Numero 59 Registrazione al tribunale di Roma N° 3/2004 del 14/01/2004

Tutta la critica storce il naso

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di Laura Lambiase Profeta

 

C’è qualcosa in questo film che affattura. I critici se ne liberarono presto, sbrigativamente: non volevano avere nulla  a che fare con un tale prodotto. Sdolcinato, grezzo, ingenuo, palesemente kitsch, laddove era molto  più gratificante parlare della Nouvelle Vague, impegnata a  catturare nuove pulsioni ideologiche da trasformare in linguaggio cinematografico.

Erano gli anni ’60. Era il 1966.

Oggi ovviamente non è più il film che ci destabilizzò, noi ragazzi politicamente piantati a sinistra di tutto, che ci fece appassionare ad una  banale storia d’amore. Noi,  che usavamo quotidianamente  parole arcaiche come rivoluzione, lotta di classe, capitalismo, marxismo. Noi  che negli anni ’60 eravamo poco avvezzi alle storie romantiche.  Ma “Un uomo e una donna” non è questo. Riguardandolo ora ti accorgi che è un’altra cosa. Una specie di  reality,  un’anticipazione di cinema realtà. Claude Lelouch  lo girò in  quattro settimane. Il suo talento fu quello di imprimere alla storia un andamento naturale, come se la macchina da presa stesse spiando la vita dei protagonisti lungo l’arco temporale di tre domeniche, trascorse a far visita ai figli in collegio.
 
Gli attori  compiono gesti, bisbigliano frasi, si rivolgono sguardi; i dialoghi sono rarefatti, a volte inesistenti,  non servono a spiegare, sono  stupide  frasi della quotidianità.

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La vita, quella vera, quella che Giacometti dice di preferire all’arte è tutta sottintesa, appena accennata. Sono le immagini a raccontarla, a fissarne i contorni, a congelarne i conflitti, a scioglierne gli umori. Lelouch lascia le parole alla letteratura e restituisce al cinema  le forme, costringendoci a mettere in  discussione alcuni principi fondamentali sull’opera d’arte.

Ciò che ci sedusse fu la semplicità con la quale si affrontava il tema dell’amore e della morte. Niente melodrammi, niente tinte fosche e sinfonie infinite: Violetta che stenta a esalare l’ultimo respiro mentre  Alfredo non la smette più di cantare il suo addio.
 
Il dolore è il dolore che non ti permette di avvicinare il corpo  di un nuovo amante, ma che ti lascia vivere con grazia  il tuo lavoro e i  giorni che restano. Quando muore chi ami la sofferenza si accumula imperturbabile ora dopo ora, ricordo dopo ricordo, respiro dopo respiro, creandoti  un habitat intorno come felci nel sottobosco, donandoti una immagine esistenziale che è copia conforme di quella vera. In questa sensazionale abitudine alla vita  c’è una sorta di dimenticanza del dolore che ti fa male al corpo ma non ti inebetisce. Non ci sono parole se non stupide frasi convenzionali. Le immagini spiegano e raccontano.  I  suoni sono vocali, le luci sono consonanti, e la musica… la musica è il pulsare del sangue nelle vene e nelle arterie. E’ il magnifico suono  che puoi ascoltare quando sul tuo corpo i fili  di un meccanismo di auscultazione della fluidità sanguigna dichiarano le tue arterie pervie o impervie. Tutto il corpo di questo film è composto da  immagini e suoni, null’altro. E poi c’è Deauville, e poi c’è la  Normandia e c’è  Flaubert  con la sua Emma  Bovary; c’è  Simenon  con  le strade umide di Rouen. Le spiagge ricoperte dall’alta marea  e il ricordo di uno sbarco che si trasformò in massacro, ”colorando di rosso rubino il blu del mare”. La letteratura fa parte della tessitura, è al di sotto del disegno, la intravedi nell’uomo  a passeggio col suo cane, l’ascolti nel racconto noto di Giacometti che in un incendio salverebbe il gatto lasciando alle fiamme Rembrandt. La letteratura la percepisci nella straordinaria vitalità di una solitudine che ne incontra un’altra e la riconosce. 

 

 

Osare.
Avere il coraggio di andare contro corrente, di andare oltre, di valicare confini, di non fermarsi alla superficie. Non esiste una cultura alta ed una meno alta esiste solo la noia. Un gesto creativo senza vita, asfittico, pavido, furbo, conveniente è merda.
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aura Lambiase Profeta ha scritto di musica per “Laboratorio Musica” e “l’Unità”; ha descritto Napoli sul “Mattino” e sulla guida “dell’Espresso”; si è divertita su “Cosmopolitan”.
E' nata a Pontecagnano molti, molti anni or sono e vive a Napoli tra Paradiso e Provvidenza.