In questi giorni si assiste, in Parlamento, ad una grande battaglia di posizione. L’oggetto del contendere si chiama Italicum. Le parti che si confrontano sono la maggioranza di governo contro la minoranza parlamentare. E fino a qui tutto scorre come natura vuole: dalla montagna verso il mare.

Ma noi siamo in Italia e non vogliamo farci mancare mai niente.

L’attenzione del sistema mass mediatico economico, quello che viene chiamato il quarto potere, e, quindi la facoltà del potere economico di influenzare l’opinione pubblica e le scelte dell’elettorato attraverso i mass media o l’attività di lobbying, violando i diritti alla libertà di pensiero e di stampa,si  concentra sullo scontro tra la maggioranza del partito di maggioranza relativa, e la minoranza del partito di maggioranza relativa.

Per i cittadini è un po’ folklore, un po’ stupore.

 

Vado a destra, giro a sinistra

Come mai il Bersani, impavido sconfitto delle ultime elezioni nazionali, si scopre improvvisamente difensore della democrazia con tale ardore che mai lo vide combattere con analogo ardimento contro una legge elettorale diffusamente conosciuta come Porcellum, voluta dalla destra per sconfiggere la sinistra?

Il Nuovo centro destra mostra tenuta ed affidabilità per la compagine di governo; ma la destra di centro o di sponda, pseudo liberale o razzista e xenofoba attacca l’Italicum.

L’attacca anche Sinistra ecologia e libertà che si allea con la sinistra del Partito democratico nella quale ritroviamo centristi come Letta e Bindi. Ma il Partito democratico di governo, sostenuto dal voto popolare, spesso contestato perché non eletto democraticamente, incalza con la sua battaglia verso il cambiamento.

Partito democratico e Nuove centro destra si alleano a favore del cambiamento. Destra e sinistra si alleano contro il cambiamento. 

Ormai le antiche categorie che si sono scontrate nel secolo più sanguinoso della storia dell’umanità, la destra e la sinistra, sono categorie vuote, che si confondono, che si alleano a favore del cambiamento e si alleano contro il cambiamento. 

E’ la fine dei facili schematismi dentro i quali sguazzano i veri padroni del pianeta, quelle 85 famiglie che posseggono lo stesso patrimonio di 3,5 miliardi di umani.

 

 

Stato o libero mercato

E’ giunto al suo peana anche il binomio esclusivo Mercato-Stato che sempre più spesso corrode la socialità, mentre le forme economiche solidali che trovano il loro terreno migliore nella società civile senza ridursi ad essa, creano socialità.

Un binomio ormai inadeguato al mercato del lavoro degli ultimi anni.

Proprio negli ultimi decenni è sorta un’area intermedia di imprese. Non si tratta di un terzo settore, ma di una nuova realtà composita, che coinvolge il privato e il pubblico e che non esclude il profitto, ma lo considera strumento per realizzare finalità umane e sociali. 

Gli obiettivi di chi vuole contribuire in modo attivo e propositivo alla crescita di questa realtà solidaristica sono:

► da un lato mettere le nuove risorse in contatto con le realtà e le situazioni aziendali idonee a svilupparne a pieno le capacità;

► dall’altro, tramite incontri, convegni, idee e progetti, promuovere un nuova forma mentis di concepire il mercato del lavoro tanto da parte delle imprese private quanto da parte della pubblica amministrazione, per dare spazio spazio al talento, alla meritocrazia, all’auto-imprenditorialità, per approdare ad una concezione del mercato del lavoro diversa.

L’obiettivo si sposta allora sulla capacità di creare cultura, una nuova cultura del lavoro, e di sottoporla all’attenzione di quanti più soggetti possibile, siano essi “erogatori” oppure “fruitori” del servizio. Dall’altro si pone come obiettivo quello di interfacciarsi in prima persona tanto con la domanda quanto con l’offerta di lavoro per creare quel ponte che ad oggi risulta essere inesistente.

