Parlare di sé e dei propri ricordi è quasi impossibile, occorre trovare il modo per essere intellettualmente onesti, cercando di ricordarsi del perché si è qui: lasciare le cose almeno in condizioni un po’ migliori di quanto le si siano trovate.  È l’altro da sé che farà le misure e qualificherà le circostanze: il resto, afferma San Paolo, è del demonio.

Non è semplice a cinque anni essere trasparenti, malaticcio e magrissimo; la mamma che naturalmente voleva che vivessi e avessi un’esistenza normale, chiamò quindi il Prof. Vasile, il grande medico dei bambini. Dopo un’accurata visita le raccomandò di farmi passare l’estate in campagna, con l’ausilio varie medicine, per farmi aprire l’appetito. Operazione riuscita talmente bene da farmi diventare quasi obeso, per il resto della vita da adolescente: infatti, il passaggio fu da 30 a 60 chili nel periodo che va da luglio a fine ottobre; conseguenza fu nessuna ragazza motivata o motivabile ad accogliere la mia compagnia!

Le terapie iniziarono prima all’aperto, dove imparai a mangiare pomodoro con sale e acqua dentro una pala di fichidindia, con una forchetta di canna fatta in loco, in un giardino sito nei pressi della stazione di Partinico e poi per la vendemmia a Costa di Bisaccia e a Fellamonica, la prima si trova sulla via per Grisì, l’altra su quella per San Cipirello e San Giuseppe Jato. Sono questi antichissimi insediamenti preromani, nobilitati poi dalla presenza araba, che resistettero agli alemanni di Arrigo VI al quale succedette il figlio Federico II, il “Puer Apuliae”, “Puer” per modo di dire tant’è che arrivò in seguito a sterminarne i capi locali della famiglia degli Abbate nonostante inizialmente avessero trovato un accordo con lo stesso Federico, in seguito da loro sconfessato. La popolazione invece venne trasferita al confine meridionale del Molise con la Puglia, per dare così fastidio al Conte del Molise, fiero e indefesso avversario di Federico.

Ma torniamo alla mia vita che si svolgeva con i genitori e con i mezzadri, un’esistenza connotata dalla precarietà economica  perché il reddito derivante dalle piccole proprietà di un diretto coltivatore era estremamente necessario per la sopravvivenza, soprattutto dopo il pagamento dell’imposta fondiaria sia a Monreale che assoggettava al prelievo anche quei terreni siti in Val di Noto, sia a Partinico, dove il titolare dell’esattoria comunale chiedeva il pagamento giustamente e puntualmente eppure questi prelievi risultavano all’epoca pesantissimi.

Ricordo che in paese uno dei pochi a possedere un televisore era il sig. Pagoto e perciò essere invitati a prendere un caffè per vederlo, il dover accettare costituiva un onore ed un onere.  

Così trascorreva l’estate in campagna, che prevedeva una scarsissima compagnia, se non quella dei mezzadri, in compenso imparai ad irrigare, secondo l’antica procedura araba delle piccole chiuse, lungo le filiere dei pomodori e dei fagioli legati alle incannucciate; i solchi dove alloggiavano le piante erano da aprire e chiudere con la zappa al passaggio dell’acqua concessa gratuitamente dalla centrale comunale poi era la volta di quella del pozzo che altrimenti non sarebbe stata sufficiente.

Tornavamo in paese a settembre e qui per i genitori si apriva la stagione delle danze: la cugina Maria organizzava le serate alle quali partecipavano la zia Mimma, ancora signorina, le cugine Giovanna ed Enza e poi le altre gentildonne.

Papà, che era un vero gentiluomo, era anche un bell’uomo e sapeva ballare il tango da vero argentino ma non si fermava mai, facendo la spola tra Palermo, il paese o anche Roma.

