Professioni che vanno e professioni che arrivano. In questa occasione parliamo di una nuova professione che unisce le competenze del consulente di direzione, con quelle del formatore e del counselor, con quelle del manager e dell’imprenditore.

Insomma una zuppa mista, dove le competenze di gestione operativa e di pragmaticità orientata ai risultati (manager, ritornando alla sua radice semantica di “maneggione”, di “colui che mette le mani in pasta”), si uniscono alla propensione al rischio e alla proattività  dell’imprenditore, che a loro volta si associano alla capacità di far crescere e maturare le competenze tecniche (formatore) insieme alla capacità di orientare, sostenere e sviluppare le potenzialità dell’imprenditore e della sua organizzazione (counselor). Una figura professionale di aiuto e supporto per i massimi vertici aziendali, in primis, per l’imprenditore.

Non mi pare che sia un mestiere formalizzato, con tanto di associazione e di organizzazione di rappresentanza, ma è il mestiere che mi sono trovato a fare dopo anni di consulenza di alta direzione e di formazione in aula e, sopratutto, di formazione on the job, di formazione intervento.

Sto parlando del “tutor di direzione”, una nuova figura di consulente, tanto necessario quanto ricercato dagli imprenditori di piccole e medie imprese (che, ricordiamo, insieme alle micro imprese, rappresentano il 99 per cento delle 23 milioni e passa imprese italiane).

Una sorta di tuttologo, con competenze tecniche in grado di orientarsi tra tutte le direzioni specialistiche di un’azienda che si affianca all’imprenditore, non solo e non tanto per consigliarlo o ascoltarlo e per definire nuove strategie e nuovi orientamenti aziendali, quanto per unire a queste competenze la capacità operative di tradurle in comportamenti e in risultati concreti e misurabili. Concretamente misurabili.

Insomma: per chi conosce Progetto Innesto, e i lettori di questa testata dovrebbero ben conoscerlo, è la figura che. affiancandosi all’imprenditore. o ai soci di un’azienda. non si limita a dare consigli (consulente) sostanzialmente lavandosi le mani se poi questi vengono o non vengono seguiti, considerando questa una libera scelta dell’imprenditore, che per questo motivo lo paga subito (o quasi) e indipendentemente dai risultati raggiunti.

Il tutor di direzione si affianca all’imprenditore, o ai soci di un’azienda, o ai vertici di un organizzazione coinvolgendosi nella trasformazione delle scelte strategiche in pratica operativa e rimanendo coinvolto anche nei risultati economici scaturiti dalla ricetta scelta e applicata. Concretamente, quindi, dividendo i suoi compensi in un rimborso spese giornaliero o mensile che vale meno del 50 per cento della parte del compenso legata ai risultati raggiunti.

Con i vantaggi e i vincoli che questo rappresenta per entrambe le figure coinvolte nel processo: il “tutor di direzione” e l’imprenditore.

Meno rischio e minor arbitrarietà per l’imprenditore; maggior rischio e maggior responsabilità e “potere” per il “tutor di direzione”.

 

Cosa ci dice il dizionario

Ma proviamo a mettere un po’ d’ordine. Perché tutor piuttosto che coach, mentor o counselor?

Seduti dalla parte della scrivania, da dove si “dirige”, si è portati, sostenuti da non troppo implicita arroganza spesso presente in questi ruoli, ad inquadrare tutte queste figure (tutor, coach, mentor e counselor) come parassiti del mondo produttivo facilmente sostituibili da una sorta di “fai da te”

Come racconta un dirigente di un importante azienda di comunicazione italiana i “tutor” quando vengono previsti sono, al più, “personale esperto” presente in azienda che aiuta personale meno esperto; mentre counselor, coach e mentor sono un’indefinita figura che, quando capita, e inconsapevole dei termini inglesi che lo definiscono, viene coperta (o supplita) da qualche capo particolarmente illuminato che invece di denigrare e incolpare i propri sottoposti, li sostiene anche psicologicamente.

