Noi pedagogisti clinici abbiamo fatto della relazione una professione: attraverso metodi e tecniche propri della categoria, le persone che si rivolgono a noi sostano in un dialogo in cui parole, silenzi e linguaggio corporeo invitano a riconoscere e risvegliare le proprie disponibilità, abilità e potenzialità.
Una relazione educativa dunque, che non riguarda però solo chi si occupa di educazione per lavoro.
Titolo e sottotitolo di questo articolo, che erano anche quelli del Convegno che si è tenuto a Stia (AR) il 12 ottobre dello scorso anno, suggeriscono quindi non una riflessione per addetti ai lavori, ma un orientamento per chi è impegnato con bambini e ragazzi: famiglia, scuola o comunque agenzie di formazione (musicale, sportiva, religiosa, ecc.).

L’educazione, come qualsiasi rapporto dialogico, non può prescindere dalla relazione; questo tempo, così veloce, impone però di tener presente, nel nostro agire, un futuro che non conosciamo e che molto spesso fatichiamo a immaginare. Cosa possiamo offrire allora alle nuove generazioni?
La scienza Pedagogico Clinica, fondata nel 1974 dal Movimento dei Pedagogisti Clinici e dal suo presidente prof. Guido Pesci, per contrastare i fenomeni di marginalizzazione, ha festeggiato nel 2024 i cinquant’anni dalla sua nascita. Questa ricorrenza è stata occasione di importanti riflessioni, soprattutto nel confronto con altri specialisti, come ha attestato anche il Congresso “Insieme per l’inclusione: strumenti, risorse, soluzioni” tenutosi a Firenze.
Se quindi di educazione si può, anzi è auspicabile, parlare con diversi professionisti, ci è sembrato interessante evidenziare i concetti che ritroviamo nei vari approcci, come porte di dialogo fondamentali lungo tutto il percorso scolastico e oltre.
La figura del Pedagogista Clinico® si distingue per l’attenzione alla persona, di qualunque età, nella sua globalità e la collaborazione con altri professionisti, là dove necessaria, è considerata un valore aggiunto, nel rispetto delle reciproche specificità, proprio a sostenere l’equilibrio e la crescita armonica, anche dove emergano carenze e disturbi, portando l’attenzione alle abilità possedute e valorizzando le potenzialità e le specificità di ciascuno nell’essere protagonista della propria evoluzione.
Naturale quindi coinvolgere i giovani stessi in questa riflessione: cosa pensano dell’educazione, chi se ne occupa o se ne dovrebbe occupare? Quali suggerimenti o richieste sentono di voler presentare per essere stimolati in questo percorso?
I fatti di cronaca rendono quanto mai attuale le richieste dei ragazzi, che si ribellano alla passività e pretendono di essere ascoltati.

Venendo al Convegno, ho scelto il Casentino, località montana, attenta al sociale, nonostante le difficoltà di un territorio in cui ai centri abitati si alternano zone con scarsa densità di popolazione, per una riflessione corale sull’educazione.
Il confronto tra i relatori, con formazioni diverse tra loro, ma professionisti dell’educazione a vario titolo, ha evidenziato un filo comune che, coerentemente con i principi della Pedagogia Clinica, percorre alcune pratiche funzionali alla crescita, dalla scuola dell’infanzia alla formazione universitaria: uno sguardo al futuro dell’educazione quale trama di relazioni professionali efficaci, per costruire nelle realtà territoriali risposte educative ai bisogni della persona.
Con questo spirito la dott. Maressi (Presidente regionale ANPEC, Associazione Nazionale Pedagogisti Clinici), che ha presieduto il convegno, ha auspicato un futuro che non divide per genere o altro, ma che unisce, crea effervescenza nello stare insieme, nell’includere e nel permettere a quanti coinvolti nel “fare educazione”, primi fra tutti coloro che abitano l’istituzione scolastica, di apportare contributi preziosi volti a soddisfare il bisogno di umanazione delle future generazioni. La necessità di tornare a rendere umana la persona, res sacra a prescindere da età, genere, etnia, QI o qualsiasi altra caratteristica, è emersa come chiave di lettura nei contributi di diversi professionisti. Tali contributi si rintracciano in alcune espressioni emerse dagli interventi, tra cui ne sono state evidenziate alcune che risuonano nella nostra professione e possono essere ponti per collaborare con le altre professionalità verso un tipo di educazione che guardi al futuro.

