Lo scollamento tra capacità e lavoro è insita negli errori di progettazione della società. Il blocco delle attività ha reso traumatica una trasformazione già in atto. Quello che manca è cultura scientifica e capacità di analizzare ciò che vediamo. Se non lo facciamo noi, ci penserà l’intelligenza artificiale.

Che lavoro faremo tra cinque anni? E tra dieci? E cosa faranno i nostri figli? Le risposte a queste domande sono sempre occasionali e maldestre. Il mondo cambia da sempre, e con lui i lavori possibili. La differenza degli ultimi anni è la contemporanea accelerazione di vari mondi, la loro convergenza, la ricchezza delle nuove competenze richieste, la necessità di certificare il continuo aggiornamento. Molti lavori verranno persi. Lo iato delle competenze sarà più drammatico: la classe media che sta collassando non è solo quella economica, ma anche quella di cultura aggiornata. Le due cose vanno di pari passo. Ecco perché molti di noi resteranno indietro.

 


 

La valorizzazione di ciascuno di noi sul mondo del lavoro dovrebbe basarsi su tre qualità: competenza (hard skills), esperienza e capacità di promuoversi (soft skills). Questo ci viene insegnato e questo facciamo, secondo le regole che ci vengono raccontate: quelle temporali per le quali si impara per prima cosa e una volta sola, poi che siamo tutti uguali davanti al merito.

Questa idealistica strutturazione è sempre stata una clamorosa bugia, perché da sempre ci sono favoriti e sfavoriti per nascita (anche geografica) e perché non c’è sempre spazio per qualsiasi cosa vogliamo fare.

Il problema maggiore è che percentualmente i posti realmente disponibili sono in drammatica riduzione nel tempo. La riduzione non è lineare, ma perde una fetta di posti disponibili ad ogni crisi. La crisi è quella situazione nella quale, tra l’altro, molta gente perde improvvisamente lavoro. Quando ciò accade in Paesi avanzati, la politica si attiva per creare improvvisamente migliaia, decine di migliaia di nuovi posti. Ora “improvvisamente” non fa rima né con “merito”, né con “competenze”: questi posti vengono assegnati quasi a caso e senza il bisogno di alcuna competenza reale. D’altronde, come faresti a modificare i processi della burocrazia per accomodare in pochi mesi migliaia di nuovi dipendenti? Ovviamente costoro vengono messi a fare cose escluse dal processo centrale, inventando processi avulsi dalla realtà, che aggiungono farragine alla burocrazia, e che portano alla compilazione di infiniti dossier che non servono rigorosamente a nulla.

E’ quella pratica che in Italia veniva indicata come “pagare una prima squadra per far buchi in terra e una seconda squadra per richiuderli”. Ma non esiste solo nella bistrattata italietta: apparentemente la prima implementazione di questo meccanismo data gli anni ‘20 della Grande Crisi e fu applicata negli Stati Uniti. Da allora si è ripetuta sistematicamente ad ogni crisi, creando plotoni di persone che vivono di lavori inutili che non danno alcuna soddisfazione. Anche i lavoratori che non si rendono conto della inutilità della loro attività, via via si accorgono di essere sfiduciati al limite delle depressione. Sì, perché l’inutilità non va bene per l’essere umano.

 

L’irragionevolezza dei processi e della gestione del personale è continuamente irrisa dai narratori. Tre esempi sono i cosiddetti principi di Peter, di Dilbert e di Gervais. Il più divertente è probabilmente quello di Gervais, in realtà mutuato da quello del cartoonist MacLeod, secondo il quale i manager sono sociopatici che affidano progetti importanti agli incapaci, che per lo più falliscono. Qui sotto ecco la piramide di MacLeod.

 

 

Tornando ai lavori inutili, la percentuale varia a seconda dell’area e del metodo di classificazione, ma è nell’ordine del 50% dei posti disponibili. Normalmente anche se vengono creati a migliaia per volta, poi restano vivi a lungo, generando per lo meno una certa tranquillità nel futuro. Ma, come tutti sappiamo, è arrivata la peste, il CoronaVirus. E qualcosa è cambiato.

 

Il futuro si è avvicinato

 

C’è stato un punto di frattura, per dirla in estrema sintesi. Uno stop. Una lunga pausa. Poi, un riavvio. I riavvii sono sempre traumatici.

