Partiamo alti, citando uno dei maggiori uomini di cultura italiani del 20mo secolo: Umberto Eco.

«In un periodo abbastanza breve l’Europa sarà un continente multirazziale o, se preferite, colorito. Se vi piace, sarà così, e se non vi piace… sarà così lo stesso».

Lo dice la storia dell’umanità (costruita da spostamenti di popoli e da migrazioni da un continente all’altro), lo dicono le cifre. Il ragionamento sugli immigrati non può che partire da un dato obiettivo, gli ingressi in Italia nel 2014 e nel 2015. Erano 170mila le persone approdate ai nostri confini due anni fa,

«più del triplo rispetto al 2013, superando addirittura i valori del 2011 dovuti alla cosiddetta emergenza umanitaria in Nord Africa».

A fine 2015 i dati confermano il trend in progressione degli ultimi anni. I migranti arrivati via mare sono stati 153.842. 77mila sono i migranti ospitati nelle strutture governative e 1.800 le strutture temporanee. 11.921 sono i minori arrivati senza un padre, una madre, un parente più o meno stretto che li accompagnasse. Tutto ciò attesta che

«le migrazioni sono un tema epocale, da affrontare anche in una dimensione sovranazionale ed europea, contemperando diverse esigenze, da quelle irrinunciabili umanitarie e di solidarietà alla domanda di controlli e tutela della sicurezza, senza cedere a paure e passi indietro nell’integrazione, ma piuttosto ripartendo in modo più equo gli oneri tra i Paesi».

Prendiamo per buona l’impostazione di Roberto Garofoli, oggi capo di gabinetto del Ministero dell’Economia

«un dato di fatto da cui partire nella definizione delle politiche da elaborare non necessariamente guardando al modello assimilazionista alla francese o a quello multiculturalista all’inglese, ma pragmaticamente tenendo conto anche del rapporto costi-benefici»

 

Il rapporto costi-benefici

Vediamo, dunque, i costi e i benefici.
I costi dei migranti. La cifra fornita (frutto di una stima del Mef ) rivela che per il 2015 l’Italia ha speso 3,3 miliardi di euro per affrontare il capitolo dell’emergenza immigrazione, di cui 3 miliardi per spese di natura corrente. Un confronto con i due anni precedenti rivela che le spese sono più che raddoppiate rispetto al 2014 e addirittura sono triplicate nel 2015. L’aumento tiene anche esaminando la spesa al netto dei contributi della Ue.

Le pensioni degli italiani. Nel 2014 i lavoratori extracomunitari hanno versato all’Inps contributi per circa 8 miliardi di euro, a fronte di prestazioni pensionistiche pari a circa 642 milioni di euro e non pensionistiche pari invece a 2.420 milioni. Il saldo positivo risulta essere poco meno di 5 miliardi di euro. Calcoli ulteriori dimostrano che i contributi versati dagli immigrati servono a pagare la pensione di oltre 600mila italiani ogni anno, contribuendo così alla tenuta del sistema previdenziale.

L’Irpef e l’Iva. Ulteriori interessanti considerazioni si possono trarre dai dati fiscali. Nel 2014 i contribuenti stranieri hanno dichiarato redditi per 45,6 miliardi di euro, versando quindi 6,8 miliardi di Irpef. Sul fronte dell’Iva, invece, le partite aperte nel 2015 risultano essere 58.407 e si riferiscono a soggetti nati in Africa, America, Asia, Oceania. Nel dettaglio risulta che il 40 per cento riguarda il commercio, il 13,5 per cento le costruzioni e il noleggio, il 10,5 per cento le agenzie di viaggio e i servizi di supporto alle imprese. Come scrive Garofoli il dato è rilevante se raffrontato con quello delle partite Iva aperte da soggetti nati in Paesi Ue, e cioè 13.259, e quelle aperte invece dagli italiani, e cioè 297.649.

Le imprese degli immigrati. L’ultimo dato importante riguarda le 525mila imprese che nel 2014 risultano condotte da lavoratori immigrati. Una cifra che rappresenta l’8,7 per cento rispetto al totale delle imprese registrate nelle Camere di commercio e il 10,1 per cento  di quelle del Centro- Nord. Infine le imprese degli immigrati, nel 2014, hanno inciso per quasi un quinto sull’insieme delle iscrizioni (18,1) e per poco più di un decimo sulle cancellazioni (10,9 per cento ).