Dalla relazione delle docenti Orizzonte e Scaringi (Scuola dell’Infanzia comunale di Firenze) le parole cambiamento, costruttività e fiducia hanno racchiuso il senso di un intervento che ha illustrato come anche in età precoce (3-6 anni) i bambini abbiano a disposizione abilità e potenzialità, che chiedono solo di essere individuate, aiutate ad emergere e a consolidarsi, favorite da spazi parlanti, dove ambienti e materiali devono essere predisposti per indicare in modo chiaro i possibili utilizzi e suggeriscano attività e modalità, senza la necessità di istruzioni.
Le docenti hanno rilevato che, i cambiamenti posti in essere dopo l’attenta osservazione del loro gruppo classe, solitamente faticoso e difficile da gestire, hanno modificato le dinamiche relazionali, disteso il clima ed aumentato il benessere di bambini e adulti.
La maggiore piacevolezza dello stare insieme ha permesso spontaneamente ai bambini la scoperta di modalità relazionali più evolute, che hanno gradatamente aumentato l’autonomia nella risoluzione dei conflitti e dato la possibilità alle docenti di proporre attività didattiche complesse: la conoscenza del mondo in modo attivo e non subito, resa possibile da ambienti e materiali che favoriscono l’esplorazione attraverso il corpo, fornisce alla persona in età evolutiva la capacità di sviluppare competenze trasversali, fondamentali anche nei gradi successivi di istruzione.

La prof. Trivellin, ricercatrice presso il dipartimento di Architettura e Design (Università di Ferrara), ha analizzato i metodi e le pratiche di insegnamento applicate al design nelle aule universitarie e come siano cambiate negli ultimi anni. Il design di prodotto, in particolare, si sviluppa con una componente teorica e una pratica. Questo passaggio, solitamente identificato con la fase di verifica della validità dell’idea iniziale, deve essere considerato un fondamentale processo di apprendimento al pari dell’ideazione teorica.
L’importanza dell’apprendimento attraverso il corpo quindi e, in particolare, il fare con le mani, che trova sostenitori eccellenti da Maria Montessori, a Henri Focillon, e più recentemente, S. Roberts, così come nella scienza pedagogico clinica, è una costante anche nei gradi più alti dell’istruzione.
I cambiamenti nelle pratiche di insegnamento ed il concetto di innovazione, inoltre, non possono più prescindere dai limiti dati dall’economia circolare e dallo sviluppo sostenibile. Proprio questi nuovi vincoli, tra l’altro, sono stati capaci di innescare a loro volta processi di innovazione: l’auspicio quindi è di educare ed educarsi al fiducioso confronto con il cambiamento e alla ricerca di innovazione.

Richiesta di cambiamento e innovazione vengono anche dalla fascia intermedia, la scuola dell’obbligo, dove la sottoscritta ha coinvolto gli studenti di alcune classi dalla scuola primaria alla secondaria di secondo grado, nella riflessione sul futuro dell’educazione e ha dato voce al desiderio di responsabilizzazione e coinvolgimento che è emerso. Gli studenti del Liceo di Poppi infatti, in seguito al percorso di ricerca, mediante la cooperazione attiva tra i partecipanti, hanno potuto collaborare al convegno, dove hanno esposto un report sulle loro attività e curato l’accoglienza dei partecipanti.

Con attività ludiche nella scuola primaria e secondaria di primo grado (I.C. Spinelli di Scandicci) e le conversazioni di gruppo, condotte principalmente con la tecnica del Reflecting® (tecnica pedagogico clinica che favorisce la riflessione e l’evoluzione personali) nella secondaria di secondo grado, gli studenti si sono soffermati sulla loro esperienza rispetto al tema dell’educazione e sulle loro aspettative e proposte in merito.
La relazione, con i genitori, i coetanei e con i docenti, come veicolo fondamentale nei processi di apprendimento, è risultata ricorrente nelle riflessioni dei ragazzi, come anche la richiesta di responsabilizzazione, coinvolgimento e fiducia.
In diversi suggeriscono un rinnovamento del processo educativo prevedendo più attività collaborative, dove i ragazzi possano apprendere ed essere messi alla prova stando insieme, con attività di gruppo piuttosto che con lezioni frontali e prove individuali.

