerra gotica, Narsete e Belisario, così come i Goti invasori, anche loro residuali portatori di una certa idea della “dignitas romana”, decisero di fare terra bruciata di ogni possibile forma civile di vita sociale organizzata e in particolare di ogni forma di vita civile e politica. L’Impero in crisi, così come gli invasori di varia origine avevano come già con Diocleziano, un bisogno enorme di denaro che in presenza di una crisi demografica ormai irreversibile, portava a tempestare di prelievi quanto restava del ceto urbano e mercantile (descritti da Petronio nel “Satiricon”) e soprattutto gli ultimi contadini liberi. Nessuno aveva più possibilità in Italia, così come in Europa di apprendere qualcosa da qualcuno, a meno che non fosse direttamente utile alla mera singola sopravvivenza. Con la rara eccezione delle piccole aree benedettine della Regola, delle “Ora et labora” di taluni centri come Venezia, l’altra Svizzera, l’Inghilterra e l’Irlanda che secondo il modello teorizzato a suo tempo dall’Imperatore Claudio e da Traiano diversi secoli prima, prevedeva la formazione di una biblioteca a Roma, realizzata poi da Traiano nel suo foro, accanto a quella di Alessandria e poi di un’altra all’estrema periferia dell’Impero, in terra di Irlanda. Dall’Irlanda poi ripartirono i monaci che riportarono gli incunaboli e la cultura in Europa, consentendo così alle varie corti dei nuovi regnanti di poter legiferare e di riavviare un minimo di amministrazione, sempre principalmente ai fini fiscali e doganali, considerata che era ormai quella la principale forma di reddito per alimentare la limitata e sclerotica pubblica amministrazione. La storia si sviluppò invece in maniera opposta nella sponda meridionale del Mediterraneo. Le continue guerre di confine fra i due grandi imperi, quello Bizantino e quello Persiano e l’accentramento della nobiltà terriera e mercantile presso le rispettive corti, presso le quali si era identificata la dignità del sole imperiale con quella del sole della suprema autorità ecclesiastica (uno dei titoli portati dal sovrano bizantino era non a caso quello di tredicesimo apostolo cioè la qualificazione dell’unico uomo che veniva considerato commensale del Figlio di Dio e quindi pienamente facoltizzato, come fece a convocare e presiedere i Concilii) avevano pertanto una enorme riduzione delle riserve in oro e in argento dovuto al continuo peggioramento del disavanzo della bilancia dei pagamenti, causato dalle importazioni dalla “Cindia” e dall’Arabia e allo sviluppo del debito pubblico necessario ad alimentare le truppe mercenarie  da una parte e dall’altra a pagare tributi alle genti che si affacciavano ai confini, minacciando spesso la stessa Costantinopoli (se volessimo venire in possesso come collezionisti di monete romane di varie epoche, dovremmo scavare o nei luoghi dove l’amministrazione imperiale batteva moneta – per esempio ad Aquileia e Claudiopolis – oppure dovremmo cercarle in Arabia, in Somalia, in Novergia e in Polonia, o ancora in Afghanistan, India e Cina). In tali condizioni il gravame impositivo sui contadini ormai ridotti quasi allo stato servile aveva superato il 90% del reddito disponibile oltre alle corvè cui comunque venivano chiamati, per curare la Via della Seta. Né di migliore condizione godevano i funzionari imperiali, eppur portatori di scienza e conoscenza di altissimo livello, a Damasco come a Beirut (dove peraltro continuava a funzionare benissimo la scuola giuridica di Byblos che sfornava il ceto amministrativo per tutto l’impero). Di ciò i grandi mercanti arabi che controllavano l’ancora fiorente via delle spezie, come lo stesso Maometto ben sapeva e conosceva anche per scienza diretta, erano informati. Forti e motivati dalla Sharia, quasi chiamati dai funzionari imperiali, gli arabi entrano e vincono le poche truppe presenti (usate solo per motivi di controllo del Territorio), ben accolti dagli abitanti che si vedono alleggerire il prelievo dal 90% al 10% del reddito, in caso di conversione al musulmanesimo, o qualora avessero mantenuto il proprio credo religioso al 20%. Inoltre, in caso di positiva risposta alla chiamata alle armi, esenzione totale delle imposte. Diversamente che la fusione in terra europea, la compenetrazione fra mondo arabo e abitanti delle coste avvenne in maniera, facile, salvo qualche eccezione in Nord Africa e in Sicilia. Inseriti, in un contesto, che nonostante quanto affermato da Procopio di Cesarea, aveva appieno conservato, fra mercanti, funzionari e religiosi i relativi centri formativi (pensiamo al sistema bancario pienamente funzionante da Ravenna fino a Volubilis, successivamente in grado di finanziare quanto meno la prima Crociata), il piacere della Cultura, dello stare insieme convivialmente, di frequentare i luoghi dell’antico ozio “Terme e Biblioteche”, coltivando la grazia della gioia connessa alla fenomenologia aristotelica. La gioia che attraverso le grandi scuole darà vita all’umanesimo dei primi tempi islamici, fino