In particolare, dal punto di vista pratico, si tratta di:

► promuovere l’imprenditoria giovanile, considerando imprenditore non solo colui che esercita un’attività economica organizzata, ma chiunque sia in grado di essere imprenditore di sé stesso, sappia lavorare con la propria integrità ed essere un creatore di idee innovative: non sia cioè un neo schiavo del lavoro dipendente e subordinato; 

► fondare un network di giovani e professionisti che abbiano aspirazioni lavorative e personali in linea con questa nuova forma mentis;

► acquisire una forma mentis internazionale che sia  coerente con le esigenze di un’economia e di una società in continuo cambiamento, ma non serva del modello dell’economia globale;

► affermare un concetto di leadership che sia in stretta connessione con l’idea di imprenditorialità sopra esposta ovvero il concetto che un leader sia, innanzitutto leader di sé stesso e padrone degli strumenti adatti per decidere in modo consapevole e indipendente il proprio futuro;

► promuovere lo sviluppo del sistema paese attraverso una valorizzazione dell’attività della pubblica amministrazione che sia improntata su principi di produttività, efficienza ed efficacia, legata alle politiche pubbliche (policy) incoraggiando, anche in quest’ambito, la diffusione e il riconoscimento della competenza e del merito;

► promuovere la fondazione di una business school che trasmetta, a livello formativo, tutti i valori portanti di forme economiche solidali;

► promuovere e sostenere bandi per borse di studio presso le migliori istituzioni universitarie italiane e stranieri, oltre a risorse per la partecipazione a programmi Mba.

 

Un tesoro perduto

Ogni talento che non viene espresso è un tesoro perduto. Partendo dal presupposto che ogni persona è un soggetto attivo che si costruisce da sé il proprio presente e il proprio futuro, il mancato sfruttamento di un potenziale umano è sempre una perdita, non solo per il singolo soggetto che non lo sfrutta appieno, ma per la società intera.

Per questo è necessario e nell’interesse generale che ogni risorsa debba essere messa sempre in grado di esprimere al meglio le proprie possibilità.

Spesso purtroppo, specialmente in Italia, ma non solo, le risorse che si interfacciano con il mercato del lavoro non vengono messe nelle condizioni di poter fare una scelta libera e dettata dalle proprie capacità e dalle proprie aspirazioni.

 

Attrazione e costruzione del talento

Il talento è la propensione della persona a fare bene una determinata cosa.

Scoprire il proprio non è facile come sembra anche perché spesso giovani che escono dal mondo universitario, forti di intelligenza e preparazione, si trovano del tutto privi degli strumenti per l’affinamento pratico delle proprie potenzialità andando ad accettare il primo lavoro che capita, spaesati, senza riflettere su quelle che sono le loro reali aspettative dal mondo del lavoro, o magari riflettendoci ma poi mettendo la cosa in secondo piano. 

D’altro canto le aziende, sempre più orientate a criteri di quantità e numero, spesso non hanno la possibilità di valorizzare al meglio gli uomini e le donne che danno il loro contributo all’azienda.

Il risultato di questo processo è costituito da risorse che lavorano in una situazione di disallineamento tra il proprio profilo e la propria mansione, danno doppio visto che, oltre a non esprimersi al meglio, non acquisiscono neppure gli strumenti necessari per poterlo fare in un futuro.

Attrarre e costruire il talento significa osservare, valutare e comprendere il potenziale di ogni persona mettendola in contatto con una realtà aziendale che sia idonea a valorizzarla e che le permetta di acquisire le competenze pratiche necessarie.

 

 

Promossi per merito

Sir Michael Young, il laburista inglese che nel 1954 creò il termine “meritocrazia”, ha inventato l’“equazione del merito”: I+E=M, dove “I” è l’intelligenza (cognitiva ed emotiva, non solo l’IQ) ed “E” significa “effort”, ovvero gli sforzi dei migliori. La “I” porta a selezionare i migliori molto presto, azzerando i privilegi della nascita e valorizzandoli attraverso il sistema educativo: è l’essenza delle “pari opportunità”. La “E” è l’impegno, la costanza, la perseveranza, la resilienza, lo sforzo che il singolo riesce ad esercitare. Come spiegava Michelangelo parlando degli ingredienti che gli avevano permesso di realizzare gli affreschi della della Cappella Sistema, il 10 per cento è ispirazione, il 90 per cento traspirazione.

