Caos 33 di Gep
IL CONFLITTO E’ IL PADRE DI TUTTE LE COSE.
Qualsiasi forma deve la sua origine ad un conflitto.
La teoria delle catastrofi non è una teoria scientifica.
La sua importanza risiede nel progetto di geometrizzare quelle scienze che hanno resistito a lungo ad un’analisi matematica: la biologia e le scienze umane, vale a dire le scienze “inesatte”.
Non è cioè una teoria scientifica come lo sono, per esempio, la teoria della gravitazione di Newton, la teoria dell’elettromagnetismo di Maxwell o anche la teoria dell’evoluzione di Darwin.
Si tratta di una metodologia che permette di organizzare i dati dell’esperienza nelle condizioni più varie.
Il caos è più fondamentale dell’ordine.
E’ la situazione più comune in Natura, mentre l’ordine è relativamente raro e può essere facilmente distrutto dalla più piccola perturbazione.
La Natura stessa usa il caos come parte integrante del suo programma di evoluzione.
La Natura sceglie di combattere il caos con il caos, generando una moltitudine di forme di vita attraverso le mutazioni casuali.
La teoria del caos suggerisce che non si possono sempre prevedere gli effetti a lungo termine delle nostre azioni e che è quindi meglio essere aperti e flessibili. Così come la natura sopravvive grazie alla biodiversità. É fondamentale avere una varietà di idee e di approcci. Quando si chiude una via, la natura ha molte altre strade tra cui scegliere.
Lo studio del caos ci consente di conoscere in quali condizioni il sistema si comporterà in un dato modo. Queste informazioni sono spesso molto più importanti che non la conoscenza esatta della evoluzione futura del sistema. Infatti, è sui parametri esterni di un sistema che eventualmente noi possiamo agire ed è importante sapere, ad esempio, come dobbiamo regolare questi parametri per evitare l’insorgere del caos.
Il Caos e le catastrofi descrivono CAMBIAMENTI e PASSAGGI DI STATO BRUSCHI tra situazioni di stabilità strutturale.
- Caos non è sinonimo di caso, ne è solo l’anagramma.
- Non è completo disordine.
- I sistemi caotici sono sistemi dinamici riconducibili ad una logica complessa
- Nel caos c’è ordine.
- Un ordine tanto complesso da sfuggire alla percezione ed alla comprensione umana.
La teoria delle catastrofi è “figlia” della teoria del caos. Il linguaggio matematico creato da Thom permette di descrivere i fenomeni di instabilità, le forme di mutamento che si possono osservare in un sistema.
Thom definisce la catastrofe come repentino passaggio da uno stato potenziale minimo ad un altro di potenziale minimo o di equilibrio stabile. Si giunge a descrivere una serie di catastrofi, via via più complesse la cui caratteristica è l’aumentare del numero delle variabili osservate per illustrare i processi naturali di cambiamento.
Chaos in greco significa “spazio vuoto e immenso, immensità dell’aria, vuoto, infinita durata del tempo, baratro, abisso, voragine, Tartaro”.
Kosmos significa “ordine, decoro, costituzione, disciplina, ornamento, mondo, universo, la terra”.
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In natura agiscono due principi complementari: l’ordine e il disordine.
C’è un comportamento “normale” su cui agiscono turbolenze.
Non si va più da A a B, ma si procede per cerchi dove A è causa di B che è causa di C che è causa di A. Spesso una cosa produce al tempo stesso effetti positivi e negativi su un’altra cosa, come gli insetti che favoriscono la nascita di altre piante ma fanno ammalare le piante esistenti.
Che cosa e quanto si può prevedere
Un fenomeno caotico come un cumulo di nuvole è imprevedibile, ma si forma secondo regole ricorrenti, per cui non possiamo prevedere come sarà esattamente, ma possiamo prevedere che se c’è una corrente ascensionale avrà una certa forma, piatta in basso e tondeggiante in alto.
Non possiamo prevedere che cosa farà il signor Rossi alla fine della partita, ma sappiamo che la folla che gremiva lo stadio si riverserà nei parcheggi e dopo un po’ intaserà il traffico.
Quindi non possiamo prevedere microcomportamenti, ma possiamo prevedere macrocomportamenti.
Il contributo dell’informatica
Modellizzazione. Quando una cosa è troppo complicata, si cerca di farne un modellino più semplice.
Modelli di terremoti o di temporali permettono di capire come funzionano i rispettivi fenomeni naturali.
Simulazione. La moderna capacità di calcolo permette di costruire modelli funzionanti, e di far loro simulare fenomeni e processi con vari livelli di complessità. La simulazione consiste nel mettere in moto il modello, e nell’esaminarne il comportamento entro un certo arco di tempo. Si può osservare così un fenomeno lungo un suo comportamento
Cibernetica e matematica. La cibernetica ha fornito importanti concetti agli studi sulla complessità, primo fra tutti il feedback, o retroazione. I fenomeni non sono isolati, ma provocano reazioni su altri fenomeni, che a loro volta influiscono sui primi. Dalla causalità lineare (A è causa di B) si passa ad una causalità circolare (A causa B che reagisce con C su A). Quindi i valori di A, capaci di modificare B e C, vengono modificati da C in un processo continuo.
