E gli investimenti diretti all’estero Come bene afferma Roberto De Azevedo(1), direttore generale dell’organizzazione mondiale del commercio di Ginevra, nella conferenza del 17 luglio 2014, tenuta a Canberra presso la Crawford School of Public Policy, Australian National University, il completamento del percorso iniziato a “Doha” anche in materia di foreign direct investements, potrà essere completato se c’è la volontà politica(2), in occasione dei lavori preparatori del prossimo G20 che sarà come noto presieduto dall’Australia.

Mentre molto si dice in tema di agricoltura e di servizi, ben poco si afferma in tema di foreign direct investments, se non che richiamare quanto già affermato sul punto dalla “Doha declaration” nel capitolo Relationship between trade and investments(3), gli Stati devono porre a fondamento della propria azione e le aziende in tal senso devono orientare la loro attività innanzitutto all’uso dell’obbligo di certificazione, vuoi sul prodotto, vuoi sulla filiera produttiva, vuoi sulla trasparenza anche economica e finanziaria nonchè  sulla responsabilità sociale delle imprese che operano nel contesto globale nel rispetto dei principi base previsti dal GATS-type. Particolarmente rileva tuttavia, come sottolineato da De Azevedo, il ruolo degli accordi regionali del tipo APEN nell’area del Pacifico, che caratterizzano la progressiva liberalizzazione nell’area commerciale di beni e servizi tra i Paesi partecipanti fra i quali presto si annovererà la People’s Repulic of China(4). Nelle parole di De Azevedo, ricorre la preoccupazione come gli accordi regionali o subcontinentali – ad esempio l’UMA o l’APEN anzidetta, possono avere un effetto limitativo a livello di estendibilità multilaterale degli stessi, in linea con quanto giustamente sottolineava Pascal Lamy, ottimo direttore generale dell’OMC, prima di Azevedo. Peraltro, tale osservazione sul punto degli IDE/FDI, non potrà non avere influenza anche la appena annunciata creazione della Banca dei Brics(5) che avrà sede nel 2016 a Shangai e con prima presidenza a New Delhi. Infatti, gli IDE sono finalmente riconosciuti (anche in Italia con il concetto del made by Italy world wide) e non esiste al mondo alcun prodotto “made in” ma esistono prodotti e servizi concepiti e organizzati da: “made by”  come uno dei fattori chiave determinanti per la crescita economica e il miglioramento della qualità della vita, unico parametro atto a misurare i risultati di qualsiasi politica economica. Infatti, l’operatore che investe vuole stabilire legami economici durevoli, previo pagamento delle imposte nei luoghi in cui produce reddito imponibile. L’IDE può quindi portare benefici a chiunque: crea opportunità per gli investitori e aiuta i paesi in via di sviluppo ad acquisire uno sviluppo sostenibile, riducendo l’inoccupazione, tutelando l’ambiente e rinnovando altresì la tecnologia(6). Per i paesi sviluppati gli IDE sono particolarmente importanti: non accrescono il debito, rappresentano una riserva valutaria di seconda linea e ampliano la base operativa delle imprese anche in termini di approvvigionamento di materie prime e semilavorati, rendono più efficiente la logistica facendo diminuire vuoi l’impatto ambientale che il costo dei trasporti in linea con i criteri fissati dalla Facility di cui alla Trade Facilitation Agreement. Tuttavia, il presupposto per cui gli investimenti si muovono non è  tanto la pur sempre necessaria remunerazione del capitale, ormai contenibile nel concetto di responsabilità sociale che rende giustizia all’antico confronto fra proprietà dei mezzi di produzione e cogestione degli stessi, quanto piuttosto il loro bisogno di operare in un clima di stabilità del quadro sociale e politico nel quale si vanno a inserire, di trasparenza dell’azione amministrativa e di governo, di programmabilità dell’azione imprenditoriale, anche in funzione della determinabilità del prelievo fiscale e della non discriminazione verso gli operatori residenti o di diversa provenienza. L’accordo che dovrà andare a fissare le nuove regole sui movimenti di capitali e gli IDE, non potrà non tener conto di tali aspetti. L’atto negoziale deve portare alla creazione di un ambiente favorevole allo sviluppo degli investimenti, determinando all’interno dei