(Dedicato a Emilio Albanese ucciso da ignoti il 3 Maggio del 2005)

L’ultimo giorno della sua vita Giovanni  si svegliò molto presto, come non faceva da  tempo.

Aveva subito un’operazione al cuore e dormire era una forma di terapia. Ma quella mattina era una di quelle giornate che persino a Napoli si vedono raramente. C’era un cielo azzurro azzurro,  le rondini apparse solo da poco stridevano e volavano alte, rincorrendosi  e virando in quel loro modo particolare. 

La terrazza era piena di nuovi fiori dentro i piccoli vasi  e nel giardino sottostante gli aranci profumavano come vecchie puttane. 

Annusò col viso in aria quell’odore acre e dolce insieme. Nulla gli si poteva paragonare. E poi quello era il segno  che la primavera era arrivata definitivamente.
I fiori dell’arancio disperdevano i petali in terra come neve, bastava un alito di vento per provocare una pioggia bianca dal profumo intenso.

Giovanni rientrò in casa, temprato, forte del calore della madre terra. Era la giornata ideale per una passeggiata. Lenta, a piccoli passi. Senza Traumi.
Pensò che aveva tante cose da sistemare: il pagamento delle ultime bollette, conti in sospeso, un segreto progetto di  vacanza per l’estate incipiente…e una visita in banca per prelevare del denaro.

Avrebbe fatto un po’ di operazioni matematiche dopo aver preso la colazione.  Niente caffè, solo “l’addore”
La tristezza di una tazza di orzo con frigide fette biscottate. La tazzina di caffè gli mancava come l’acqua all’assetato, usava  bofonchiare.

In cucina sua moglie  ancora assonnata stava preparando la macchinetta espresso, la vecchia moka rodata dagli anni fino a divenire perfetta. Era necessario il cambio del filtro e delle  guarnizioni  di gomma ogni tanto. “Non schiacciare il caffè sennò ci vorrà una vita per farlo uscire” disse  Giovanni. Era una vecchia storia ma sua moglie, donna del nord, era convinta che quello fosse  il metodo  giusto per il vero caffè alla napoletana.

Quando la moglie gli chiese cosa dovesse fare quella mattina   Giovanni  le rispose che sarebbe passato in banca, si sarebbe preso il tempo per salutare alcuni bottegai che non vedeva da un po’, e che avevano chiesto di lui …“Oggi è Martedì, vado da Gennarino a comprare il pesce, che dici?”

La pescheria “Mare blu”  era sulla sua  strada. Bastava percorrere Port’Alba e avviarsi su Via Toledo. Sul  marciapiede di sinistra la scritta saettava sopra un oceano color blu atlantico
“Vado, ordino  e poi  me  lo prendo al ritorno,  che devo comprare?”

La moglie gli rivolse un  gesto tipico di chi non sa rispondere. Era intenta ad ascoltare il rombo del liquido nella moka per evitare che straripasse sul  piano della cucina.  Una volta spento il gas si riempì la tazza di caffè bollente ricoprendolo di zucchero, precedendo l’usuale commento del marito con un
“Lo sai che lo  prendo molto dolce!!!”
“Un merluzzetto per me e tu le vuoi due alici? Se sono grandi le fai indorate e fritte altrimenti solo fritte… te le faccio pure pulire, tanto il tempo ce l’hanno. Poi ai ragazzi piacciono, specialmente al tuo adorato genero milanese”

Uscendo, nel chiudere la porta di casa sentì sua moglie che gli strillava dietro

“Non farti imbrogliare però, Lo sai che Gennarino ti dà quello che vuole” Le sue parole profumavano di caffè troppo dolce, pensò Giovanni.  Il resto del mondo era convinto che tutti i napoletani  fossero criminali, in un modo o nell’altro, sorrise tra sé, scendendo le scale.

Davanti a lui si spalancò la  strada. Piazza Bellini apriva le braccia alla  primavera. Giovanni amava quella piazza con le sue mura greche, nascoste a occhi distratti.  Amava quel luogo,  lì  era nato.
Lì era cresciuta la sua famiglia.  Sua madre, andata in sposa con uno del Corso, aveva ereditata  la casa alla morte di suo  padre. Mai vissuto in altri luoghi, mai tagliata una talea da piantare altrove. 

Lontano e sconosciuto il Vomero, se non per la zona ospedaliera in alto sulla collina.

Port’Alba, chiusa al traffico, sopportava annoiata  le gimcane inesauribili dei motociclisti senza casco che la percorrevano, vandali  incuranti delle regole e dei divieti.
C’era una libreria di  antichità varie i cui battenti di legno pregiato si aprivano su grandi vetrine ricolme di vecchi volumi, cartoline antiche di Napoli, quaderni dalla copertina nera, fumetti  di Nembo Kid dei primi anni del 900. Era un punto di riferimento per Giovanni che trascorreva le ore con il proprietario  Paolo Caruso, libraio antiquario  innamorato del  Cavaliere.  Chiacchiere intorno alle cose del passato. 

Per Giovanni il 900 era stato il secolo della rivoluzione culturale: il cinema, il jazz, Picasso, la Pop art, il design …la rivoluzione d’ottobre. La Repubblica democratica italiana. Mai toni esasperati, solo sorrisi e strette di mano come avviene tra gentiluomini  pur con visioni del mondo del tutto opposte.
Paolo Caruso, libraio berlusconiano fu il primo a corrergli incontro e ad abbracciarlo, lì sul marciapiede della stretta viuzza che si allarga sulla più bella Piazza della città: Piazza Dante.