Il pensiero sistemico.
La complessità richiede un modo diverso di pensare. Non ci si può più limitare alla foglia, senza vederla come parte di un albero, e senza vedere l’albero come parte di una foresta.
Una visione sistemica non si limita agli eventi, ma cerca di vederne le strutture sottostanti.
Reagire agli eventi, curare i sintomi, restare in superficie, oppure cercare di vedere le strutture sottostanti, di capire da dove viene il problema? Questa è la sfida del pensiero sistemico.
Le dinamiche di un sistema.
Un sistema è un processo in continuo movimento. Questo è prodotto da azioni acceleranti o frenanti, ritardo fra cause ed effetti, elementi che fanno da effetto leva. Prendiamo un processo semplice, come la doccia.
Archetipi sistemici.
La moltitudine di processi che avvengono nelle organizzazioni, negli ambienti, nelle società animali o umane, si basa su pochi archetipi sistemici.
I più ricorrenti sono il “limite alla crescita” (qualsiasi cosa per un certo periodo cresce, poi raggiunge un limite e comincia a decrescere); il “transfer”, quando ci si limita al sintomo senza agire sulla causa sottostante; la “escalation”, quando due elementi si innescano l’un l’altro in un processo simmetrico che aumenta sempre più (la corsa agli armamenti); la “condivisione di risorse limitate”, quando una popolazione interagisce con il suo habitat, o prodotti concorrenti su un mercato di nicchia; “soluzioni che falliscono”, quando si continua a fare la stessa cosa, che invece di risolvere il problema lo mantiene o lo aggrava, come un dirigente che vuole controllare i dipendenti perché non li ritiene autonomi, ma più li controlla, meno essi si sentono autonomi.
Il metodo del problem solving strategico.
I problemi possono essere ignorati, trascurati, sottovalutati, evitati, affrontati così come viene. Oppure possono essere affrontati con metodo strategico. Questo parte dalla definizione del problema o degli obiettivi, procede all’analisi delle tentate soluzioni fallimentari, cerca di individuare le possibili leve di cambiamento, cerca di far sì che le leve vengano effettivamente applicate in modo da innescare il processo di cambiamento. Dopo un certo tempo si controllano i risultati, si chiude l’intervento di cambiamento e ci si congratula con chi ha risolto il suo problema.
Il concetto di organizzazione come insieme complesso.
Qualsiasi entità, da una molecola ad un insieme di galassie, è al tempo stesso un sistema composto di elementi più piccoli, e un elemento di un sistema più grande. Un essere umano è un sistema complesso formato di cellule e organi, ma forma altri sistemi, dalla famiglia al reparto di lavoro, al circolo sportivo, alla parrocchia o al quartiere. Anche le organizzazioni sono sistemi, o sistemi di sistemi.
Quando e perché governare l’organizzazione in modo “caotico”.
Una organizzazione governata in modo rigido, gerarchico, burocratico, è troppo lenta e “stupida” per reagire con prontezza alle turbolenze. Gli scenari cambiano a volte in modo impercettibile, altre volte in modo catastrofico. L’organizzazione intelligente reagisce subito ai cambiamenti, li considera nella sua visione sistemica, cambia insieme con essi, prevede la catastrofe e la evita prima che arrivi. L’organizzazione rigida si chiude in se stessa, si difende, invoca protezioni doganali e sociali, di fronte alla catastrofe soccombe.
Per capire la differenza fra un sistema ad intelligenza accentrata ed un sistema ad intelligenza diffusa basta pensare al traffico ferroviario, dove le vetture non sono intelligenti, ma eseguono ordini che arrivano dall’alto, e al traffico automobilistico, dove ogni vettura è pilotata da un essere intelligente che decide dove andare e che cosa fare. L’organizzazione si limita a fissare alcune regole, tutto il resto è lasciato alla libera iniziativa.
L’organizzazione non è una struttura statica, dove certe cose sono state stabilite una volta per tutte. E’ un organismo dinamico e vitale, che si evolve ed apprende continuamente. E’ la learning organisation, fatta a sua volta di elementi che apprendono e si migliorano ogni giorno.
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Applicare le teorie del caos e il pensiero sistemico alle organizzazioni.
Gestire le strutture. Il manager sistemico deve imparare a non limitarsi agli eventi, ma a vedere le strutture sottostanti. L’evento è ricorrente? Che cosa è stato fatto nei casi precedenti? Gli interventi hanno avuto successo? L’evento è un sintomo o una causa?