Tanto per non andare lontano chiediamo aiuto a Wikipedia:

«Counseling: indica un’attività professionale che tende ad orientare, sostenere e sviluppare le potenzialità del cliente, promuovendone atteggiamenti attivi, propositivi e stimolando le capacità di scelta. Si occupa di problemi non specifici (prendere decisioni, miglioramento delle relazioni interpersonali) e contestualmente circoscritti (famiglia, scuola, lavoro).»

«Coaching: è una strategia di formazione che, partendo dall’unicità dell’individuo, si propone di operare un cambiamento, una trasformazione che possa migliorare e amplificare le proprie potenzialità per raggiungere obiettivi personali, di team, manageriali e sportivi. È una relazione processuale che vuole offrire al cliente strumenti che gli permettano di elaborare ed identificare i propri obiettivi e rafforzare la propria efficacia e la propria prestazione. Il coaching può essere rivolto a imprenditori, manager, insegnanti, atleti e a tutti coloro che desiderano migliorare le performances e raggiungere obiettivi particolarmente sfidanti. In un rapporto di coaching l’allenamento e la valorizzazione delle potenzialità personali permette di inquadrare l’essenza stessa del coaching: accompagnare la persona verso il massimo rendimento attraverso un processo autonomo di apprendimento.»

«Mentoring è una metodologia di formazione che fa riferimento a una relazione uno a uno tra un soggetto con più esperienza (senior, mentor) e uno con meno esperienza (junior, mentee, protégé), cioè un allievo, al fine di far sviluppare a quest’ultimo competenze in ambito formativo, lavorativo e sociale.

 

Si attua attraverso la costruzione di un rapporto di medio-lungo termine, che si prefigura come un percorso di apprendimento guidato, in cui il mentor (guida, sostegno, modello di ruolo, facilitatore di cambiamento) offre volontariamente sapere e competenze acquisite e le condivide sotto forma di insegnamento e trasmissione di esperienza, per favorire la crescita personale e professionale del mentee. L’abbinamento di mentore e mentee è spesso fatto da un coordinatore mentoring o per mezzo di un supporto online. Il mentoring ha lo scopo, non solo di permettere all’allievo di ampliare le sue conoscenze, ma anche di integrarsi nella cultura aziendale e di fornirgli supporto psicologico. Generalmente è rivolto ai neoassunti per aiutarli nella fase di ingresso nell’organizzazione.»

 

Il tutor

Ma veniamo ai tutor. Primo: sono una “specie” umana che prolifica molto velocemente.

Sappiamo dell’esistenza dei tutor nelle università, dei tutor nel mondo del lavoro, nell’ambito della formazione professionale, dei tutor d’aula nei percorsi di formazione aziendale. Sappiamo anche dei famigerati “tutor” che controllano la velocità dei veicoli sulle nostre autostrade. Sappiamo ora di enti pubblici che, nel tentativo di aiutare l’utenza nel confronto quotidiano con la burocrazia (piuttosto che semplificare) istituiscono figure di tutor che dovrebbero essere in grado  di sbrogliare complesse vicende amministrativo-burocratiche.

Dal dizionario della lingua italiana, si ricava la seguente definizione:

•          «Negli studi universitari, insegnante o studente anziano che assiste e consiglia uno o più studenti, specialmente nell’organizzazione del piano di studi (…)

•           Nel mondo del lavoro, lavoratore esperto che si occupa più o meno direttamente della formazione professionale di chi è all’inizio della carriera (…)

•          Il tutor di formazioneè un particolare lavoratore della conoscenza (knowledge worker) che, operando generalmente all’interno di un’istituzione di educazione formale in base ad uno specifico progetto educativo, accompagna gli allievi di un corso di formazione nel processo di apprendimento».

 

Il tutor quindi è un “lavoratore della conoscenza”, un competente, che fa compagnia, che non ci lascia soli!

