Numero 59 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

ENPI , Sardegna ed Europa nel momento delle decisioni

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di Vincenzo Porcasi

 

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Sull’Europa si scatenano le conseguenze della propria assenza nello scenario internazionale e soprattutto nell’area della prossimità.
Secondo quanto affermato dall’UNECE -  commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite, già nel 2002, la debolezza europea derivante dalla propria obsolescenza e dalla propria incapacità di offrire soluzioni politiche alla propria crisi interna di potere rispetto all’evoluzione economica e politica avvenuta nei paesi BRIC, deriva dalla incapacità di fare sistema di rete con i paesi della prossimità, cioè nuovi confinari rispetto ai 27 paesi da cui ora è costituita.
La problematica deriva anzitutto dall’assenza di chiarezza al proprio interno, rappresentata dal fallimento delle politiche configurate dal Trattato di Lisbona: il più grande mercato interno del mondo non si è realizzato, come non si è realizzata la rivoluzione tecnologica che avrebbe dovuto portare alla formazione della società della conoscenza.
Prudentemente l’Unece a suo tempo affermava che l’Europa non poteva fare affidamento su piccoli progetti di semplice innovazione tecnologica collegata alla continua crescita del comparto finanziario per infuturarsi. Per tale Ente la centralità dell’azione comunitaria avrebbe dovuta essere fondata sull’economia reale e cioè sulla propria capacità di produrre beni e servizi.
Tuttavia l’Europa ha un endemico fabbisogno, per produrre, di materie prime che possono essere fornite dall’area della prossimità e cioè dal gruppo dei paesi candidati a entrare nell’unione che dispongono inter alia di quelle aree necessarie allo sviluppo del settore primario, sia in funzione alimentare sia in funzione energetica – biodiesel. Su tale piano i programmi europei hanno completamente fallito il loro obiettivi.
I programmi destinati a finanziare lo sviluppo del partenariato nei paesi della prossimità si sono rilevati insufficienti dal punto di vista delle risorse finanziarie, inadatti ai modelli di sviluppo attesi dalla popolazione, cui si è offerto di partecipare a un progetto anche formativo di modello renano piuttosto che mediterraneo – il primo vede una società ormai per molti versi post-industriale, mentre il secondo affonda ancora le proprie radici nel campo del settore primario con puntate verso il comparto dei lavori civili destinati a sostenere il recupero abitativo delle masse in via di urbanizzazione.
In tal modo sono venuti meno i valori insiti nelle società originarie , dotate di forte identità anche religiosa ma non per questo fondamentaliste e radicali, spostando l’attenzione da un problema di crescita sostenibile alla formazione di un sottoproletariato urbano giovane e fortemente secolarizzato e scolarizzato, con specializzazioni tuttavia diverse rispetto a quelle richieste da un mercato del lavoro ormai divenuto globale. Fra l’altro i regimi così detti moderati  si sono trovati davanti a un processo di crescita demografica a due cifre in molti casi – come in Algeria – a fronte della quale la crescita del PIL spesso a una cifra non riesce a dare il necessario supporto economico.
L’Europa diversamente dalle Nazioni Unite non aveva saputo cogliere i prodromi della crisi di modello annunciati con la guerra civile libanese, si trova ora dinanzi agli eccidi accaduti in Egitto, dove non sussiste un problema di carattere religioso bensì un problema di censo e di visibilità sociale cioè di conflitto sociale: mentre i cristiani appartengono al ceto medio e professionale la gran parte dei giovani di recente urbanizzazione, secolarizzati e scolarizzati su basi di riferimento europee, è esclusa dalla visibilità sociale per assenza quanto meno di un lavoro percepibile come soddisfacente e di quei servizi capaci di soddisfare sia i bisogni primari che quelli secondari: La cultura globale richiede risposte globali.
Si ripropone a Sud così come su altre basi a Est la ragione di crisi che portò alla rivoluzione russa a quella di Berlino e a quella di Torino.
L’Unione Europea che non dispone di molto tempo ormai deve azzerare le politiche attendiste, deve unificarsi a livello di bilancio avere una unica cassa a livello finanziario e assumere che il proprio futuro sta nella prossimità e nel partenariato estendendo alla maniera del tempo dei Severi il diritto di libera circolazione delle risorse di ogni ordine e grado, dando vita ad una società partecipativa, unica capace di dare un futuro certo a quella parte della società diseguale non accettabile da una cultura uniforme a livello globale.
Certo sono richiesti sacrifici enormi ai cittadini storici dell’antica comunità europea, ma dietro tali sacrifici, vi è la prospettiva del recupero del consenso in Ungheria, come in Tunisia, in Bulgaria, come in Libano, come in Moldavia come in Tunisia all’interno di un dialogo interculturale capace di riscoprire i valori identitari che sottostanno non al conflitto sociale ma un modello di crescita comune negli effetti ma non nei mezzi. La Sardegna portatrice di autentici valori di solidarietà partecipativa e gestore dei programma di partenariato e di prossimità è titolar di tale azione immane e il mondo attende un segnale preciso e finalmente includente.

 

 

Vincenzo Porcasi: commercialista, anni 65. Laureato in Giurisprudenza e in Scienze Politiche, specializzato in questioni di internazionalizzazione di impresa, organizzazione aziendale, Marketing globale e territoriale. Autore di numerosi saggi monografici e articoli, commissionati, fra l’altro dal C.N.R.-Consiglio Nazionale delle Ricerche e dal Ministero del Lavoro. Incarichi di docenza con l’Università “LUISS”, con l’Università di Cassino, con l’Università di Urbino, con l’Università di Bologna, con la Sapienza di Roma, con l’Università di Trieste, e con quella di Palermo nonché dell’UNISU di Roma. E’ ispettore per il Ministero dello Sviluppo economico. Già GOA presso il Tribunale di Gorizia, nonché già Giudice Tributario presso la Commissione Regionale dell’Emilia Romagna.