Tra gli studiosi che si sono occupati maggiormente di come rendere più efficace il processo di Knowledge Management all’interno delle organizzazioni, spicca il nome di Ikujiro Nonaka, professore alla Barkley University e precursore di una ampia schiera di autori giapponesi che hanno affrontato questo argomento, come Kazuo Inumaru e Yogesh Malhotra.

Dallo stesso Malhotra possiamo trarre una prima riflessione sul significato di KM, che sottolinea il necessario legame tra tecnologia e capacità umana nella riuscita di un’efficace gestione della conoscenza all’interno di un’organizzazione: “il Knowledge Management risolve le questioni critiche dell’adattamento, della sopravvivenza e delle competenze delle organizzazioni, di fronte a cambiamenti ambientali sempre più discontinui”.

In sostanza, riguarda quei processi organizzativi che uniscono la capacità di combinare i dati ed elaborare le informazioni, con la creatività e la capacità di innovare degli esseri umani.

Kazuo Inumaru, poi, ci suggerisce questa definizione di KM e del suo ruolo nel processo di creazione di valore e nell’incremento della produttività in un’impresa: “La conoscenza è diventata una parola chiave per il managememnt. In passato le risorse di cui un’azienda doveva disporre erano tradizionalmente tre: persone, denaro, impianti. Oggi la conoscenza, definita come informazioni che hanno valore, è considerata una risorsa che coordina le altre tre, fornendo un valore aggiunto utile per il raggiungimento degli obiettivi aziendali. Questo modo di ottenere nuovo valore consiste nell’integrazione e nella condivisione sistematica delle conoscenza che ogni dipendente ha con quelle dell’organizzazione”.

Chiamiamo Knowledge Management la metodologia di gestione della conoscenza. Lo scopo consiste nell’incrementare la competitività aziendale attraverso una gestione del processo più consapevole e controllata. In un’azienda dove il KM funziona bene, i lavoratori condividono le conoscenze provate valide dall’esperienza e il Know How che hanno ottenuto sul lavoro contribuendo così a incrementare la produttività e la competitività.

Come detto, Inumaru si ispira al modello di Knowledge Management elaborato da Ikujiro Nonaka e le fondamenta di questo modello sono: costruire informazioni con un valore e condivise da tutta l’organizzazione, “la conoscenza, a differenza delle informazioni, riguarda le convinzioni e il coinvolgimento”.

La conoscenza, continua Inumaru, può suddividersi in “ciò che è individuale, soggettivo ed empirico (esperienziale) e ciò che è sociale, oggettivo e teorico”, in altre parole, riprendendo quanto teorizzato da M. Polany, la conoscenza può essere “esplicita” o “tacita”.

Quest’ultima, secondo Nonaka, è “highly personal and hard to formalize, making it difficult to communicate or to share with others”.

Questa distinzione, però, non impedisce ad entrambe le tipologie di conoscenza di interagire tra loro nello svolgersi dei processi aziendali, cosicché “la conoscenza, seguendo questo processo progressivo, cresce e matura da individuale a organizzativa”.

Dalla teoria di Nonaka, inoltre, possiamo ricavare quattro tipologie di KM:

  • Kaizen: Competenza nell’incrementare l’efficienza nella gestione delle attività aziendali, condividendo e utilizzando il patrimonio della conoscenza”;
  • Incremento di valore: La generazione di profitto attraverso il patrimonio della conoscenza;
  • Concentrazione di risorse: La concentrazione organizzativa di conoscenze che attualmente sono disperse nella struttura;
  • Unione di risorse: Lo sforzo di rendere attivi lavoratori e clienti all’interno e all’esterno della struttura creando relazioni e reti;”

E quattro metodologie per la sua realizzazione in un’impresa:

  • Condivisione delle best practice: Incremento dell’efficacia tramite la condivisione e il trasferimento della conoscenza, attraverso l’apprendimento generato dall’analisi delle operazioni quotidiane e il Know How derivante dai casi di successo interno all’azienda;
  • Rete di conoscenza specializzata: Collegare, ad esempio in una rete globale, le varie persone dotate di delega del potere decisionale e di conoscenza specializzata all’interno e all’eterno dell’organizzazione, per risolvere problemi o prendere decisioni specifiche. Questa unione permette di superare la sommatoria delle conoscenze esistenti a livello individuale, raccogliendo, quando necessario, le conoscenze in tempo reale, per far questo è necessario creare un campo di condivisione della conoscenza che utilizzi strumento come la posta elettronica e i groupware;
  • Capitale di conoscenza: Generare profitto utilizzando all’interno e all’esterno dell’azienda il patrimonio di conoscenza che può essere trasformato in valore economico. I brevetti e le licenze, i diritti d’autore, i marchi aziendali sono definibili come patrimonio di conoscenza;
  • Condivisione della conoscenza con i clienti: Fondamentale è la condivisione della conoscenza con il cliente, oppure l’offerta continua di conoscenza al cliente abituale. All’interno di una struttura organizzativa aziendale virtuale, il cliente deve essere inserito consapevolmente.

