(in ricordo di Fabrizia Ramondino, scrittrice amata)

 

Woody Allen apre “Manathan”  argomentando sul suo rapporto con N.Y., fino a dire semplicemente ” New York é la mia città”

È così, seguendo l’esempio del mio autore preferito dico” Napoli è la mia città”. Sì, non vorrei vivere altrove. Come per le vere amicizie ho lavorato duramente per imparare ad amarla, per lasciare che mi stregasse con le sue arti magiche. Napoli è una Fata Morgana che crea illusioni.

Così mentre stai scendendo per un vicolo senza sole improvviso un sospiro di vento, ” nà refola ‘e viento chiena ‘e addore ‘e mare”. E tu semplicemente respiri, puoi respirare quel profumo vivificatore.

Non è facile questa città, specialmente per chi viene da un altrove pianeggiante, ordinato, “svizzero”

Ti trovi catapultata in luoghi senza tempo, azzurri spazi infiniti e logore viuzze strette come buchi neri.

Mia madre nella sua abitudine alla bellezza trovò una casa in cima ad un parco su di una strada col nome di un roditore, di una pianta e di un poeta: Via Tasso.

La Fata aveva srotolato dinanzi ai nostri occhi un panorama di azzurre acque e vele bianche.

Dal balcone di casa si vedeva l’orizzonte della Terra. Da quella strada scesi fino al mio Liceo, pomposo, illustre Liceo Umberto pieno di piccole insulse bullette.

Il 128, autobus di linea, scivolando per Via Tasso, attraversava Corso Vittorio Emanuele salutando i vecchi nobili Alberghi che si ergevano lungo la strada, il Parker Hotel e il Britannique di anglosassone memoria.

Prendeva a destra e scendeva per Parco Margherita fino a Via Dei Mille. Erano luoghi ameni, “stranieri” alla città antica e storica. Strade piene di sole, allegre e profumate di eucalipti. Oceaniche piante Australiane cibo di orsetti koala. I cui fiori da boccioli si aprivano scoppiando.

Non ho mai amato le costrizioni di aule, la noia di insulse nozioni…la scuola.  Mi pare un’assurda dichiarazione ora che godo del lavoro di ricerca, dello studio di materie per me inusitate come la fisica e la botanica. Eppure, segai le lezioni per quasi un anno intero. Me ne andavo a cinema, a prendere il sole sotto il cielo della Villa Comunale, facevo teatro con me stessa fingendo di aspettare un ragazzo che mi dava buca.

Lasciai il Liceo della gente bene e mi iscrissi al Liceo Internazionale, in Via Chiaja nel più bel palazzo nobile napoletano, il cinquecentesco Palazzo Cellamare.

Si diventava hostess, traduttrici simultanee e forse anche Miss Italia.

Le allieve erano tutte carine e non si percepiva l’atmosfera classista dell’Umberto…era un istituto privato molto costoso e i soldi si sa pareggiano i conti. Lì ero Laura, una ragazza come le altre.

Forse un po’ più spigliata se riuscivo a imitare Mina e le sue ” Mille bolle blu” cantando e difendendo le compagne da insegnanti francesi inferocite. Una leader che amava fermarsi con le amiche all’angolo della discesa del Cinema Delle Palme per estasiarsi dinanzi ad un negozio di Ikebane. Magnifiche composizioni floreali, colori,  corolle, stami e pistilli. Un vero miracolo per gli occhi, racchiuso dentro una vetrina.

Quelle strade, Via Dei Mille, Via Chiaja, Piazza dei Martiri erano il cuore elegante della città, con i negozi più esclusivi, le librerie più note, i bar e le pasticcerie più ricercati.

Il Vomero era per le “meze cazette”, piccolo borghesi e pensionati, il Centro Storico e il Centro Antico si trovavano molto lontani e distanti, gran palazzi e vicoli a spirale come serpenti.

Noi, viaggiatori snob di altri luoghi prediligevamo la terra di nessuno tra la Collina e il ventre di Napoli.

Ci godevamo il silenzio e la luce senza pagare un prezzo troppo alto al senso di disorientamento.

Non era facile entrare nell’atmosfera sismica, nel battito cardiaco di quelle strade, di bellezze inattese, e spregiudicate bruttezze.

Finii i miei studi “internazionali” all’American Studies Center, prendendo il diploma con una tesi su Edgar Allan Poe, il voto fu altissimo e il mio inglese superlativo. Fu allora che mi sposai a soli 24 anni in una sede comunale del Vomero, indossando un abito rosa shocking.

La mia prima casa era una specie di vecchio casale ai piedi degli spalti della Fortezza di Sant’Elmo.

Con antiche stalle, una scuderia in disuso staccatasi dalla Casa d’origine, Villa Fermariello.

In alto sopra la mia dimora, vicino all’eden, sopra la cima del Mondo, visibile fin dalle lontane isole il bellissimo Castel Sant’Elmo con il museo della Certosa di San Martino.

Napoli è una città da scoprire, devi conoscerne la fisicità, ì il corpo, i nervi, le ossa, le pulsazioni  del sangue che come torrente in piena scorre nelle sue vene.

Per raggiungere le cime, le salite, le parti alte ci sono funicolari che si arrampicano  come a San Francisco,  giungendo in  piccoli campi di calcio parrocchiali, strade alberate, piazze larghe e ricche botteghe.

Ma ancora più importanti e antiche sono le scorciatoie in forma di scale. Dovunque puoi incontrare gradini, antichi di tufo e erba, neri di lavagna con edicole di santi sulle pareti delle case.

Le scale sono un patrimonio per la nostra varia e vasta umanità.

In quella prima casa ho imparato la condivisione, gli amici a cena, le chiacchiere, i lavori casalinghi.

Pochi soldi, molta fatica e tante persone speciali.  Fu lì che le amicizie si costruirono, si coagularono.

Così la città si esprimeva in carne e sangue, in esseri umani di forte spessore culturale.

I miei amici. I miei fratelli.

Napoli è anche questo, una possente umanità.

Ho vissuto tutta la mia vita con un napoletano doc e con lui ho condiviso la fedeltà a questo luogo.

La decisione di non andare via, di restare e lottare, di restare e fare del proprio meglio, fare la cosa giusta prendendoci cura della sua bellezza, della sua specificità.

Napoli è la mia città, anche se ridotta a uno sterile spot pubblicitario, un consiglio per gli acquisti per turisti senza sguardo, inconsapevoli, svogliati.

Improvvisa  Fata  Morgana fa scoppiare fuochi d’artificio nella notte buia del morbo, fa apparire suonatori di musica per  anime morenti. Fa fermare il moto della terra su se stessa per ricordare una divinità scomparsa.

Può accadere di camminare soprappensiero all’imbrunire, sortendo da una viuzza oscura, scendendo da una stretta scala di ardesia  e trovarsi di fronte  il golfo , il Vesuvio, il mare, l’orizzonte intero  tinto di  un rosso più acceso di una fiamma di   fuoco, più soave di un poema omerico.

Verso le bocche di Capri Ulisse lotta contro il canto delle Sirene.  Una di loro, Partenope si lascerà morire nelle acque per riemergere sulla spiaggia ai piedi di Monte Echia.

Da lì nasce Neapolis, la Città Nuova dei Greci, Althenopis, l’ “occhio di vergine” di Goethe e Mozart,  Napoli,   l’ ” occhio di vecchia” degli  invasori  tedeschi   rei di averla  rasa al suolo e devastata.