Se dopo il collo ci fosse la testa

Sopiti con questi dati (forse, se governasse la testa e non la pancia nelle parole dei seguaci di Salvini) i rigurgiti nazionalisti e razzisti ritorniamo alle basi della società umana: la solidarietà, lo stare insieme per aiutarsi e (originariamente) difendersi. Per crescere e svilupparsi. Per stare meglio, tutti.
C’è da lavorare molto per abbattere il muro di ignoranza. Gli immigrati non sono un costo, anzi da questi dati parrebbero una risorsa. Chi si ostina a insistere con lo slogan “prima gli italiani” abbia almeno chiaro che se lo crede per davvero è solo e banalmente un razziata, lo fa per razzismo.
Se, poi, vogliamo spostare il discorso sul terreno della delinquenza, ci sono le leggi che devono sanzionare, e il maggior stimolo a percorre vie delinquenziali è l’impossibilità di non farlo.
C’è, infine, un razzismo inconsapevole (molto pericoloso) che alza muri e crea conflitti. Eppure non dovrebbe essere difficile immaginare che un rifugiato che scappa dalla guerra, spesso dopo che gli è stata distrutta la casa e sono morti suoi parenti vicini o lontani, affrontando viaggi folli, rischi e angherie di ogni genere, possa arretrare davanti alla semplice chiusura di una frontiera. Quando si scappa dalla paura si può stare acquattati davanti a una sbarra abbassata anche per mesi. Niente sarà peggio della morte, se non certa molto probabile, che li aspetterebbe nel paese da dove fuggono.
Ma questo ci allontana dal nostro discorso. Torniamoci quindi… di corsa (evitiamo metafore bellicose tipo “a bomba”)

 

 

 

Lo “straniero” nelle organizzazioni

In sintesi: l’Europa sarà colorita; l’Italia, in parte, è e, comunque, sarà colorita! Quindi organizziamoci per stare tutti meglio: gli italiani e gli “stranieri”, lasciando le semplici valutazioni computistiche e rispolverando

«il modello multiculturalista all’inglese»

Performance organizzativa, armonia della comunità e benessere delle persone sono gli obiettivi delle politiche di diversity management. L’importanza di favorire l’integrazione dei lavoratori stranieri in un’azienda è sempre più rilevante se si considera che in Italia, dati Istat alla mano, sono 2,7 milioni. Valgono 123 miliardi di Pil. Producono il 9 per cento della ricchezza italiana. E rappresentano quasi l’11 per cento della forza lavoro in Italia.

OfficineEinstein ha sviluppato una propria metodologia “Innestare la multiculturalità ®” per introdurre una politica di diversity managemento, per dirla in italiano, per sviluppare politiche di inclusione, nelle organizzazioni: aziende in primo luogo, ma anche amministrazioni pubbliche.

Adottare una strategia di “innesto della multiculturalità” e, conseguentemente, dotarsi di opportuni strumenti di comunicazione e coinvolgimento può senz’altro migliorare il clima organizzativo, facilitando i flussi informativi e la condivisione degli obiettivi di impresa, contribuendo ad aumentare la soddisfazione dei lavoratori e, più in generale, migliorare l’efficienza aziendale. Bisognerà dunque impostare un piano di gestione coerente con le risorse disponibili e definire gli obiettivi che ne conseguono; successivamente progettare e rendere operativo un piano di verifica e monitoraggio dei risultati raggiunti.

“Innestare la multiculturalità”

Quale metodologia adottare per introdurre una politica di diversity management in un’azienda?
La proposta elaborata da OfficineEinstein, sulla scorta di un laboratorio sperimentale avviato da Impronta etica, prevede un percorso articolato in cinque fasi che, attraverso la ricerca e l’elaborazione di soluzioni personalizzate, permette di definire una strategia disegnata sulle esigenze specifiche dell’azienda, dell’amministrazione pubblica e dei suoi dipendenti.
Il percorso, facilmente adattabile in qualsiasi contesto, prevede queste fasi di lavoro:

  1. analisi d’ambiente: essere consapevoli della propria realtà, definire obiettivi coerenti e integrati con la strategia d’impresa, censire e comprendere caratteristiche e aspettative dei propri dipendenti e dell’ambiente esterno;
  2. analisi di dinamicità interna: individuare le proprie possibilità di azione per aumentare la propria capacità di dare risposta ai problemi e cogliere le opportunità;
  3. programma di azione strategica: scegliere le soluzioni e identificare le modalità di intervento più adeguate e i relativi strumenti;
  4. piano di comunicazione: utilizzare la comunicazione, creando specifici canali, per fertilizzare il terreno organizzativo e rendere quasi naturale l’innesto di specifiche politiche di accoglienza;
  5. valutazione vettoriale: misurare gli esiti e pianificare le azioni future per dare effettivo seguito alle azioni, monitorando gli sviluppi e ponendosi obiettivi di miglioramento.

 

Il ruolo della comunicazione

Le proposte consulenziali e lo scambio di esperienze hanno portato alla definizione e alla progettazione di almeno tre strumenti operativi.