Quando Giovanni, attraversando via Toledo, si fermò davanti al “Mare blu” immerso nell’oceano di Gennarino fu accolto da gioiose strette di mano dall’aroma marino. Giovanni osservò con attenzione la “spasa” sul banco del pesce dai colori inusitati.

Adocchiò una rosea pezzogna  dai grandi occhi e pur se il prezzo era un deterrente all’acquisto  non potè fare a meno di farsela pesare e mettere da parte. E’ vero,
pensò  che  non è un merluzzetto  e neanche un’alice da friggere, ma la pezzogna è la regina del Tirreno, anzi  è la Sirena del Golfo, una magnificenza. Un bel po’ di gamberi e calamari  potevano completare il pasto del  giorno senza dar nell’occhio. La sua pensione d’ ingegnere poteva pagare il lusso di una goduria  di pesce fresco.

Si avviò contento, accertandosi che la sua Signora Pezzogna fosse già nelle mani del pulitore ufficiale della pescheria, il piccolo Silvano “delfino” del proprietario.
Napoli a Maggio, “‘o mese dè rose”,  è tutta una promessa : “Turnarraggio quanno tornano li rrose…si stu sciore torna a Maggio pure a maggio io stongo ccà…Torna Maggio e torna ammore fa’ de me chello che vuo’! “.

Era de Maggio!

Piazza Dante, Piazza Carità fino  a Via Toledo dove la BNL si erge nel suo fastoso grigiore.

La  grande banca era  piena di gente. Giovanni odiava attendere senza far niente. 
Prese il numero e sedette di fronte alle casse. Estrasse dalla tasca   il giornale appena comprato e iniziò a leggerlo. ” Il Manifesto”, sempre in odore di fallimento, frusciò le pagine che venivano aperte.

Dopo ” L’unità” di Petruccioli/Macaluso, dopo il caustico “Cuore” di Serra la scelta approdò sull’isola dei “manifestari” di Valentino Parlato & C.  A febbraio il giornale era uscito con la notizia del rapimento a Bagdad della giornalista Giuliana Sgrena: “Una di noi” era la scritta sotto il bel viso della corrispondente dall’Iraq il giorno del sequestro.
Giovanni non avrebbe mai vissuto la sua drammatica liberazione, avvenuta  il giorno dopo, costata la vita a Nicola Calipari,  funzionario del Sismi, suo liberatore, colpito a morte dal fuoco amico dei soldati americani mentre l’accompagnava all’aeroporto che l’avrebbe riportata a casa.

Arrivato il suo turno, mise il giornale in tasca e prelevò la sua pensione. Pagò alcune bollette e si spostò alla cassa accanto, salutando il suo amico Carmine, apicoltore dei Camaldoli che gli vendeva del miele di eucalipto buonissimo, anche se Giovanni si chiedesse perennemente dove le api dei Camaldoni trovassero gli eucalipti. Carmine rispose con un sorriso pieno di gentilezza e di sguardi.

C’era folla a Via Toledo, c’erano i soliti  venditori di cianfrusaglie, africane sostenevano i venditori di colore.

C’erano rari turisti già in pantaloncini, magliette e grossi sandali alla moda. C’erano i viaggiatori con cani.

Chi pregava steso in terra, chi suonava con accanto un cane stanco e assonnato.  E c’erano Andrea e Monica con i loro bellissimi cani, una coppia di bracchi  ungheresi  con i loro cuccioli.

Giovanni avrebbe voluto un cane, sapeva che avrebbe anche goduto della sua energia vitale, ma esistono persone allergiche ai peli di animali. Stette a parlare con i ragazzi per un po’, poi pensò che fosse già tardi e salutò con  carezze la famiglia canina e con un “A presto” gli esponenti umani del gruppo.

Era mezzogiorno quando giunse a ritirare il pesce al” Mare Blu”.  A Port’Alba, oasi pedonale, dovette scansare motorini e gruppi di umanità a passeggio.

Era in ritardo e certamente Rita era già in assetto di guerra, fredda, ma sempre guerra, riflettè sorridendo.

Chissà se sua figlia e suo genero erano già casa, spinse  il battente del portone che si spalancò sotto le sue dita,  dovette spostarsi  strattonato da due signori che entrarono di fretta, quasi furtivi.

Non se ne preoccupò, intento a spingere il pulsante dell’ascensore che era fermo come al solito al secondo piano.  Fu un boato nella testa a fargli pensare “E’ la fine”. incredulo  con il cuore impazzito,  stordito e confuso  dal dolore non percepì neppure il colpo di mazza che gli trafisse il cervello.

Steso in terra davanti all’ascensore,  non una goccia di sangue, solo corpo con un alito ancora di vita, fu trovato dalla figlia  che era venuta da lontano per  salutarlo.

Giovanni morì in ospedale in un’incantevole mattina di Maggio, rara anche per Napoli.

“Era de Maggio e te cadeano ‘nzino a schiocche a schiocche, li ccerase  rosse. Fresca era ll’aria e tutto lu ciardino addurava de rose a ciento passe”