Molte cose non saranno più le stesse. Erano comunque destinate a cambiare, ma con tempi più lunghi. Qualche differenza ci sarà, qualche cosa che sopravviveva solo per inerzia non si riavvierà. Il mondo va avanti, ma riprenderà tendendo a riavviare prima le parti sane.

 

Organizzazione a distanza

Lo stop/riavvio ha accelerato/deformato l’azione di forze già esistenti, l’effetto distanza e l’intelligenza organizzativa. Esempi attuali ne sono lo “smart working” (distanza) e la cosiddetta “intelligenza artificiale” (organizzazione). Poco tempo fa li chiamavamo “banda larga” e “2.0”, poi diventato “4.0”, peraltro saltando la versione 3.

Organizzazione e distanza sono due aspetti della vita continuamente riscritti dalla tecnologia e fanno da discrimine tra chi ha un presente (e forse un futuro) e chi non lo ha e vive di aderenze ed attriti con il mondo realmente produttivo. Una volta ci preoccupavamo del futuro, ma il tempo si è contratto e oggi dobbiamo preoccuparci del presente. La ridistribuzione del reddito come sussidio a chi non ha un presente non è ancora sufficientemente organizzata per poter reggere a lungo termine.

 

Lavoro contro presente

“Lavoro contro futuro” è un progetto pensato un paio d’anni fa per mettere a fuoco proprio la riorganizzazione e una nuova misura della distanza (nulla a che vedere con la distanza sociale”. L’effetto riorganizzativo imposto dagli usi prevalenti della cosiddetta intelligenza artificiale era già allora nella forma che vediamo oggi e che ancora deve dare i suoi maggiori effetti. Diciamo che l’AI è penetrata maggiormente, ma è ancora in una fase di effetto lineare.

La pandemia, invece, ha avuto un effetto crunch sul concetto di distanza, che vediamo sulle videocomunicazioni ma non nei processi. Per effetto crunch intendo ciò che accade quando per adattare un pezzo di ferro anziché limarlo con certosina pazienza lo tagliamo con cesoie o altri strumenti. Il risultato è forse della lunghezza desiderata, ma l’estremità è deformata e anche la densità della punta è variata per sempre. La deformazione è un effetto non lineare.

Questo libro, pronto subito prima della pandemia, è stato reso disponibile dall’editore agli inizi di giugno. Il tempo si è contratto, facendoci vivere un Quantum Leap. Il futuro è diventato subito presente, ma il fulcro del nostro impegno è in quel “contro” messo nel titolo: siamo in lotta e dobbiamo lottare.

E’ corretto guardare la realtà con una preparazione moderna e con un approccio aperto, come spero di aver iniziato a fare in questo volume.

Preparazione tecnologica, ripensamento dell’ambiente in chiave solarpunk, energia, auto elettriche, detriti spaziali, piacere con i robot e malattie offriranno nuovi lavori ai giovani del futuro. Comprenderli richiede una base (ad esempio questo libro), un metodo (l’apprendimento continuo), competenze pratiche nel software e nel making, ma soprattutto apertura mentale. Ci viene richiesto un nuovo mindset che deve accuratamente scartare le polarizzazioni pseudo-tecnologiche e di genere donna/uomo che condizionano pesantemente il nostro futuro.

Ray Holt, Chen Qiufan, Gianni Catalfamo, Marco Casolino, Francesco Verso, Irene Da Costa e Maurizio Balistreri sono gli esperti ai quali ho chiesto di raccontare la trasformazione in specifici settori e di individuare gli spazi lavorativi dell’imminente futuro.

 

 

Le due dimensioni dell’intelligenza artificiale

Ciascun esperto ha indicato qualche possibile lavoro del futuro, dal riforestatore solarpunk al vaporizzatore di rifiuti spaziali. Era però necessario mapparli in modo da vedere quante possibilità di sopravvivenza abbiano, ed eventualmente come queste varino nel tempo.

La preparazione moderna, da almeno vent’anni fondamentale in tutte le cose, viene trascurata;
ancor di più la certificazione ed il corretto aggiornamento. Prive di preparazione moderna, le persone diventano funzionalmente incapaci di fare corrette valutazioni nel quotidiano
e di sapere cosa serve per lavorare e per vivere. Si tratta, sia detto senza snobismo, di “poor scholarship”, che parte dalla folle idea che la formazione del bambino vada lasciata al tablet e alla scuola.

