Consumo è cosa buona, consumismo è consumo patologico

Negli anni sessanta, l’economia degli Stati Uniti e dei paesi dell’Europa Occidentale attraversò un periodo di espansione. Questo ebbe, in parte, l’effetto di diminuire le diseguaglianze economiche e fece raggiungere ai paesi occidentali un buon grado di prosperità. Vi fu quindi un aumento della domanda dei beni di consumo (automobili, elettrodomestici, televisori, abbigliamento, etc…).

Il mantenimento di questa prosperità era strettamente legato alla continua espansione della domanda. I cittadini cominciarono a essere indotti, in primo luogo dalla pubblicità, ad acquistare sempre di più, anche usando il mezzo delle rate e delle cambiali. Molte persone, anche se non benestanti, iniziarono ad acquistare beni che non servivano più a soddisfare bisogni precisi e reali, ma il cui possesso li faceva sentire al passo con i tempi. Ebbe inizio il consumismo che dura tutt’oggi. La contestazione giovanile che si ebbe nel 1968 attaccava anche il consumismo; infatti i giovani lo definivano una società fondata solo su beni materiali. 

Il consumismo fu aiutato dalla diffusione di strumenti di credito al consumo, tra cui la carta di credito, i quali consentivano di acquistare beni pur non avendo il denaro necessario per l’acquisto.

In questa fase del processo divenne di primaria importanza la distribuzione: e quindi la creazione di grandi magazzini, centri commerciali, la pubblicità. Quel che sul piano economico è consumo, diventava consumismo, fondato sul principio per il quale l’appagamento di un bisogno ne stimola il sorgere di uno nuovo.

Occorre per questo imparare a distinguere dagli altri i falsi bisogni. La maggior parte dei bisogni che oggi prevalgono, il bisogno di rilassarsi, di comportarsi e di consumare in accordo con gli annunci pubblicitari, di amare, di odiare ciò che gli altri amano e odiano, appartengono a questa categoria di falsi bisogni, i bisogni repressivi.. Può essere infatti che l’individuo trovi piacere nel soddisfare i propri bisogni, ma questa felicità non è una condizione che il consumismo accetti di perpetuare, onde evitare la staticità degli acquisti.

Alla base del consumismo vi è l’idea di sfornare continue novità in ogni campo facendo sì che le persone si abituino ad acquistare prodotti non per la loro necessità ma piuttosto per quello che questi rappresentano. Il contributo della pubblicità ha aggravato questo processo ormai presente nella società odierna; essa invoglia i potenziali consumatori ad acquistare i prodotti che vengono mostrati.

 

Citazioni sul consumismo.

…. ha trasformato i proletari e i sottoproletari italiani, sostanzialmente, in piccolo borghesi, divorati, per di più, dall’ansia economica di esserlo…. (Pier Paolo Pasolini)

Il cliente, il pubblico, è un bambino di undici anni, neppure tanto intelligente. (Silvio Berlusconi)

 

In effetti consumare è un aspetto naturale del vivere in società.

Vivere in società è una decisione naturale e morale. Si decide di vivere in società perché così possiamo soddisfare le nostre esigenze meglio di quanto faremmo da soli. Sin dall’origine della specie ci si è resi conto che benefici maggiori potevano essere ottenuti attraverso la cooperazione, la divisione del lavoro e l’interdipendenza. Uniti i nostri sforzi, anche i nostri interessi si intrecciano dando vita così al mercato, in cui avvengono gli scambi volontari mutuamente vantaggiosi. Il mercato è in effetti la più alta espressione di cooperazione e di interdipendenza degli uomini. Pensiamo a quante centinaia di migliaia di persone cooperano per mettere a nostra disposizione un computer o un’automobile da quelli che lavorano nelle varie miniere per provvedere alle materie prime agli impiegati degli uffici commerciali e marketing fino ai distributori ed ai concessionari. Tutte queste persone lavorano naturalmente per ricavarne un profitto. Finalmente qualcuno compra un computer o un’automobile per soddisfare un bisogno o un desiderio.