al contratto sociale che si avrà con l’avvento dei mongoli e quindi di nuovo con la centralizzazione amministrativa e la scomparsa dei circoli delle scuole dei primi secoli. La frattura avvenuta fra oriente e occidente si fonda ben prima della reciproca scomunica; sulla scomparsa delle biblioteche e dei circoli (convivium scipionis) che intorno a loro si erano sviluppati (sempre alla fine della guerra gotica). Solo la corte normanna di Sicilia diversi secoli dopo media fra le grandi culture ereditate (greca, araba, latina, ebraica, etc.), raccogliendo nelle nuove biblioteche reali o private i testi di riferimento, dal “pervigilium veneris” alle opere dei grandi mistici e geografi, Amari fra tutti. Spetterà quindi all’ultimo erede legittimo della casa normanna e sveva Federico II Costantino, trasferire la biblioteca delle tre culture, a cui si aggiunse poi quella anglo-scozzese degli Scoto, a Roma, in Vaticano. Il Vaticano si può giudicare forse come il depositario, nei suoi archivi, dei maggiori tesori delle tre culture, con l’aggiunta semmai di taluni elementi presenti nelle biblioteche veneziane e poi nelle grandi biblioteche di Londra e di Parigi. Peraltro, dopo la caduta di Costantinopoli, il Papato ordinò ai Padri Maroniti di comprare per suo conto enormi quantità di testi greci e arabi che portati a Roma hanno completato la raccolta di testi preesistenti. Dall’altra parte a Istanbul nelle biblioteche di stato e in quelle private le raccolte califfali di cui si conosce un inventario molto parziale, contengono quegli altri elementi che caratterizzarono le varie scuole di pensiero figlie di Aristotele e tutt’altro che sanfediste e/o oscurantiste, mentre nel suo palazzo di Madrid il Duca di Medina Coeli, ospita i volumi, in ebraico, greco e arabo, prelevati a titolo di danni di guerra dopo l’assedio e la caduta di Messina, come cennato. L’umanesimo e poi il rinascimento italiano ed europeo sono diretti figli della ricchezza dei grandi banchieri lombardi, genovesi e toscani che ridando vita alle grandi raccolte, rilanciarono la nuova cultura europea, purtroppo non più tollerante. L’Europa aveva ormai una visione eurocentrica e le grandi vie del commercio percorrevano ormai rotte marittime nell’Atlantico e nel Pacifico e nuovi soggetti diventavano importanti grazie alle nuove armi. Il mondo mongolo che aveva travolto i due imperi persiano e bizantino, era tollerante nei confronti del ceto mercantile molto meno nei confronti dell’ambiente religioso per il quale il divieto di interpretazione del testo sharaitico era quanto meno assoluto. Dalla caduta di Costantinopoli in avanti le due culture cessano di frequentarsi, di conoscersi anche militarmente. Ambedue, peraltro, sono ben consapevoli che quanto è avvenuto in Albania non è utile a nessuno. Per 19 anni Giorgio Castriota Skandenberg e la sorella animano la resistenza greco-romana cristiana contro i turchi, reciprocamente distruggendo il Territorio. Alla fine, riparati in Italia i combattenti cristiani, nella terra delle aquile rimane solo distruzione e stridor di denti. Mentre l’Impero turco conosce un’ampia via di pace interna, di tolleranza, di musica, di lirica e di apertura nei confronti dell’Asia Centrale, principiando gli scontri con l’Impero russo, culla nell’ignoranza, la sterminata penisola arabica e l’intero Nord Africa. Il sopravvenuto colonialismo di stampo francese, tedesco e britannico, sia pure in chiavi diverse avvia un processo di conoscenza in specie antropologica, seguendo le linee di tensione che separano le diverse etnie, tribù, comunità, così si ergeva a dominatore. I Reverendi Padri Bianchi e in generale il mondo cristiano e cattolico in particolare, e le biblioteche cominciano a rifiorire sia pure sempre più in funzione eurocentrica mentre si provvede alla dissoluzione della Sublime Porta, mentre l’Italia lascerà la Libia senza alcuna istruzione, significativa. Poi la seconda guerra mondiale, la fine dell’Europa coloniale, la nascita delle nuove potenze extraeuropee, la nascita del multilateralismo e delle grandi Organizzazioni internazionali, fra cui l’UNESCO. La Biblioteca d’Alessandria viene ricostruita, secondo antichi modelli astronomici e architettonici: il contenuto e il contenitore sono entrambi una chiave di lettura e un libro, che diviene consultabile in rete ovunque e in qualsiasi condizione umana e sociale. “Tutto è insegnabile a tutti” recita Comenio ma adesso le tre culture teiste mediterranee devono trovare nella comune dimensione linguistica la reciproca conoscenza non per dare vita ad un sincretismo immotivato, ma per affrontare insieme le nuove concorrenze e superare le antiche povertà e la zona d’ombra riportando all’esterno anche attraverso la rete il contenuto delle biblioteche che hanno un nome comune anche se volutamente dimenticato: Aristotele o in più piccolo Giovanni da Fiore, Al Ghazali e Maimmonide ed è stato questo il significativo compito del Craxi di Hammamet che ha lasciato a tutti noi.