Gestire i processi. Il manager sistemico non considera una serie di istantanee, ma i processi di cui esse fanno parte, dove gli eventi si trasformano l’uno nell’altro in modo continuo, dove un evento influenza ed è influenzato da altri eventi.
Il manager sistemico guarda l’albero, e solo saltuariamente si occupa di qualche foglia, perché le foglie sono responsabilità dei rami.
Gestire i processi. In altre parole non si perde dietro le procedure passo-passo, ma controlla i nodi e le scadenze importanti del progetto. Se ad una certa scadenza certe cose sono fatte e funzionano, il progetto sta andando avanti. Altrimenti bisogna chiamare a rapporto i responsabili dei nodi incompleti e aiutarli a risolvere i problemi che li hanno fatti ritardare.
Gestire i team. Spesso i manager, i capi, i responsabili, vogliono controllare il comportamento dei collaboratori e dei dipendenti fin nei minimi particolari. La cosa potrebbe essere possibile in una organizzazione rigida e statica, ma diventa impossibile in una organizzazione dinamica, flessibile, pronta a reagire alle turbolenze.
Il manager sistemico deve dare poche direttive e linee guida chiare, aggregare il team intorno a pochi obiettivi condivisi, creare le condizioni migliori in cui ognuno possa lavorare ed esprimersi. Deve dare fiducia ai suoi collaboratori, accettandone le decisioni e le realizzazioni anche se non corrispondono al cento per cento a ciò che lui ha in testa.
Gestire le emergenze. Oggi sempre più le organizzazioni vivono nell’emergenza, dove ogni cosa diventa urgente. In alcuni casi si tratta di vere emergenze (la rottura di un impianto, un evento esterno che si ripercuote all’interno dell’organizzazione), in altri casi di progetti fatti male o mancanti, di ordini che si accavallano, di non aver tenuto conto di tempi tecnici, di scarsa comunicazione fra reparti.
Il manager che conosce le leggi del caos sa che cosa può o non può prevedere, sa decidere quando l’emergente è importante, ha il coraggio di lasciar perdere l’emergente non importante.
Spesso l’emergenza è sintomo, non è causa. Spesso spinge ad intervenire subito a valle, invece di intervenire con un po’ più di calma a monte.
Il manager del caos cerca di gestire la complessità con leve semplici, reagisce alla turbolenza con calma, affronta le urgenze rallentando il passo e spiccando un balzo, invece di correre affannosamente tutto intorno.
Privilegia la creatività di fronte alla disciplina, incoraggia il rischio di sbagliare e aiuta i collaboratori a imparare dagli sbagli per superarli e andare avanti, invece di evitarli per non correre rischi, parte dopo per arrivare prima.
La teoria manageriale del Caosmanagement si riferisce alla turbolenza, alla discontinuità e all’incertezza che dominano l’economia internazionale e le indica come opportunità di cambiamento e di crescita.
Il caos è all’origine di ogni rinascita e offre la possibilità di guardare il mondo con occhi nuovi, senza dar nulla per scontato.
La Storia procede per catastrofi.
Saggezza è saperle gestire.
Basta poco e la vita di tutti noi può cambiare.
Cos’è una perturbazione?
In fisica, possiamo chiamare perturbazione una modificazione locale, e in genere debole, di qualcuna delle proprietà di un sistema.
La catastrofe è un cambiamento repentino dello stato di un sistema che non tende a tornare alle condizioni iniziali.
Le catastrofi sono delle discontinuità nel comportamento di un sistema, che possono nascere in corrispondenza di piccole variazioni continue di parametri come la temperatura, la pressione.
LA COMPLESSITÀ. I problemi che l’umanità si trova a fronteggiare diventano sempre più resistenti alle soluzioni, in particolare alle soluzioni unilaterali.Si tratta di problemi complessi, ovvero che coinvolgono numerosi fattori economici, ambientali, tecnici, politici, sociali, morali: pertanto la soluzione, per essere efficace, deve tener conto di tutti questi aspetti, che interagiscono fra loro.
I LIMITI DELL’APPROCCIO SPECIALISTICO. L’approccio tradizionale ai problemi è di tipo meccanicistico: ovvero, un problema si analizza scomponendolo in parti sempre più piccole, in modo da poterne studiare le proprietà. Le parti sono la cosa più importante e da esse si risale alla comprensione del tutto.
Quando ci troviamo dinanzi ad un problema, focalizziamo l’attenzione sulla parte che non funziona e cerchiamo di ripararla, ricorrendo agli specialisti.
Questo approccio funziona bene quando il problema è circoscritto in un ambito ristretto, ma si rivela sempre meno efficace all’aumentare delle dimensioni spaziali e temporali, ossia della complessità.
Il pensiero sistemico propone una nuova maniera di guardare il mondo, per cercare di dominarne meglio la complessità: considerare non gli elementi singoli ma l’insieme delle parti, intese come un tutto unico, concentrandosi sulle relazioni tra gli elementi piuttosto che sui singoli elementi presi separatamente