singoli Stati, la produzione di normative non discriminatorie, automaticamente applicabili e quindi non suscettibili di interpretazione amministrativa e quindi di corruzione. Nella letteratura teorica ed empirica é ampiamente riconosciuto  che gli investimenti diretti all’estero si realizzano quando c’è la contemporanea presenza di tre tipi di fattori(7): la presenza di ownership advantages, ovvero di vantaggi concorrenziali legati all’impresa, la presenza di locational advantages nel paese destinatario, e la presenza di internalization advantages, cioè di vantaggi commerciali maggiori nell’instaurare delle relazioni intra-firm piuttosto che delle relazioni a distanza tra paese investitore e paese ricevente, nel contesto anche degli accordi regionali che man mano intervengono. Mentre la prima e l’ultima condizione riguardano gli IDE dal punto di vista dell’impresa, la seconda è relativa al luogo in cui si va ad intraprendere l’investimento e ha un’importanza cruciale per i flussi in entrata verso il paese ospitante. Se si verifica solo la prima circostanza, le imprese procedono tramite l’attività di esportazione, con licenze o  vendita di patenti per servire il mercato estero. Se la terza condizione si aggiunge a quella di vantaggi di proprietà, gli investimenti diretti all’estero diventano il metodo preferito per svolgere la propria attività all’estero, ma solo in presenza di vantaggi di localizzazione. Tra le tre condizioni che dunque si devono verificare perché si intraprenda un investimento diretto all’estero, le caratteristiche di localizzazione sono le uniche sulle quali il governo del paese ricevente l’investimento può intervenire direttamente. La relativa importanza degli locational advantages dipende da almeno quattro aspetti degli investimenti: dalla motivazione (ad esempio, resource-seeking, market-seeking, ecc.), dal tipo di investimento (nuovo o successivo), dal settore di interesse (ad esempio, manifatturiero o di servizi) e dal tipo di investitore (piccola o media o grande società multinazionale)(8(. Ma l’importanza delle determinanti muta nel tempo, seguendo i cambiamenti dell’ambiente economico che si evolve. Spesso un ambiente stabile dal punto di vista macroeconomico è anche accompagnato da una certa stabilità a livello politico. Frequenti cambiamenti politici legati all’ambiente in cui operano le imprese straniere, alla politica fiscale e di cambio sono distanti dall’ispirare fiducia nella stabilità delle economie dei paesi destinatari degli investimenti da parte delle aziende investitrici. La stabilità politica e quella economica risultano spesso intrecciate. Le politiche relative agli investimenti diretti consistono in leggi e regolamentazioni che governano l’entrata e le operazioni che un investitore diretto estero può svolgere all’interno del paese straniero, gli standard di trattamento loro accordati e il funzionamento dei mercati all’interno dei quali essi operano. Tra le varie politiche supplementari utilizzate per influenzare le scelte di dove avviare l’investimento, la politica commerciale di un paese gioca un ruolo predominante. Tra le altre politiche si possono considerare quelle di privatizzazione e quelle messe in atto grazie ad accordi internazionali, come i trattati bilaterali di investimento. Questi focalizzano l’attenzione su aspetti come quello della tutela dell’investitore e delle garanzie relative agli investimenti. Con la creazione di regimi regionali di integrazione, l’accesso ai mercati regionali sostituisce l’accesso al mercato nazionale come determinante. In generale, gli schemi di integrazione regionale permettono il libero scambio tra i paesi che ne fanno parte, ma hanno come effetto la riduzione delle importazioni nei confronti di paesi terzi. Infatti, il fattore di libertà commerciale è utile come stimolo alla dimensione del mercato, mentre l’elemento tariffario impedisce le importazioni all’interno o della regione da parte di paesi ad essa esterni. Entrambi questi effetti possono far aumentare il flusso di investimenti verso la regione. L’effetto desiderato di allargamento del mercato è molto più significativo di quello tariffario nell’attrarre un maggior volume di IDE. Inoltre, quello di eliminare le imperfezioni del mercato, e di liberalizzare