Personalmente, ero pura tappezzeria, però vedevo gli approcci femminili in corso, i gradimenti e le indifferenze. I balli e la mia tappezzeria continuavano poi a Palermo, casa dei nonni nella grande terrazza, quasi di fronte la ferrovia, dirimpetto il ponte dell’ Ammiraglio, pardon dell’Emiro, quello del quadro di Renato Guttuso, mentre il palazzo dei Basile, edificato prima della Grande Guerra e primo in cemento armato, si trovava proprio di fronte il Ponte dell’Emiro che, come detto, lo aveva fatto costruire; una volta al di sotto vi scorreva il fiume Oreto, ma ora non più: da ragazzo non v’era il muretto e con i miei cugini giocavamo sotto il ponte.

Il tempo trascorreva così e il nonno, a volte, la domenica mi veniva prendere con un suo amico, il Sig. Pappalardo, in carrozza, per andare a messa a San Domenico, dove è conservata la statua di San Vincenzo Ferreri.

Al termine della funzione religiosa ci incamminavamo fino a varcare la soglia del primo palazzo di via Bandiera per poi salire al primo piano dove vi era uno splendido ristorante il Tre Stelle, importante per l’ottima cucina ma non certo per l’ambientazione, dal gusto un po’ paesano.  

Più raramente concludevamo la nostra fughetta nel palco che il nonno aveva al Teatro Massimo, specialmente se erano in programma opere liriche, ricche di azione acchè non mi annoiassi.

Spesso andavamo anche a Sant’Antonino per la messa: francescani versus domenicani… ma in seguito anche per un ultimo saluto al nonno, avanti il suo funerale.

Il nonno, in società con i fratelli, aveva una casa di produzione di mosti che venivano impiegati per la trasformazione in vino e in vermouth. Il vino sfuso veniva venduto per la mescita alle osterie e alle bettole palermitane o spedito al settentrione con i carri ferroviari in botti di legno di rovere di Slavonia, oppure esportato all’estero sui due bastimenti basati a Castellammare del Golfo e capitanati dall’Ammiraglio Rizzo, quello della storica “beffa di Buccari” e dal fratello, ambedue milazzesi, città madre di altre nobili figure, come il comandante Aurelio Di Bella pilota delle aerosiluranti, con qualche chilo di medaglie e il Suo Maggiore medico Bonura sempre in divisa azzurra. Le esportazioni via mare erano dirette a Marsiglia e da lì proseguivano con altri mezzi di trasporto fino anche a Basilea, per la società del Sig. Kettler, che univa l’importazione dei vini a quella delle carni dall’Argentina.

Quella del nonno è una figura che mi piace ricordare ancor’oggi, come vivido è il ricordo quando qualche mese prima di morire comunicò che si sarebbe dovuto assentare per un mese intero, viaggiando in treno, con un biglietto premio elargitogli dai buoni fruttiferi delle ferrovie dello Stato di cui era fra gli obbligazionisti. Ignoro le ragioni di quell’ultimo viaggio, ma immagino un saluto a qualcuno lontano a Genova o a Bologna, un grazie per una cortese amicizia.

Era un uomo del suo tempo, un uomo d’affari che intratteneva i suoi conti già prima del 1915, presso la sede di Palermo della Banca d’Italia, che all’epoca agiva anche da istituto di credito ordinario, per normale clientela oltre che da banca centrale. Era una stata scelta oculata, quella del nonno perché peraltro, quando presentava assegni in valuta estera per la negoziazione o per l’immissione in conti esteri in valuta, non vi era l’obbligo dell’offerta in cessione.

Il cassiere della banca poi all’atto del prelievo di denaro chiedeva sempre al nonno se preferisse oro in lingotti o banconote ma il nonno dichiarava di preferire queste ultime in quanto nella borsa i lingotti sarebbero pesati troppo… era un uomo dotato di senso pratico.

Intanto, con la terza elementare, lasciata la scuolina delle monache e della prima compagnetta che mi parlava, vengo iscritto al Gonzaga dei cari padri Gesuiti, al servizio dei ceti agiati di Palermo, di cui la mia famiglia di piccola borghesia contadina, certamente non faceva parte; in quest’istituto frequentai e terminai le elementari e le medie: lo avrei lasciato sei anni dopo per il liceo scientifico.

