Mi hanno hackerato il sito www.umbertosantucci.it, che ora non è più mio anche se cerca in modo maldestro per spacciarsi per me, per ragioni che mi sfuggono, trattandosi di qualcuno che risiede nelle Baleari e non ha nulla a che fare con me. Quindi da ora chi vuole incontrare me può visitare due siti:

https://www.umbertosantucci.com/ – che presenta principalmente la mia produzione artistica,

https://www.problemsetting.it/ – che contiene i materiali del sito che pubblicai nel 1999, opportunamente integrati e aggiornati, pubblicati in cartaceo nel 2007 nel libro “Fai luce sulla chiave” edito da Gremese. A questi materiali ho aggiunto un Atlante di Problem Solving con oltre 400 voci su comunicazione, creatività, formazione, gestione a vista, management, marketing, project management, sempre dal punto di vista del problem solving.

Questo sito è intitolato al setting, anche se tratta tutto il processo di problem solving in 5 passi: scoprire il problema, definirlo come problema, cercare soluzioni, scegliere le soluzioni migliori, applicarle. Particolare importanza è data al setting perché sia nelle mie esperienze lavorative, sia in tutto ciò che succede nel mondo, ho notato che si cerca di risolvere i problemi senza averli ben definiti, e spesso si affronta un falso problema al posto di quello vero, o si insiste su soluzioni che invece di eliminare il problema lo aggravano.

Per presentare adeguatamente il mio sito ai lettori di questo magazine, che cosa di meglio che focalizzare sul caos management?

Ne ho fatto una voce dell’Atlante: https://www.problemsetting.it/atlante-di-problem-solving/management/caos-management/

da cui si accede alle voci Complessità, Leaderless organization, Leadership distribuita, Learning organization e Servant leader, che la integrano per avere una visione più sfaccettata dell’argomento. La pagina principale dell’Atlante contiene i link a tutte le voci in ordine alfabetico, ma le stesse voci sono raggruppate nelle pagine che fanno da aggregatori per gli argomenti specifici. Quindi il link alla voce sul caos management si trova sia nella pagina generale, sia nella pagina del management, che raccoglie tutti i link relativi.

Il caos management è un ossimoro, perché il caos è disordine di per sé ingestibile, e il management presuppone che per poter gestire si debba mettere un po’ di ordine. Quindi è di per sé una sfida, perché cerca di far andare insieme due cavalli focosi che tirano uno da una parte e uno dall’altra.

Tutti i sistemi, siano essi organismi viventi o organizzazioni materiali, sociali, culturali, si sviluppano da una stasi iniziale a un funzionamento ordinato, che cioè segue routine ricorrenti come veglia e sonno, alimentarsi ed eliminare scorie, fin nel funzionamento dei singoli organi come il cuore che alterna sistole e diastole, o il respiro che alterna inspirazione ed espirazione. Tuttavia, nella vita stessa del sistema, intervengono cause interne o esterne che turbano gli equilibri e introducono cambiamenti. Il sistema resiste ad essi e tende a ripristinare le routine con processi di omeostasi e di resilienza, e quindi torna al suo funzionamento ordinato. Oppure non torna esattamente dov’era prima, perché l’elemento perturbante continua ad agire con processi ricorsivi, producendo effetti di crescita e decrescita sempre più accentuati, fino a che l’equilibrio si rompe definitivamente e il sistema passa ad un nuovo stato e si trasforma, o distrugge la sua struttura tornando allo stato caotico. Ho raffigurato questa escalation come il crescere di un moto ondoso “ordinato” che dall’alto mare arriva gonfiandosi sempre di più e scarica la sua energia sugli scogli in un ribollire caotico di spruzzi e di schiuma. Il frangersi dell’onda è stato studiato da René Thom con la Teoria delle catastrofi con cui la matematica descrive i cambiamenti bruschi di stato.

Se vogliamo navigare con la nave della nostra impresa dobbiamo uscire dalla stasi del porto, perché se vi restiamo non corriamo rischi ma non andiamo da nessuna parte, e dobbiamo affrontare le turbolenze del mare aperto, spingendoci abbastanza da trovare un buon vento, ma non tanto da schiantarci sugli scogli o da essere inghiottiti dal Maelstrom. Il tratto fra l’avventura e la catastrofe, fra l’ordine e il caos, è la complessità caordica in cui ci troviamo da almeno mezzo secolo, con le turbolenze e le minacce sempre più globali che sono culminate nella pandemia Covid seguita a ruota dalla guerra per interposta Ucraina fra USA e Russia.

Come gestire questa crescente complessità? La teoria si avvale della potenza di calcolo attualmente disponibile, che ha dato notevole impulso alla dinamica dei sistemi, la meteorologia, i sistemi di supporto alle decisioni, fino ad arrivare alle reti neurali e alle macchine che apprendono grazie agli enormi progressi dell’intelligenza artificiale, e ai metodi di analisi dei big data con cui è possibile quantificare, modellizzare e studiare fenomeni caotici, dal flusso delle correnti d’acqua agli andamenti finanziari.