il commercio e gli investimenti, è compito della politica che precede o accompagna gli accordi di integrazione. In realtà, l’integrazione di per se non sortisce grossi effetti: i fattori che davvero stimolano il volume degli investimenti sono la rimozione di barriere e di ostacoli al commercio e al regime degli investimenti(9). Il trattamento degli investitori stranieri agenti anche attraverso fiduciarie o trust companies dovrebbe essere basato sui principi generali dell’OMC di non discriminazione (Trattamento della Nazione più favorita e equiparazione ai residenti, anche per quanto attiene il regime degli espropri e delle nazionalizzazioni). Di conseguenza l’applicazione dei detti principi manterrebbe inalterato il diritto dei paesi ospiti di legiferare sul loro territorio in materia di politiche economiche e del lavoro, in maniera tuttavia non discriminatoria verso i capitali di non residenti. Gli investitori sono permeati, nella scelta dei luoghi dove investire, da una serie di preoccupazioni sul rischio di investimento all’estero, talune vere altre frutto d’immaginazione. Un tale approccio spesso vanifica le singole politiche di attrazione poste in essere dai diversi paesi vuoi in via di sviluppo che Last Developped Countries. Certamente, l’elaborazione di un nuovo sistema giuridico multilaterale, dotato di propri strumenti per la conciliazione delle controversie da solo non garantisce il risultato in termini di nuovi flussi d’investimento, sempre come previsto dalla Doha Declaration. Ma certamente una normazione adeguata dovrebbe consentire un’espansione dei flussi riducendo a livello minimale il rischio associato a qualsiasi nuova allocazione all’estero. Tali garanzie normative potrebbero poi sposarsi con singoli programmi di incentivazione fiscale, finanziaria e assistenziale, anche in termini di aree attrezzate (cfr. il modello irlandese). L’attuale frammentazione di norme sul trattamento degli IDE (in atto, esistono fra Stati ben 11.000 strumenti di protezione bilaterale “BIT-Bilateral Investment Treaties”, senza considerare gli accordi regionali o multilaterali) non è soddisfacente. Gli investitori considerano tale proliferazione come segno di inefficienza e di mancanza di trasparenza. Per tale ragione gli operatori, anche le multinazionali, sono sempre alla ricerca di paesi in grado di offrire certezze giuridiche e non agiscono in funzione solo di criteri di opportunità economica, come dovrebbe essere. Il problema è ancora più sentito dalle PMI come le italiane e quelle dei paesi dell’est che vogliono internazionalizzarsi. Esse non hanno le capacità di verificare e di adattarsi a sistemi legislativi in continuo cambiamento, specie nel campo delle politiche di protezione degli investimenti e quindi considerano il rischio connesso alla politica del diritto troppo elevato. Per muoversi le PMI abbisognano di regole certe, vuoi dinanzi ai nuovi paesi confinanti che verso l’Africa e l’Asia Centrale. Ovviamente, i Governi devono conservare il diritto di regolare l’attività economica dei paesi in cui operano con riferimento al modello di sviluppo, all’ambiente e alle condizioni sociali, nel quadro tuttavia del principio del diritto alla coesistenza e alla pari dignità ormai assurto a principio base delle nuove politiche europee di vicinato 2014/2020 (ENI European Neighbourhood Instrument) La questione dell’accesso al mercato dovrebbe quindi essere indirizzata in maniera tale da consentire a ciascun paese di assorbire gli IDE in una maniera e a un ritmo compatibile con le politiche interne, prevedendosi in caso di apertura la gestione dei conflitti solo attraverso procedure di tipo conciliativo. Il futuro dei rapporti con l’Africa, l’Asia Centrale e i nuovi vicini è fondabile solo sulle regole e su tale base dobbiamo operare. Nel rispetto delle vocazioni dell’UMA (Unione Magrebina Araba) nella riveduta edizione che seguirà alle vissute primavere,  insieme con l’Europa mediterranea occorre costruire quell’arco latino che nei vari settori economici, secondo il principio della solidarietà, di cui anche alla social corporate responsability esterna, consenta di assumere un ruolo finalmente rispettoso dei valori che le religioni del Libro da sempre affermano e di cui fu esempio l’Antico Impero Romano.