Un altro elemento di grande interesse presentato da Nonaka, riguarda il ruolo del top management in un processo di KM, per cui il compito più critico da parte della leadership è “concettualizzare una vision circa il tipo di Knowledge da sviluppare e da rendere operativa nell’implementazione di un sistema di gestione”.

La vision elaborata dal top management permette di legare i membri dell’organizzazione a obiettivi e compiti flessibili.

In questo modo si tenta di limitare la rigidità imposta da un sistema di management by objects (gestione per obiettivi), che troppo spesso conduce ad una demonizzazione dell’errore, in favore di un’impostazione dialettica, che non miri al semplice raggiungimento di obiettivi prestabiliti, ma alla progettazione degli obiettivi e dei compiti più adeguati alla realizzazione della “visione” dell’organizzazione:
“Gruppi ed individui, all’interno delle organizzazioni che gestiscono il processo di sviluppo della conoscenza, programmano autonomamente i loro obiettivi, con il fine di perseguire gli obiettivi espressi nella vision dell’organizzazione”.

Ikujiro Nonaka, nella sua riflessione sul Knowledge Management, ha enfatizzato l’aspetto che soltanto gli uomini possono generare conoscenza, mentre i computer sono soltanto strumenti, per quanto grande possa essere la loro capacità di elaborare informazioni.
Già trent’anni fa, West Churchman, uno dei precursori tra i teorici dei sistemi informatici, affermava che la conoscenza risiede nei suoi utilizzatori e non nel complesso delle informazioni.

Nonaka, parte dalla premessa che la conoscenza è “contenuta” nelle persone e non nei sistemi informatici, modificando, in tal modo, la concezione proposta negli ultimi anni da molti addetti ai lavori che ingenti investimenti nell’IT conducono a performance crescenti.

Erik Brynjolfsson, Professore alla MIT Sloan School, conferma questa tesi: “La stessa quantità di denaro spesa per un medesimo sistema può fornire un vantaggio competitivo ad un’impresa, ma soltanto carta straccia ad altri. Questo perché un fattore chiave per elevati ritorni economici da innovazione nell’IT, è l’efficace utilizzo delle informazioni che riguardano le performance dell’organizzazione. Come gli executives dovranno fare per individuare tale efficace utilizzo delle informazioni rimane una questione aperta”.

Sullo stesso argomento e con le stesse conclusioni si sono espressi Paul Strassmann, economista, autore di “The Squandered Computer” (Economic Press, 1997), e John Seely Brown, Direttore dello Xerox Park Research Center in Palo Alto, California, che sottolinea, ad esempio dell’articolo “Sustaining the Ecology of Knowledge“come negli ultimi 20 anni le aziende a capitale USA hanno speso centinaia di milioni di dollari in investimenti IT realizzando pero’ miglioramenti insignificanti per la conoscenza dei lavoratori”.

“L’epoca in corso”, analizza Brian Arthur, Preside della Facoltà di Eonomia e Studi Demografici alla Stanford University “e’ di transizione tra un’economia basata sulle informazioni e una basata sulla conoscenza. Nel primo periodo i sistemi informativi si basavano su ricette programmabili per il successo ed erano in grado di rispondere alle premesse di efficienza basate sull’ottimizzazione sulla base di predizioni, mentre ora sono centrali la capacita’ di adattamento e di previsione sulla base delle conoscenze acquisite sviluppare la capacità di adattamento rispetto a quella di predire.

Arthur ritiene che il mondo dell’impresa basata sul Knowledge è caratterizzata sul “re-everything” e cioè la continua ridefinizione di scopi, obiettivi e pratiche organizzative.

Le imprese competono in un mercato caratterizzato da cambiamenti radicali e discontinui e che richiede un ciclo sempre più rapido tra la creazione della conoscenza e la capacità di metterla in pratica, attraverso l’interpretazione dinamica delle informazioni generate dai sistemi informatici.
Oggi, però, il mondo degli affari non premia l’utilizzo di regole predefinite, quanto la comprensione e l’adattamento alle regole del gioco, nello stesso momento in cui il gioco stesso continua a cambiare Secondo Senge e Argyris, questo non è ancora tutto, in quanto la capacità di adattamento è soltanto il primo gradino, mentre le aziende hanno bisogni di focalizzarsi su un apprendimento a doppio binario, “Double- loop learning”.