All’epoca le scuole iniziavano a ottobre e, ovviamente, a settembre c’era prima la vendemmia, poi, se del caso, a scuola; a un mese dall’inizio dell’anno scolastico, con ripasso effettuato dai compagni, c’erano i libri ancora da comprare e i dizionari da inventare come quello di latino, il Campanini Carbone vecchissimo, trovato in casa: quegli anni furono un trofeo di rimandature conseguito per la durata di sette anni, fino all’acquisto del nuovo dizionario latino-italiano e viceversa  del Mariani che finalmente mi liberò del problema, insieme alluso del Gheoghes Calonghi.

Medie e liceo, sovrappeso disabituato ai compagni, vivevo fra Steinbeck e Salgari, passando da Pirandello a Verne, mentre il ricordo delle Mille e una Notte che il Nonno mi leggeva era sempre presente soprattutto alla sera, insieme alla questione del Furore in California. La materia che più mi teneva compagnia era poi la Storia, nel modello anglosassone e al liceo poi quest’ultima mi faceva volare, per ogni mondo possibile e atemporale, perciò fui europeista sin da subito e fondatore del CIE, Centro Interstudentesco Europeo.

Al termine del liceo fu l’indecisione: medico o giurista o politologo, considerata la morte del diritto? Seguirono le lunghe giornate trascorse con Don Calogero Caputo a parlare dell’Azione di Don Giuseppe Gemmellaro in Sicilia che era stato il vero fondatore dell’Università Pontificia Salesiana a Roma, città dove era stato inviato in punizione pregiovannea e che aveva impiantato il primo il centro-sinistra in Sicilia.

Tutte queste dotte discussioni accompagnate dalla frequentazione e l’azione della sezione socialista Calogero Cangelosi situata a Ballarò mi indussero a opinare con la scelta prima della giurisprudenza per comprendere i vincoli giuridici dell’agire umano, per poi arrivare alla scelta delle opzioni politiche.

Consegui la prima laurea, con Giovanni Garilli, grande filosofo del diritto, che mi introdusse alla cibernetica giuridica, inviandomi a Vittorio Frosini a Catania, primo grande maestro di cibernetica giuridica in Italia, con il quale condivisi una lunghissima e provata amicizia negli anni romani.

Oltre la laurea ottenni la pubblicazione di due tesi, la prima verteva sul funerale del diritto naturale e la seconda sul ruolo delle funzioni sociali e individuali.

Intanto il sovrappeso continuava, il fumo anche, ma psicologicamente i risultati raccolti e il metodo conseguito avevano caricato le batterie; la stima dei compagni era cresciuta immensamente e le compagne sorridevano dolci. Ero già divenuto sedicenne  corrispondente da Partinico per “L’ORA”, di Palermo, col mio fotografo Bartolo, che aveva anche la macchina, mentre il “TELESTAR”, seguiva con attenzione e interesse le iniziative europeiste, man mano avanzate, fino alla proposta da parte della Rappresentanza della CEE in Italia di farmi aprire a Palermo un Centro di consultazione e documentazione, ma dopo aver sentito il parere del mio maestro Enzo Cupertino, decisi di non procedere. Non mi sentivo pronto anche perché in occasione di un convegno a Roma mi fu  richiesto di parlare di una possibile creazione della facoltà di Giurisprudenza Uniforme Europea e non seppi proporre alcunché. Affrontare problemi delle due specie richiede un’approfondita conoscenza delle varie materie, che con le statiche conoscenze e competenze acquisite all’università e ancora non maturate con i necessari approfondimenti e collegamenti, sarebbero risultati impossibili.

Da qui la scelta di partecipare al XIII° Corso di Business Administration, organizzato a Palermo dall’ISIDA di Gabriele Morello, capace di riportarmi a quei rapporti fra diritto, scienza della politica, mondo della finanza, dell’industria e delle relazioni umane, da cui i primi due scaturiscono.