Tutte le scienze stanno tornando a dire che la migliore potenzialità di ciascun individuo è quella di essere immersi nella reciprocità, inoltre le informazioni sono ormai accessibili anche autonomamente attraverso i vari device, che senso ha dunque la scuola oggi, se non valorizza la costruzione di senso comune che solo l’apprendere insieme può assicurare?
E’ un cambiamento già in atto, ma non è pensabile una scuola che aiuta, se non ha spazi di aiuto anche per gli insegnanti, senza momenti di sostegno e di cura del loro lavoro. Indispensabile pensare ad un percorso di formazione degli insegnanti che recepisca, accanto all’esigenza di una solida preparazione culturale, anche la necessità di attività formative di natura esperenziale, accompagnate da adeguate forme di supervisione, che consentano di promuovere e sostenere, insieme alla pratica riflessiva, lo sviluppo delle qualità personali nel lavoro docente.

Il dott. Fabbri (pedagogista clinico) ha ricordato come la visione di persona sia determinante per ogni agire educativo, per la scuola e la società, ma ha anche sottolineato il divario esistente tra l’impegno teorico e di buone pratiche da un lato e le disumanizzazioni esistenti dall’altro.
La scuola, chiamata a valutare le conoscenze, non può servirsi unicamente di protocolli: la verifica deve valorizzare la persona, facilitarne il percorso di crescita umana e conoscitiva.
Partire dalla consapevolezza, del valore che ciascuno di noi ha per se stesso ed è per gli altri, è l’obiettivo che promuove la Pedagogia Clinica in vista di un cambiamento positivo, abile nel contrastare i flagelli emarginanti la persona, capace di ricucire lo scollamento esistente tra la persona e il (s)oggetto istruito, il (s)oggetto inserito nella società.

Il focus della scuola e della società è chiamato a valorizzare l’azione umanizzante dell’educazione, perché, come affermava Heidegger, nonostante nessuna epoca abbia mai avuto tante conoscenze sull’uomo, mai l’uomo ha assunto un aspetto così problematico come ai nostri giorni.
Se pensiamo alla scuola spesso tutto è finalizzato al momento valutativo delle conoscenze, in un clima ansiogeno generato dalla prestazione in competizione con l’altro.
La mancata capacità di riconoscere l’essenza della propria esistenza genera l’ansia dell’essere, dell’affermarsi, della prestazione, dell’essere etichettato. Angoscia così forte che porta il soggetto a spostarsi nei non-luoghi, spazi di liquidità in cui la fluidità che permettono, apparentemente, promette di abbattere le barriere del dover essere qualcuno, delle categorizzazioni. Il non-luogo è perdita della definizione, assenza di contorni, dove l’identità è volutamente rifiutata perché percepita come opprimente, limitante e così quel “sono io” si è trasformato in un “Io” privato di tutto, privato dell’essere, non più umano.
Facilitare nella persona il riconoscersi homo humanus è compito educativo della scuola e della società, che si può incarnare in molteplici occasioni, stimolo di epifanie della propria umanità, occasioni impostate sull’aver cura, quel to care proprio dell’educazione, avente uno sguardo attento e amorevole all’essenziale.

L’intervento del prof. Borsacchi (musicista e formatore di Audiation Institute) ha invitato a riflettere sulla necessità di comprendere le origini e le funzioni fondamentali della musica, espressione collettiva umana antichissima e diretta eredità di comportamenti animali, per rintracciare anche in questo linguaggio i presupposti di attenzione e accoglienza della persona.
Educare alla musica attraverso la musica stessa può diventare uno strumento per promuovere relazioni di cooperazione, creatività e pace nel rispetto dell’unicità di ciascuno.
Dall’infanzia all’età adulta, ogni individuo ha il diritto di entrare a far parte dell’espressione musicale collettiva senza che il giudizio performativo prevalga sull’esercizio del diritto medesimo e anzi permettendo l’espressione della creatività e della spinta evolutiva spesso divergente.