In pratica possiamo dire che consumiamo perché preferiamo godere dei frutti del lavoro di centinaia di migliaia di persone piuttosto che lavorare da soli per produrre qualcosa.

Tutto questo va bene se parliamo in generale di mercato e di consumo.

I “fanatici” del mercato dicono, con qualche ragione, che il mercato tende a rendere più omogenea la società e ad attenuarne le disparità, che sono stati la produzione ed il consumo di massa ad avvantaggiare i poveri e che se siamo tutti in grado di vivere circondati dalla tecnologia è perché da essa le persone traggono profitto e perché competizione e progresso tecnologico, a lungo andare, fanno sì che i prezzi tendano a scendere; e quindi prezzi più bassi permettono di fare più cose col denaro a disposizione al fine di soddisfare meglio le nostre esigenze. Dicono anche, forse esagerando un po’ e con qualche superficialità, che la voglia di soddisfare le proprie ambizioni personali è il carburante del progresso e dare libera espressione ai desideri delle persone per migliorare la loro vita è la sola vera giustizia sociale.

D’altra parte una volta gli acquisti si facevano per comperare il necessario (le tre elle: Latte, Letto e Lana). Ora che nei paesi più ricchi il necessario ce l’hanno in molti, gli acquisti si fanno per altri motivi: per fare bella figura, per riempire un vuoto, facendo quindi prevalere l’avere sull’essere (la quarta elle: Lusso)..

Il consumismo ha trasformato i cittadini in consumatori forzati di prodotti dall’utilità sempre più dubbia, dalla vita utile sempre più breve e dal grande spreco. Pensiamo al fatto che la nostra automobile rimane ferma (non mobile) in media per il 95% della sua vita.

E’ possibile affermare che la realtà è che il modello di “sviluppo” vigente è arrivato al capolinea. Solo ridefinendo gli stili di vita e riscoprendo l’individuo è possibile uscire rafforzati da questo momento storico.

Accettando queste ipotesi, alquanto catastrofiste, potremmo affermare che “consumatore” è una persona che non sceglie un prodotto perché costa meno, perché è più salutare, perché appartiene alla propria tradizione gastronomica; lo sceglie perché è indotto a farlo e non può farne a meno. E quindi il marketing, la promozione, la pubblicità sono il diavolo.

In effetti è forse venuto il momento di passare a un atteggiamento responsabile, consapevole e rispettoso verso l’ambiente in cui viviamo, un atteggiamento che si basi sulla semplicità volontaria.

Questo è il messaggio importante e decisivo per il nostro futuro che anche un momento difficile come l’attuale crisi economica può comunicarci.

E’ importante, a questo punto, rilevare il pericolo di cadere in qualche estremismo oppure nel fatale errore di voler risolvere problemi complessi con decisioni semplici.

Erich Fromm parla di “consumo ragionevole“, oggi si parla di “consumo sostenibile“.

Già nel 1936 Richard Gregg aveva formulato il concetto del “Voluntary Simplicity”.

Questo si basa su una volontaria semplicità nello stile di vita, tende ad un basso consumo (di beni di consumo, di energia) e preferisce valori quali l’indipendenza, l’autostima e una responsabilità ecologica. Si tratta quindi di privilegiare l’essere sull’avere.

 

Ed ancora:

Se le persone formalmente qualificate come consumatori cominciassero a consumare il 10% in meno ed a condividere tra loro il 10% in più, le ripercussioni sui margini delle imprese tradizionali aumenterebbero in modo sproporzionato … Certe industrie dovrebbero riconfigurarsi o prepararsi a finire inghiottite nelle sabbie mobili del passato. (Umair Haque, The New Capitalist Manifesto)

Non è irragionevole aspettarsi che quando il Commons collaborativo coprirà in ogni settore tra il 10 e il 30% dell’attività economica, le multinazionali a integrazione verticale della Seconda rivoluzione industriale conosceranno un’autentica ecatombe.(Jeremy Rifkin, La Società a costo marginale zero)