Tra i fortunati individui che nascono con una dose di talento in qualcosa, insomma, sono la qualità dello studio e l’intensità della pratica a fare la differenza: per cui uno diventa un genio e un altro solo un buon esecutore. “Scusi, da qui come si arriva alla Carnegie Hall?”, tempio della musica classica a New York, era una vecchia battuta dei conservatori americani. E l’ironica risposta era: “Con tanta pratica”.

 

Meritocrazia è una parola che si sente spesso e che viene strumentalizzata per dire tutto e il contrario di tutto.

Così il giovane talentuoso, dopo essere finito in un contesto che non era il suo e dopo aver cercato comunque di esprimersi nella maniera migliore, si ritrova in una condizione di immobilità all’interno della quale il merito viene valutato poco o nulla. Scatti e crescita di carriera vengono concesse per anzianità, per cooptazione, per relazione, per raccomandazione. Raramente per merito effettivo.

La vittoria della raccomandazione (relazioni) e la conseguente mancanza di meritocrazia (competenza) è il problema che più di tutti affligge il mercato del lavoro in Italia, tanto nel pubblico quanto, purtroppo, nel privato. Oltre a creare un profonda ingiustizia essa crea anche conseguenze pesanti. La mancanza di prospettive a breve-medio termine va a rodere l’entusiasmo e a diminuire la produttività delle persone, che erogheranno servizi di minore qualità, con conseguente impatto negativo in prima battuta verso il datore di lavoro e, più in generale, verso la società civile.

A ciò dovremmo inoltre aggiungere  il fenomeno della “fuga dei talenti”, pura follia in termini economici (quanto costa alla società civile formare un talento?), molto rischioso in termini di perdita di competitività del sistema paese.

 

Tutta colpa delle raccomandazioni

Purtroppo l’Italia sembra destinata a fallire proprio perché il riconoscimento del merito e delle competenze, per ragioni sociali e storiche, non riesce a nascere.

L’Italia, come denunciato da molti, è un paese basato sulle raccomandazioni, Negli Stati Uniti d’America, patria della meritocrazia, le “recommendations” portano a riempire un posto di lavoro su due. Si tratta però di “raccomandazioni” molto diverse dalle nostre. Chi segnala qualcuno particolarmente bravo e adatto per un posto di lavoro lo fa con grande cautela, perché mette in gioco la propria stessa reputazione e risponderà moralmente della performance della persona segnalata; da noi, invece, si raccomandano con leggerezza persone che non si conoscono (dal punto di vista delle capacità professionali) per posti di lavoro che non si conoscono. Il “Mi manda Picone” è diventato una piaga sociale che incide su tutta la nostra economia.

Un paese dove vanno avanti i cosiddetti furbi non può avere futuro.

 

Il lavoro come vocazione

Mancanza di vocazione o mancanza di etica? In realtà le due problematiche si interfacciano. Il lavoro non è più visto come tramite per mettere le proprie potenzialità, i propri talenti al servizio del mondo. Non nobilita più. Una necessità di un principio di responsabilità nel mondo del lavoro che viene spesso sottolineata tanto da correnti laiche quanto da correnti cattoliche con riferimento non solo alle aziende ma anche ai singoli lavoratori.

Vocazione dunque, in quanto strumento per raggiungere la piena realizzazione di sé, per concretizzare le proprie reali aspirazioni. Libertà, intesa come libertà di scelta per una vera consapevolezza di quello che si fa, un lavoro che abbia un perché, che abbia come scopo quello di trovare sé stessi prima ancora dello stipendio di fine mese.

 

Fonti

Roger Abravanel, Meritocrazia, 4 proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro Paese più ricco e più giusto.

 

Forum della meritocrazia

Il talento e la meritocrazia, in Italia non riescono a nascere.  Mthw.it  http://www.mthw.it/news.php?item.99