La prof. Dini (psicologa e psicoterapeuta) e la dott. Gordigiani (avvocata) hanno esplorato le possibili conseguenze dovute alla mancata accoglienza delle tante unicità, causata dall’individualismo esasperato, dall’irrigidimento dei confini, geografici e personali, dall’espulsività, dall’indifferenza e talvolta dalla disumanità della nostra società.
La psicologa ha raccontato sia l’intervento in una classe in cui il malessere dei ragazzi, diventato cronico, ha imposto una riflessione sulla prevenzione e sulla corretta impostazione delle dinamiche a monte, fino dalla formazione delle classi, sia un’esperienza di prevenzione.
Nella seconda esperienza centrale è stata la realizzazione di un clima di solidarietà tra gli studenti. Il corpo, veicolo principale per elaborare emozioni, è stato reso protagonista attraverso le proposte. L’adolescente in particolare, vive il corpo come estraneo: esibito o nascosto, ma non vissuto come contenitore ed espressione di emozioni e sentimenti, tagliato in due dalla scuola, che esalta testa e cervello e ignora il resto, invece di farsi promotrice di cambiamento sociale e aprire spazi correttivi all’insensibilità e all’analfabetismo emotivo.
Questi cambiamenti devono diventare attitudine individuale di ogni singolo attore, dai dirigenti fino ai collaboratori scolastici, per costruire una cornice affettiva di stima, fiducia e cura, in cui si sia capaci di prevenire e identificare le inclinazioni disfunzionali sul nascere e di confrontarsi in gruppi multidisciplinari, che offrano strumenti di osservazione e intervento.

L’avvocata Gordigiani propone percorsi di sensibilizzazione e riconoscimento delle varie forme di maltrattamento e violenza, e di educazione alla gestione delle emozioni distruttive, sottolineando l’importanza della presenza nella scuola di figure professionali specializzate di riferimento, e di protocolli tra professionisti, perché interventi mal gestiti possono inconsapevolmente andare a giustificare comportamenti gravi, banalizzando le dinamiche e perpretando gli stereotipi.

La dott. Piemontese (pedagogista clinica) infine ha concluso portando la testimonianza di un percorso di prevenzione condotto nella provincia di Pistoia: il progetto, ha proposto attraverso metodi e tecniche pedagogico cliniche la possibilità di sostare sulle tematiche della comunicazione e del conflitto tra adolescenti e adulti, siano essi genitori o insegnanti.
Con materiale organizzato ed esperienze stimolo la riflessione dei partecipanti è stata guidata a scoprire in primis le proprie necessità ed a rintracciare in seguito le possibilità di risposta, attingendo alle potenzialità che ciascuno ha.
Attraverso la tecnica del Reflecting® i partecipanti sono stati sostenuti nella ricerca attiva dentro di sé delle risorse e delle risposte, in contrasto alla ricerca di rimedi preconfezionati e indicati dall’esterno, ponendo l’accento sull’importanza del contributo di ciascuno per la costruzione del futuro .

Il denominatore comune degli interventi è stato la necessità di mettere la persona al centro, al di là delle performance, come unico faro per ritrovare e mantenere l’umanità, come guida nelle azioni educative e nelle dinamiche relazionali, unico antidoto all’abbrutimento e al disorientamento che la nostra società sembra così spesso destinata ad incarnare.
La cura delle relazioni ed il coinvolgimento del corpo negli apprendimenti sono stati indicati come fattori indispensabili dai primi anni di vita ai gradi più alti di istruzione, in particolare proprio adesso, per bilanciare e dare sostanza ai vuoti lasciati dalle esperienze che sempre più passano esclusivamente attraverso i device.
L’importanza del gruppo e la richiesta di poter sperimentare nuove modalità, anche negli apprendimenti, chiedono agli adulti fiducia nei giovani e nella loro capacità di responsabilizzazione.
La periferia geografica inoltre, anziché corrispondere alla marginalizzazione della persona, può anzi esaltarne la sacralità offrendo, nelle maglie più larghe dell’organizzazione sociale, la possibilità di scegliere e di essere protagonisti attivi della crescita personale e della comunità, fino dai più precoci periodi di vita.

Un ringraziamento speciale alle relatrici e ai relatori che hanno portato interessantissimi contributi, all’amministrazione di Pratovecchio, alle dirigenti Batini e Negro che insieme alle loro docenti ed ai loro docenti, credono nell’importanza del confronto e permettono questa esperienza alle loro studentesse e ai loro studenti.

Bibliografia

https://docs.google.com/document/d/1VOKz-BxgrsgtKXJnkpPSoTS1JOG9UYog0rpm66vH5o0/edit?usp=drive_link