Le imprese che creano conoscenza, “Generative learning”, enfatizzano la sperimentazione e il feedback nell’esame continuo della strada lungo la quale un’organizzazione definisce e risolve i problemi.

Argyris, come ha espresso nel testo “On organizational Learning”, ritiene che imprese di questo tipo debbano possedere un “pensiero sistemico”, “una visione condivisa”, “apprendimento dal team” e “tensione creativa”. Quando le imprese, al contrario, si concentrano sulla risoluzione dei problemi nel presente, senza esaminare l’appropriatezza degli attuali sistemi di apprendimento, agiscono nei termini del miglioramento continuo basato sulle esperienze di successo.
Per mantenere la loro capacità di adattamento, suggeriscono Senge e Argyris, le organizzazioni devono essere capaci di sperimentare ed essere “self design organization”, mantenendosi in uno stato di frequente, quasi continuo cambiamento di strutture, processi, campi e obiettivi.

Karl Erik Sveiby, l’autore di “The New Organizational Wealth: Managing and Measuring Knowledge-Based Assets”, sostiene che la “confusione tra conoscenza e informazione ha portato molti manager ad investimenti milionari sulle tecnologie informatiche, che, però, hanno condotto a ritorni economici marginali”. Sveiby afferma che i manager devono comprendere che al contrario delle informazioni, la conoscenza è contenuta nelle persone, e lo sviluppo di tale conoscenza avviene all’interno del processo di interazione sociale.
Donald Schon, infine, riapre davanti a noi le difficoltà, i dubbi all’interno della teoria sul Knowledge Management i passi in avanti che è ancora necessario compiere per rendere “La diminuzione della stabilità significa che la nostra società e tutte le sue istituzioni vivono in un continuo stato di trasformazione, né possiamo aspettarci una nuova stabilità che possa durare per tutta la nostra vita. Dobbiamo imparare a capire, guidare, influenzare e gestire tali trasformazioni. Dobbiamo acquisire la capacità di rendere utili queste trasformazioni a noi stessi e alle nostra istituzioni. Dobbiamo, in altre parole, assumere l’attitudine all’apprendimento. Dobbiamo essere capaci non soltanto di trasformare le nostre istituzioni, in risposta dei cambiamenti; dobbiamo creare e sviluppare istituzioni che siamo ‘learning systems’, e cioè sistemi capaci di apprendere dalla loro continua trasformazione”.

L’obiettivo che la perdita della stabilità rende imperativo, per le persone, per le istituzioni, per la nostra intera società, è apprendere ad apprendere.

Qual è la natura del processo per cui organizzazione, istituzione e società si trasformano?
Quali sono le caratteristiche di un efficace learning systems?
Quali ostacoli incontra chi vuole sperimentare tale forma di apprendimento?

Questi sono alcuni degli interrogativi che la ricerca dovrà affrontare per rendere efficace il processo di Knowledge Management all’interno di imprese ed istituzioni; per far questo è fondamentale che organizzazioni ed individui acquisiscano l’attitudine all’apprendimento e la flessibilità adeguata per rispondere tempestivamente ai cambiamenti.

Bibliografia

– Malhotra “Knowledge Management for the New World of Business” Journal for Quality and Participation; Jul/Aug 1998,
– Inumaru K. “La dimensione della conoscenza nella gestione dei processi” in “il governo dei processi”, Guerrini e Associati 2001,
– Nonaka I e Takeuchi H. “The Knowledge Creating Company”, guerrini e Associati 1997,
– Polani M. “La conoscenza inespressa”, Armando Editore 1979
– Nonaka I e Takeuchi H. “The Knowledge Creating Company”, guerrini e Associati 1997,
– Erik Brynjolfsson in “Information Week”, Sept. 9, 1996
– Brown “Sustaining thhe Ecology of Knowledge” in “Leader to Leader n.12 1999
– Arthur B. “Increasing returns and path dependence in the economy”, University of Michigan Press, 1994
– Argyris “Generative Learning”, Cambridge, Blacwell Publishers 1993
– Sveiby E. “The New Organizational Wealth: Managing and Measuring Knowledge-Based Assets”, Berrett Koehler, 1997
– Schon D. “Beyond the stable State”, Harmondwrth, Penguin