«Il tutor dovrebbe anche saper padroneggiare le metodologie e le tecniche di apprendimento per aiutare il docente nella scelta di quelle che sono più adatte agli obiettivi formativi e alle caratteristiche delle persone in formazione».

Interessante il “dovrebbe”… siamo indubbiamente in Italia. Ma proseguiamo con Vito del Volgo a spulciare dizionari e Wikipedia:

«Il tutor svolge un ruolo “cerniera” tra le esigenze degli allievi e dei docenti.

Il tutor è colui che media tra le persone e sviluppa i contenuti:

•           media tra le persone che apprendono e il docente conduttore degli interventi formativi…

•          I contenuti. Ne favorisce l’assimilazione e la personalizzazione da parte degli allievi, ne verifica il possesso e ne favorisce l’eventuale recupero ed il rinforzo….deve avere un ruolo di mediatore qualora si verifichino dei conflitti.»

 

Il tutor è dunque un mediatore nel senso più proprio del termine, smussa gli spigoli, aiuta a trovare le strade più brevi o quantomeno quelle meno pericolose. Oscilla tra la relazione e il contenuto, tra l’empatia e la competenza. Media nei rapporti, ma rinforza la conoscenza e la competenza delle parti.

Il tutor deve saper individuare tutto ciò che potrebbe influenzare una situazione di apprendimento. Per questo deve possedere competenze sociali per gestire le relazioni con empatia, ponendo sempre attenzione allo sviluppo e alla diversità degli individui.

Se ne può dedurre che il tutor non è quello che fa le fotocopie per il docente e aggiorna il diario delle presenze, come spesso lo vediamo interpretare il suo ruolo durante i corsi di formazione ai quali partecipiamo, ma è una figura che deve essere competente, deve capire dove si trova, deve riconoscere il contesto e deve confrontarsi pari grado con il docente. Solo così riesce ad essere d’aiuto ed è utile.

 

Il “tutor di direzione”

Ma non è sui “tutor di formazione”, né su quelli universitari, né su quelli dedicati ai neo-assunti, che vorrei concentrare la nostra attenzione. Ancor meno su quelli che, invece di semplificare la burocrazia, cercano di condurti nei meandri della stessa, per salvaguardare gli interessi di opacità e occupazionali che sono alla base e la sostanza della burocrazia stessa.

Vorrei ragionare sull’utilità di una particolare figura professionale che opera nel mondo del lavoro anche se con status non riconosciuto e sotto svariate mentite spoglie (il commercialista, l’avvocato d’affari, il consulente di direzione, lo spin doctor, l’uomo della comunicazione, il responsabile delle relazioni esterne).

Parlo di un “accompagnatore”, un aiutante, un mediatore, un rinforzo, che possa affiancare gli imprenditori, o più in generale, i capi azienda che spesso, e per svariati motivi, si trovano soli. Soli ad affrontare problemi e responsabilità e, senza poterlo confessare, hanno un disperato bisogno di un supporto concreto e disinteressato. O, meglio, esplicitamente interessato in termini noti e trasparenti.

Persone, a volte giovani inesperti imprenditori, ricchi di idee e di entusiasmo; altre volte imprenditori maturi e di successo che faticano a rincorrere i cambiamenti del mercato e l’innovazione dei prodotti; altre volte imprenditori anziani che si trovano di fronte al cambio generazionale non essendo mai stati capaci di delegare compiti e ruoli né a manager né a figli o nipoti.

Persone di valore, ricche di qualità e di difetti, competenti e preparate, in grado di ricoprire il ruolo che si sono guadagnati, spesso aiutati da una struttura di manager e di consulenti che conoscono i problemi e li risolvono ma che, comunque, sono soli nel loro ruolo specifico, magari dovendo affrontare nuove sfide: crisi di mercato, salti tecnologici, conflitti familiari.