Il corso fu una formidabile esperienza: alla sua conclusione ricevetti l’invito del capo del personale della Olivetti – dott. Butera – a trasferirmi in qualità di sociologo a Ivrea, perché alle prove di selezione avevo dimostrato di avere fatto i conti con i diversi volumi del Capitale di Marx dando prova di sapendo però che in parallelo al comunismo marxiano di Tinin Massimo Ganci vi è il comunismo cattolico dei gesuiti nella Guadalupa e nelle Misiones.

Intanto, iscrittomi di nuovo all’Università, frequentavo la facoltà di Scienze Politiche, misurandomi con le due lingue straniere e trovando soprattutto risposte a quella morte del diritto, divenuto parte della logica politica. Incalzava l’ora del servizio militare di leva obbligatorio: fui congedato da Primo Aviere, dopo quindici mesi di rivoluzione culturale. Una cosa è essere studente ben costumato, un’altra cosa è essere davanti alla vita vera e aver per compagni, da cui dipende per quei mesi  la tua vita, pastori sardi e siciliani, pittori della pinetina grossetana, attori di Bari e contadini analfabeti del Salento; tutti compagni nella notte prima a Trapani per il CAR poi in Casermetta a Marsala e quindi a Ciampino. Là nel camerone piovevano i gavettoni addosso a quei compagni magari ricconi, che non riescono a entrare in sintonia durante il giorno, cioè solidali e sodali, nelle marce, nelle turnazioni di guardia, nella gestione del tempo libero in caserma o fuori.

Tutto dipende dalla capacità di non mettere in luce saperi particolari e disponibilità finanziarie all’interno o all’esterno.

Conseguii  la seconda laurea, che mi avrebbe poi consentito di diventare assistente ordinario prima di Dottrina dello Stato con il grande Pompeo Corso insieme a Pino Barbaccia e Pierino Violante e poi dottore commercialista.

Non ho mai fatto nel concreto l’assistente, perché qualche anno dopo, quando avrei avuto l’opportunità di farlo, l’UIC – Ufficio Italiano dei Cambi – non me lo concesse, perché incompatibile, almeno in quel momento con l’incarico ricevuto; poco più avanti il divieto fu tolto, anche perché alcuni membri di altissimo rango della Banca d’Italia erano chiamati a insegnare a Londra.

Gli anni dell’UIC furono splendidi perché da Guido Carli a tutti i suoi collaboratori erano persone dalle quali si poteva non solo imparare il mestiere ma soprattutto a vivere.

Più avanti ebbi anche il piacere di insegnare a Londra, in una Università situata nel quartiere ebraico, con ottimi risultati, memore anche di un altro passaggio fatto nel fine settimana sempre a Londra ad un congresso del partito conservatore, d’ordine di Ivo Spinello, all’epoca capo dell’Ufficio Legislativo della Democrazia Cristiana presso la Camera dei Deputati.  

Il piacere più grande in quel fine settimana fu quello di vedere rispettate le tradizioni ebraiche del sabato, ospiti del caro amico Raffello Fellah presidente della Comunità sefardita Italiana; partecipe di quel soggiorno nel quale si discuteva del futuro della Libia fu anche il Presidente Giulio Andreotti, nella qualità di Presidente del “Trialogo”, il periodico che si occupava del confronto e del dialogo fra le tre grandi religioni monoteiste del bacino mediterraneo.

Insieme, in quel tempo, dialogavamo ad ogni livello con coloro che ho sempre considerato cari fratelli, il Prof. Ibrahim Magdud, direttore dell’Accademia Libica in Italia e Habib Mastouri, già senatore della Repubblica di Tunisia, che a Roma fu direttore de “Il Dialogo” e della successiva rete televisiva. Partecipavo alle trasmissioni con il più grande maestro di revisione aziendale e di valutazione d’impresa, il  Prof, Giuseppe Previti Flesca, che aveva all’attivo un’enorme quantità di lavori pubblicati in ben trentasette lingue straniere, la medaglia d’oro per l’insegnamento della LUISS ed era responsabile per la Banca Nazionale del Lavoro della valutazione degli investimenti italiani all’estero e degli interessi italiani della Banca in Brasile, paese da lui ammirato per la sua modernità anticipatoria di soluzioni urbanistiche che sarebbero arrivate in Italia solo alla fine degli anni ottanta del secolo passato.