  1. “Bali has created the opportunity to herald a new era in the WTO. But whether we take this opportunity is up to the members. It will be a question of political will”
  2. Cfr Relazione De Azevedo cit. Frankly, it is too soon to give a definitive response. But I think what is clear is that Bali created a once in a lifetime opportunity to achieve this change — to revitalise trade talks at the multilateral level — and to deliver significant gains in growth and development.
  3. Recognizing the case for a multilateral framework to secure transparent, stable and predictable conditions for long-term cross-border investment, particularly foreign direct investment, that will contribute to the expansion of trade, and the need for enhanced technical assistance and capacity-building in this area as referred to in paragraph 21, we agree that negotiations will take place after the Fifth Session of the Ministerial Conference on the basis of a decision to be taken, by explicit consensus, at that session on modalities of negotiations. – We recognize the needs of developing and least-developed countries for enhanced support for technical assistance and capacity building in this area, including policy analysis and development so that they may better evaluate the implications of closer multilateral cooperation for their development policies and objectives, and human and institutional development. To this end, we shall work in cooperation with other relevant intergovernmental organisations, including UNCTAD, and through appropriate regional and bilateral channels, to provide strengthened and adequately resourced assistance to respond to these needs. – In the period until the Fifth Session, further work in the Working Group on the Relationship Between Trade and Investment will focus on the clarification of: scope and definition; transparency; non-discrimination; modalities for pre-establishment commitments based on a GATS-type, positive list approach; development provisions; exceptions and balance-of-payments safeguards; consultation and the settlement of disputes between members. Any framework should reflect in a balanced manner the interests of home and host countries, and take due account of the development policies and objectives of host governments as well as their right to regulate in the public interest. The special development, trade and financial needs of developing and least-developed countries should be taken into account as an integral part of any framework, which should enable members to undertake obligations and commitments commensurate with their individual needs and circumstances. Due regard should be paid to other relevant WTO provisions. Account should be taken, as appropriate, of existing bilateral and regional arrangements on investment.
  4. APEC, for example, has been an important testing ground where regional endeavours have inspired much broader efforts. Trade facilitation started in APEC and environmental goods liberalisation was also an idea that started in APEC with 54 products.

  5. Cfr “Il Sole 24 Ore” num.193, pag. 14.
  6.  Dalla “Doha declaration” elaborata in Qatar nel 2001, dalla 4a conferenza ministeriale – This is a “Singapore issue” i.e. a working group set up by the 1996 Singapore Ministerial Conference has been studying it. In the period up to the 2003 Ministerial Conference, the declaration instructs the working group to focus on clarifying the scope and definition of the issues, transparency, non-discrimination, ways of preparing negotiated commitments, development provisions, exceptions and balance-of-payments safeguards, consultation and dispute settlement. The negotiated commitments would be modelled on those made in services, which specify where commitments are being made — “positive lists” — rather than making broad commitments and listing exceptions. The declaration also spells out a number of principles such as the need to balance the interests of countries where foreign investment originates and where it is invested, countries’ right to regulate investment, development, public interest and individual countries’ specific circumstances. It also emphasizes support and technical cooperation for developing and least-developed countries, and coordination with other international organizations such as the UN Conference on Trade and Development (UNCTAD). Since the 1 August 2004 decision, this subject has been dropped from the Doha agenda.
  7. Dunning J., Multinational Enterprises And The Global Economy, Addison Wesley, (1993) London
  8. UNCTAD, World Investment Report 1998: Trends and Determinants, United Nations, (1998) New York and Geneva
  9. OECD, New Horizons For Foreign Direct Investment, Global Forum on International Investment, (2001) Paris