Il “Tutor di direzione” è questa nuova figura professionale, che ascolta, che accompagna, che media, che aiuta a far chiarezza perché non è semplicemente un “fidato consigliere”, un “consigliori”, non è un errore di battitura, non intendevo scrivere “consigliere” ma proprio “consigliori” che preso dal dizionario di siciliano significa: “Uomo di fiducia del capo famiglia di un’associazione mafiosa” che, pure, molte volte è proprio quello che serve. Non è neppure il classico consulente esperto di materie e di tecniche che sono normalmente fuori dalla portata dell’imprenditore quali sono, tipicamente, i commercialisti e gli avvocati; per gli imprenditori più evoluti, i comunicatori. Consulenti che nel dare il proprio parere e fornire l’indirizzo aumentano di fatto, quasi paradossalmente, il vuoto e la solitudine intorno all’imprenditore o ai massimi vertici aziendali aprendo nuove prospettive, nuove opportunità, nuovi dubbi, nuovi precipizi.

Il  “tutor di direzione” è uno che ascolta, concorda, condivide e si assume il suo carico di responsabilità off line, fuori delle linee produttive ordinarie dell’azienda (per queste ci sono i dirigenti e i quadri). Il “tutor di direzione” è una persona vicina all’imprenditore proprio quando questi deve scegliere tra le alternative che i “classici” consulenti aziendali gli propongono.

Il “tutor di direzione” non è un conselour, non deve solo “orientare, sostenere e sviluppare le potenzialità del cliente”;  non deve essere neppure un “coach”, né un consulente di organizzazione e nemmeno deve essere un temporary manager che viene reclutato per svolgere specifiche attività temporanee. Il counselour e il coach sviluppano le capacità, accompagnano la persona a prender coscienza delle proprie capacità. I temporary manager operano on line, ricuciono trame aziendali di organizzazioni sfrangiate.

Il “tutor di direzione” è una figura professionale che ha molte competenze e svolge scopi funzionali descritti dalla letteratura per i “tutor di formazione” (svolge un ruolo di “cerniera” e sviluppa i contenuti) ma che si pone in una posizione di supporto e di aiuto, paritaria rispetto all’imprenditore.

E’ figlio della teoria dei parigrado. E’ una figura di relazione d’aiuto, un supporto, un supporto di missione. Serve se aiuta, se sbroglia matasse, ma lo deve fare ponendosi sullo stesso livello dell’imprenditore; se non fosse in grado di farlo non potrebbe risolvere le difficoltà che si debbono affrontare.

Il “tutor di direzione” non è, né può assolutamente esserlo, uno yesman.

 

 

Competenze e abilità di un tutor di direzione

Chi potrebbe fare da tutor ad un imprenditore o a un capo-azienda?

Una persona che conosce un’organizzazione complessa, che vi ha già operato, capace di rapportarsi e convivere con strutture organizzative variamente efficienti e che si sia confrontato con consulenti finanziari, avvocati e commercialisti. Ma che non accetti ne l’uno né gli altri come danni collaterali irrinunciabili e irrimediabili all’essere impresa. Una persona che ha vissuto sulla propria pelle i rapporti di potere e di alleanze che si generano in un’organizzazione.

Che ragioni fuori degli schemi. Che faccia funzionare il lato destro del cervello. Che ricerchi la perfezione organizzativa come modo per raggiungere l’efficacia organizzativa.

Un professionista che conosca gli strumenti e le tecniche di comunicazione per costruire canali attraverso i quali trasformare la solitudine dei capi nel progetto della comunità nella quale si lavora e che, attraverso al sua efficienza, garantisca alle famiglie che vi dipendono serenità e benessere.

Un professionista che alle spalle ha un’esperienza imprenditoriale.

 

Fonti

OfficineEinstein.eu, Luca Massacesi, “Il tutor di direzione”

EssereStartUp.net, Vito Bernardo Del Volgo “Consulente, mentor, coach, counselor, tutor oppure…”

Wikipedia