 

Era l’epoca in cui il Governatore Carli, stimolava le banche italiane ad aprire controllate all’estero onde creare una cintura sanitario finanziaria capace di offrire opportuna assistenza a quelle imprese che avessero voluto posizionarsi sui mercati internazionali, come in quel momento succedeva.

È stata una bellissima stagione di fuoco, nei diversi settori economici di cui faccio cenno.

La metodica delle cooperative emiliane e romagnole riusciva a fare sistema nel settore primario del freddo, del fresco, del secco e del trasformato in contrapposizione agli operatori del MOF, mercato orto – frutticolo di Fondi, antica città templare, che acquistavano tutti i generi agro alimentari dell’Italia meridionale e insulare prenotando il prodotto per poi farlo maturare, ritirarlo e conseguentemente distribuirlo a Roma, suo mercato di riferimento e poi anche all’estero.

Dentro il mercato è stata impostata anche una stazione ferroviaria, per consentire ai compratori esteri di poter scegliere quanto loro necessario e poi spedirlo in patria specie in Germania perché è proprio la Germania che dai tempi di Federico Barbarossa, desidera avere uno speciale rapporto con i prodotti del meridione italiano, sebbene nessuno sia mai stato in grado di fornire puntualmente e nelle quantità necessarie quanto richiesto.

Nel momento in cui la Spagna aderì poi all’Unione Europea, alcuni operatori del MOF andarono a investire a Valencia, città importante per le sue peculiari caratteristiche: una escursione termica, modesta, forse la migliore del mediterraneo, un’area agricola estremamente fertile e ubertosa, un mare pescoso nei limiti del poco rimasto: opportunità enorme per rendere sinergica l’area di Valencia  e quella di Fondi, con un ampio incremento degli scambi al fine di avere il controllo del processo produttivo, così integrato. Le dimensioni del mercato raggiungevano già a quell’epoca la cifra d’affari di circa trenta miliardi di lire per anno. Il fondamento dell’azione era fondato sul principio della distribuzione delle semenze e l’erogazione di un finanziamento atto a coprire il costo della coltivazione dei vari prodotti seminati, da considerare vero e proprio anticipo in conto futura vendita, vera alternativa alla cambiale agraria, che consentiva anche un certo recupero finanziario -fiscale.

Peraltro, il trovare soluzioni semplici a problemi complessi è tipico del mondo italiano, come nel settore oleico, tenuto conto del fatto che tutta la produzione di olive italiane veniva all’epoca consumata direttamente sul luogo di produzione, senza procedure di imbottigliamento, in un mercato rurale semplice e prettamente locale. La produzione olearia, che poi veniva e ancor oggi viene spesa attraverso la grande distribuzione, era tutta d’importazione: Tunisia, Libia, Turchia, Grecia, Albania e una volta anche Spagna, che poi cambiò il sistema di piantagione, per affrancarsi, restano le grandi dell’olio grezzo, le aziende olearie lo rendevano raffinato a Fasano, attraverso un processo di chiarificazione di 48 ore nel bicarbonato e poi lo esportavano direttamente all’estero oppure ceduto ai grandi imbottigliatori nazionali; per un certo tempo Fasano ebbe anche la borsa oleica mediterranea, ora, trasferitasi per l’Italia in Toscana.

In tale contesto, anche la più grande multinazionale e transnazionale del settore alimentare: la NESTLE’, attraverso la controllata FINDUS operava sempre nel contesto di Latina. Dovendo dotarsi di vari prodotti per realizzare i suoi freddi precotti di ottima qualità, si approvvigionava in “loco” al tempo opportuno, per esempio i carciofi, a marzo e, per il resto dell’anno in tutte le altre parti del mondo che producono carciofi, prima che siano pronti a Fondi e poi che siano pronti e disponibili nel resto del mondo dal mese di aprile in poi, seguendo il cammino del sole nei diversi continenti. Peraltro, non tutti i prodotti della terra crescono nell’area di Fondi nella quantità sufficiente e necessaria. Da sempre il problema dei prodotti standardizzati è quello delle quantità, infatti occorre far arrivare i funghi dal Portogallo, dalla Polonia o dalla Slovenia, il tartufo da Alba o da Acqualagna e via continuando.