  1. il mansionario linguistico: una check list per la redazione di un mansionario linguistico, utile a capire quali sono le “mansioni linguistiche” di ciascuna funzione e identificare gli strumenti più efficaci da utilizzare.
  2. il questionario di accoglienza: per l’identificazione dei bisogni dei lavoratori stranieri, un importante strumento di analisi, funzionale alla definizione delle politiche e dei percorsi specifici da attuare per ottimizzare e rendere più efficace la comunicazione tra l’azienda e i lavoratori stranieri. È il primo passo, necessario per entrare in contatto e comprendere l’ambiente aziendale e, conseguentemente, delineare gli ambiti di criticità avviando il percorso che porta sino alla definizione delle soluzioni e delle relative azioni da implementare;
  3. ilkit di benvenuto, strumento di supporto pratico per l’inserimento del lavoratore straniero all’interno dell’azienda e nella comunità di riferimento. L’esperienza consulenziale e operativa sviluppata da OfficineEinstein ha permesso di sviluppare una traccia per la predisposizione del kit aziendale per i lavoratori differenziato tra stranieri, donne, anziani, neoassunti al primo impiego, che le aziende possono sviluppare e personalizzare in base alle proprie esigenze.

La gestione della diversità

L’importanza di attuare un percorso di sensibilizzazione e azione sul tema della diversità in azienda è data dalla consapevolezza che all’interno delle organizzazioni troviamo un immenso patrimonio di diversità, rappresentato dalle persone che ne fanno parte. La sfida delle politiche d’inclusione culturale e sociale sta nel riuscire a non appiattire, ma anzi di valorizzare questo patrimonio. Vengono, dunque spontanee alcune domande:

  • la gestione delle “diversità” può realmente rappresentare una strategia di innovazione e responsabilità sociale per le imprese?
  • In che modo le strategie di diversity management possono influire sulle performance aziendali?
  • Perché le imprese dovrebbero occuparsi di comunicazione con i lavoratori stranieri?

Diversi studi hanno dimostrato che le politiche d’inclusione e l’integrazione di strategie di diversity management hanno un impatto positivo su vari aspetti, tra cui:

  • il miglioramento degli stili manageriali,
  • le competenze patrimonializzate in azienda
  • le qualità delle performance in termini di controllo della qualità,
  • la gestione del personale,
  • l’individuazione degli obiettivi e la pianificazione.

 

Questi studi teorici sono stati confortati anche dai risultati ottenuti dalle esperienze condivise nel corso del Laboratorio sviluppato da ImprontaEtica.
La capacità di non appiattire, ma anzi di valorizzare il contributo:

  • delle donne e degli uomini,
  • dei giovani e degli over 50,
  • di chi possiede competenze, abilità e culture diverse

è quella che nel contesto attuale, e sempre di più in futuro, può consentire all’impresa di aumentare:

  • l’innovazione,
  • la creatività,
  • la flessibilità interna,
  • la motivazione,
  • l’engagement,
  • e la qualità del lavoro del personale,

guadagnando, così, un reale vantaggio competitivo sul mercato: la capacità di adattarsi anticipando i cambiamenti demografici in atto.
Inoltre, una politica di diversity management garantisce la creazione di un clima di reciproco scambio e di collaborazione che incoraggia le persone a restare e a crescere.

La metodologia che ha portato al vademecum?

Impronta Etica, un’associazione senza scopo di lucro, nata nel 2001 per volontà di alcune imprese emiliano-romagnole, per la promozione e lo sviluppo della responsabilità sociale d’impresa (Rsi), ha avviato un Laboratorio, tra le aziende associate, “Lavoratori stranieri in azienda: comunicazione e coinvolgimento”, i cui esiti sono presentati nel vademecum “Comunicazione e coinvolgimento dei lavoratori stranieri in azienda: strumenti e buone pratiche”.
Il Laboratorio ha coinvolto i soci aventi in comune particolari esigenze organizzative e gestionali sul tema della comunicazione con i lavoratori stranieri nella ricerca di soluzioni innovative e responsabili attraverso il confronto, la cooperazione e la co-progettazione di percorsi aziendali, trovando all’interno del gruppo di lavoro le risorse necessarie per affrontare la tematica, in un ambiente tra pari, dove Impronta Etica ha ricoperto il ruolo di facilitatore del processo.

Fonti
•    Csr Europe’s company Csr solutions.
•    Fondazione Sodalitas e Unar (a cura di ), Toolkit “La multiculturalità, un valore per l’impresa”.
•    Garofoli R (2016), relazione all’Accademia dei Lincei per la presentazione del ‘Libro dell’anno del diritto’ edito dalla Treccani.
•    Impronta etica, “Lavoratori stranieri in azienda: comunicazione e coinvolgimento”, laboratorio.
•    Massacesi L. (2013), Diversity management, Officine Einstein.
•    Milella L. (2016), «La risorsa immigrati. 600 mila italiani ricevono la pensione grazie ai loro contributi», la Repubblica, 9 marzo 2016, ripresa da Ferrario M. in Contrappunti 2076.
•    Portale Eumobility Net.
•    Scacchioli M. (2015), Immigrati: sono l’11% della forza lavoro (più che in Germania) ma pagano caro il prezzo della crisi, R.it, 14 settembre 2015
•    Sodalitas social solution.