L’inadeguatezza funzionale diventa superficialità nelle valutazioni, incapacità di fare scelte/manutenzioni, incapacità procedurale (pubblica/privata), scarso valore sul mercato del lavoro. In queste menti inadatte, tutto diventa un “effetto pacman”.

L’uso dell’IA nelle attività era già iniziata e dopo il lock-down ha aumentato la sua velocità, spingendo verso una maggiore organizzazione delle procedure, un’eliminazione di ciò che è superfluo e di chi è inadatto.

Le analisi di Lavoro contro futuro vengono integrate con una valutazione dei lavori proposti nell’ottica dell’intelligenza artificiale. Ho usato il quadro di riferimento di Kai-Fu Lee, sino-statunitense esperto di intelligenza artificiale a livello mondiale. In sintesi, laddove le consuete analisi sono monodimensionali nella sola organizzazione, la KFL aggiunge una seconda dimensione nell’importanza della frequentazione di altri umani.

 

La base è la cultura STEM

Ray Holt è il designer del primo microprocessore della storia, che lo ha dimenticato (disclaimer: ho collaborato alla sua biografia, The Accidental Engineer[https://www.amazon.it/Accidental-Engineer-Leo-Sorge/dp/0244650675/]). Da oltre dieci anni si occupa di formazione STEM nelle comunità rurali del Mississippi con la Mississippi Robotics [http://mississippirobotics.org/]. Nel 2017 venne in Italia a tenere alcune conferenze, In una di queste, ospitata in un fablab pubblico e dedicata alla formazione STEM, presentò un completo piano quinquennale per queste materie, ma nessuno -dico nessuno- dei “formatori” presenti ne prese la fotocopia. Immagino quanto abbiano capito del programma e che tipo di formazione scientifico/tecnica possano erogare.

Quella presentazione è ancora ben attuale e lo sarà a lungo. E’ diventata il capitolo fondante di Lavoro Contro Futuro, al cui termine abbiamo portato la KFL che segue.

Due dimensioni generano quattro quadranti che sottintendono un “ordine di rischio” per ciascuna attività. Il maggior rischio è nella danger zone, quindi il minor rischio è nella verniciatura umana (veneer in realtà vuol dire impiallacciatura) e poi a crescere in senso orario.

Le frecce sono la nostra aggiunta alla KFL e vanno intese come la possibile variazione nel tempo di questo rischio.

Complementare alla tematica STEM c’è la riscrittura Solarpunk, che tende ad usare al meglio le tecnologie esistenti. Non si tratta solo di un approccio letterario: a ben guardarla, tutta l’attività di Elon Musk, dalle auto elettriche ai pannelli solari, ai razzi spaziali riusabili- è facilmente inquadrabile in quest’ottica.

 

Il solarpunk è un saggio leggero

Francesco Verso, uno degli autori di fantascienza più premiati in Italia, ha una seconda attività come editore indie internazionale ed ha pubblicato un’eccellente antologia “Solarpunk: come ho imparato ad amare il futuro”[https://www.futurefiction.org/ebook/solarpunk-come-ho-imparato-ad-amare-il-futuro/] le cui storie sono basate su una conoscenza così precisa della tecnologia da diventare un saggio leggero. Il suo contributo a Lavoro contro futuro ha portato al KFL che segue.

 

In conclusione bisogna studiare continuamente ed aggiornarsi, assorbire competenze sempre nuove sia di tipo hard, sia di tipo soft. E cercare di acquisire consulenze e lavori che abbiano uno scopo. E’ proprio lo scopo che dobbiamo mettere al centro della vita.

 

 

LAVORO CONTRO FUTURO

Lotta o collaborazione? Le basi e il mindset[https://www.amazon.it/Lavoro-contro-futuro-collaborazione-mindset/dp/8867769480/]

Con i contributi di Ray Holt, Francesco Verso, Irene Da Costa, Gianni Catalfamo, Marco Casolino, Maurizio Balistreri, Chen Qiufan

Edizioni Ultra

pp. 217 – € 17,50