Altra, interessante fattispecie in terra pontina è poi è poi quella dei fiori. Stranamente quasi l’intero mercato dei fiori venduti a Roma, proviene da operatori olandesi che consegnano i fiori sia nei negozi dei grandi fioristi “intra moenia”, sia ai fioristi di strada nei centri di ferro, lato strada, anche quelli sistemati vicino ai cimiteri.

Le forniture sono programmate perché i pagamenti per contanti possano aver luogo a tre giorni dalla consegna, lasciando così all’operatore il tempo di vendere e con parte del ricavato pagare quanto dovuto. Del resto anche i distributori di carburanti pagano le forniture a tre giorni dal rifornimento.

In tutti i settori è ormai subentrato il criterio che si ritrova nel comparto moda nel quale il fabbricante per essere pagato, deve attendere prima le vendite fatte dal cliente che, solo dopo aver incassato il ricavato, provvederà a pagare il fornitore-fabbricante.

Le cooperative pontine che producono fiori, straordinariamente belli, si sono dovute ovviamente adeguare allo stesso trattamento, spesso divenendo fornitori degli olandesi che continuano a controllare il mercato romano.

Particolare atteggiamento deve assumere l’investitore che voglia acquisire un appartamento in un condominio a New York, qui, prima di poter concludere la compravendita, deve ottenere il consenso esplicito dell’assemblea condominiale, estremamente difficile da ottenere, accettando comunque tutte le condizioni e disposizioni previste dal regolamento condominiale.

Nell’ambito dei ricordi, riporto quanto accaduto ad una importante impresa automobilistica italiana all’atto dell’apertura della propria controllata a Belo Horizonte in Brasile, paese con numerosi problemi, come noto, capace di immaginare già nel 1939 le necessità di prevedere un posto macchina per ogni nuovo appartamento in costruzione, nelle sue varie città. Gli amministratori pubblici avevano capito che il problema del traffico urbano non è quello dell’andirivieni, ma quello di trovare parcheggio così, una volta risolto il piano dei parcheggi, si concretizzò anche il processo autorizzativo italiano e venne aperto lo stabilimento produttivo. Ma le cose non andarono secondo il ragionamento fatto. Il business plan prevedeva di utilizzare per il completamento e l’equipaggiamento delle autovetture le veglie (contachilometri e misuratori di liquidi) nonché vetri, specchi, maniglierie e copertoni, i produttori locali. Errore capitale: contattati i vari fabbricanti locali, l’impresa italiana si sentì rispondere di non poter essere accontentata, nei prossimi tre anni, perché la loro capacità produttiva era stata integralmente comperata dalla concorrenza, che così si qualificava dando un particolare benvenuto. Naturalmente, l’impresa italiana non si fermò ma fu costretta ad importare tutto dai fornitori italiani, dovendo però così sobbarcarsi i costi del trasporto e al pagamento dei vari dazi doganali, ma l’iniziativa non poteva e non doveva fermarsi.

Peraltro, nei giorni in cui La Cancelliera Merkel concede aiuti reali all’Italia, vorrei ricordare il Commendator Pasotti di Brescia, che già nel maggio del 1945 incominciò con la sua topolino piena di salami, vino e indumenti a raggiungere la Baviera e la Germania distrutta per portare soccorso alle famiglie di suoi colleghi industriali e sportivi, da qui il perenne rispetto delle fabbriche automobilistiche tedesche che per anni si sono approvvigionate solo dalla Sua Idra, per i loro bisogni.

Ecco che allora che queste riflessioni di storia economica possono considerarsi appunti per una via all’antropologia economica.