In pratica le organizzazioni più avanzate hanno adottato sistemi e filosofie provenienti dalla lean factory Toyota degli anni ‘50 e sviluppatisi poi con la Qualità Totale, strumenti come i Six Sigma, la Balance Scorecard, il kanban (tutto questo si trova nelle voci dell’Atlante di Problem Solving). E’ fondamentale tuttavia operare un salto di paradigma per passare dall’azienda meccanicistica di tipo fordiano, basata sulla linearità della catena di montaggio, degli organigrammi e delle procedure, all’azienda post-industriale che si ispira a reti organiche autoregolantisi come organismi viventi.

In tal senso cambia il concetto di leadership, che passa dal leader come figura eccezionale, carismatica, dirigista, ad un compagno di viaggio, un coach pronto ad aiutare nella soluzione di problemi, fino alle teorie della leaderless, che propongono organizzazioni capaci di autogovernarsi. A tal proposito Dee Hoch propone la sua leadership caordica chiedendo ai suoi interlocutori qual è la prima qualità di un buon leader. Se si prova a fare questa richiesta in aula, o anche a se stessi, nessuno indica la qualità principale del leader, che per Dee Hoch è saper gestire se stessi. Se si continua con la richiesta della seconda qualità, tutti parlano di come gestire i dipendenti. Invece essa è saper gestire i propri superiori, quelli che hanno potere su di noi. Come si fa? Si cerca di aiutarli a raggiungere i loro obiettivi. Noi nasciamo con questa capacità, perché da neonati diciamo agli inesperti genitori che cosa devono fare per accudirci. Poi con l’educazione perdiamo questa capacità e ci sottomettiamo al potere degli adulti. Il terzo requisito è gestire quelli che non hanno potere su di noi, e su cui noi non abbiamo potere, come colleghi, fornitori, clienti, stakeholder vari. Infine, il quarto ed ultimo requisito è saper gestire i sottoposti, quelli su cui noi abbiamo potere. Questi devono essere gestiti in modo che ci seguano non perché glielo abbiamo ordinato, ma perché li abbiamo convinti. Come ribadisce Dee Hoch, chi dà ordini non è un leader, è un padrone, e chi è costretto ad eseguire ordini non è un follower, ma uno schiavo.

Il metodo è ricorsivo, perché si riproduce a qualsiasi livello gerarchico, in un loop che parte da se stessi, e gira dall’alto verso il basso. La capacità di gestire se stessi come primo requisito fa sì che ognuno sia capace di individuare problemi, cercare soluzioni, prendere decisioni, fronteggiando così qualsiasi difficoltà e imprevisto.

 

Per reagire alle turbolenze caordiche le organizzazioni devono essere leggere, agili, ispirate a sistemi e organismi viventi, fatti di sottosistemi autonomi che svolgono le loro funzioni senza bisogno del controllo dei capi, che addirittura sono tenuti al di fuori come accade con lo scrum, un metodo progettuale fatto di cicli autonomi che fanno uscire risultati come da una scatola nera.

Pensiamo al corpo umano. Il cervello, che equivale alla direzione generale, non sa che cosa sta facendo il fegato, il cuore o i polmoni. Si limita ad intervenire solo se c’è qualcosa che non va, quando avverte sensazioni di dolore o di disagio, o desideri o timori, o se l’organo non svolge i suoi compiti, come uno stomaco che non digerisce bene.

 

Un esempio di piccola organizzazione autoregolantesi è lo stormo di uccelli migratori, che segue una regola semplicissima: segui l’ala destra o sinistra del compagno che ti precede. In tal modo lo stormo vola per centinaia di chilometri mantenendo inalterata la sua formazione a triangolo. Se l’uccello al vertice gira a destra, tutto lo stormo girerà perché ognuno segue chi lo precede. Lo stesso accade con i frattali che applicando una formuletta breve ma ricorsiva generano forme affascinanti e incredibilmente complesse, dal broccolo romano alle nuvole.

Trasportando l’esempio degli uccelli all’organizzazione di gruppi di lavoro o di unità produttive, si parte sempre dalla definizione del problema e degli obiettivi da raggiungere, e si danno poche indicazioni capaci di orientare l’autonomia del gruppo, poi si lascia il gruppo al suo lavoro, non si controlla il processo, ma solo il prodotto che ne viene fuori, In tal modo l’impegno del dirigente si riduce solo a ciò che è essenziale (controllo degli output per tempi di consegna e requisiti di qualità) lasciando gli specialisti fare un lavoro che conoscono assai meglio, proprio come il pancreas sa lavorare meglio di quanto il cervello non ne sappia.

Tutto ciò comporta una chiara definizione del problema e degli output che devono uscir fuori alla fine del processo, e una leadership calma e sicura di sé, che lascia lavorare in pace e interviene solo per sostenere in caso di difficoltà. In tal modo è possibile affrontare le turbolenze interne ed esterne con un alto grado di resilienza e flessibilità.