Una delle ultime iniziative per la tutela del Made in Italy è rappresentata dal disegno di legge sulla tracciabilità mediante tecnologia Rfid dei prodotti fatti in Italia, “Disposizioni per l’introduzione di un sistema di tracciabilità dei prodotti finalizzato alla tutela del consumatore,”  approvato il 30 marzo u.s. in prima lettura dalla Camera dei Deputati.

Si tratta di un testo unificato che riunisce diverse proposte di legge presentate da varie componenti dell’arco parlamentare al fine di promuovere il diritto all’informazione dei consumatori e tutelarne gli interessi; la legge vuole anche tutelare la sicurezza, la salute e gli interessi economici dei consumatori.

L’esame iniziale delle proposte di legge è iniziato nel 2013 in sede referente, ma il tempo finora trascorso è conseguenza principalmente della necessità di superare possibili incompatibilità tra dette  proposte e la disciplina comunitaria con riflessi sulla tutela del Made in Italy.

Si è cercato di evitare il ripetersi di quanto accaduto per l’inapplicabilità della legge n. 55/2010 (c.d. legge Reguzzini-Versace), che aveva introdotto l’etichettatura obbligatoria e la tracciabilità per luogo di origine di ciascuna delle fasi di lavorazione dei prodotti destinati alla vendita nei settori tessile,  calzaturiero e pelletteria.  Infatti il Governo italiano sospese  – prima dell’entrata in vigore – l’applicazione della legge, a seguito delle censure  della Commissione UE in quanto legge lesiva della concorrenza e del principio della libera circolazione dei prodotti.

Le Dogane hanno così continuato ad applicare il Regolamento  CEE 2913/1992 in base al quale (art. 24), “una merce alla cui produzione hanno contribuito due o più Paesi è originaria del Paese in cui è avvenuta l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale….”. La legge Reguzzoni-Versace prevedeva invece l’uso della dicitura  Made in Italy quando almeno due delle fasi di lavorazione per ciascun settore fossero  state eseguite nel territorio medesimo.
 
Pertanto, la nuova normativa è stata indirizzata sulla garanzia di informazione dei prodotti a tutela dei consumatori piuttosto che del Made in Italy e non è stata richiamata l’origine italiana dei prodotti, ritenendo i vari schieramenti politici che, pur in assenza di riferimenti all’italianità dei prodotti, la tutela potesse essere garantita  da un rigoroso regime di tracciabilità grazie al quale il consumatore finale può avere a disposizione tutta la storia del prodotto.
 
Il testo è stato  notificato alla Commissione UE solo agli effetti della Direttiva 1535/2015, che prevede l’obbligo per gli Stati membri di comunicare immediatamente ogni progetto nel settore delle regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione. La procedura della Direttiva prevede  al riguardo che gli Stati membri rinviino l’adozione di un  progetto di regola tecnica per tre mesi a partire dalla data  in cui la Commissione ha avuto la comunicazione del progetto stesso.

L’Italia, seconda industria manifatturiera in Europa e quinta nel mondo,  è tra i Paesi che a livello mondiale subiscono  maggiormente i danni economici della contraffazione dei prodotti Made in Italy e delle pratiche che nel settore agroalimentare attengono al c.d. italian sounding, anche perchè la struttura produttiva italiana, composta prevalentemente da medie e piccole imprese, risente maggiormente di questi fenomeni.  Con il termine italian sounding si fa riferimento a pratiche di produzione e commercializzazione di prodotti atti a far presumere falsamente al consumatore un’origine italiana del prodotto non rispondente a realtà e laddove quindi l’italianità supposta del prodotto ne costituisce motivo principale per l’acquisto. Su 1200 prodotti registrati in sede UE con marchi Dop, Igp o STG ben 261 sono di origine italiana, pari al 22% dell’intera fetta del mercato europeo.

Il Centro Studi Confagricoltura, tenendo conto dell’evoluzione dei consumi agroalimentari a livello globale, ha stimato  che nel 2014 i prodotti agroalimentari contraffatti o “allusivi” al Made in Italy hanno rappresentato nel mondo  un mercato complessivo di quasi 70 miliardi di euro, di cui circa il 10 per cento riferibili alla contraffazione e il 90 per cento all’italian sounding.

La quasi totalità del mercato dei prodotti contraffatti in Italia è gestita dai consorzi criminali che ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale, adottata a Palermo nel 2000, rientrerebbero a pieno titolo nella definizione di gruppo criminale organizzato. Per un approfondimento cfr. anche lo studio “La contraffazione come attività gestita dalla criminalità organizzata transnazionale. Il caso italiano”, 2013, condotto dal MISE (DGLC) con l’UNICRI (Istituto Interregionale delle Nazioni Unite per la ricerca sul crimine e la giustizia).

Non esiste settore merceologico immune dalla contraffazione:  i settori più colpiti sono quelli dell’abbigliamento e degli accessori, il comparto Cd, Dvd e software e quello dei prodotti alimentari.

Secondo le indagini di Confartigianato, dal 2008 al 2014 la c.d. “multinazionale del falso” ha provocato per le nostre imprese un mancato fatturato nell’ordine di 10 miliardi e una perdita di oltre 80mila posti di lavoro.  L’indagine 2014 Censis-MISE (DGLC-UIBM) valuta che riportando nella legalità il fatturato complessivo della contraffazione si genererebbe una produzione aggiuntiva diretta e indotta di 18 miliardi di euro, con un valore aggiunto di 6 miliardi di euro,  e la produzione degli stessi beni in canali ufficiali apporterebbe 105mila unità di lavoro a tempo pieno.                                     Nel triennio passato l’Italia è stato il terzo paese europeo per numero di prodotti contraffatti con oltre 50mila prodotti sequestrati, pari al 12 per cento del totale europeo.

Un  recente  studio (Trade in Counterfeit and Pirated Goods: Mapping the Economic Impact) condotto congiuntamente dall’OCSE e dall’EUIPO (Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale) indica come il mercato del falso, che nel 2008  era stimato a livello globale in oltre 200 miliardi di dollari, sia  più  che raddoppiato per il 2013 raggiungendo i  461 miliardi di dollari, pari al 2,5% del volume totale dell’import mondiale. Per l’Europa si tratta di 116 miliardi di dollari pari al 5% dell’import. Tra l’altro il rapporto conferma come la contraffazione non colpisca soltanto grandi imprese o articoli di lusso ma tutti i tipi di prodotti.

Da anni l’Italia si batte in sede europea per introdurre  l’etichettatura obbligatoria di origine delle merci (il c.d Made in….), quanto meno per alcuni settori quali tessile, abbigliamento, calzature, gioelleria, mobili e  ceramiche, posizione italiana sostenuta  dal Vice Ministro del MISE, Calenda,  anche nel dibattito sulla sicurezza dei prodotti al Consiglio dei Ministri UE del maggio 2105.

Per proteggere il Made in Italy si cerca ora di far ricorso alla tecnologia digitale certificando i prodotti effettivamente realizzati in Italia: attraverso la certificazione digitale del prodotto si ottiene di tracciare l’intera filiera della produzione e distribuzione, garantendo l’autenticità del Made in Italy.

La proposta di  legge prevede l’introduzione  di un sistema volontario di autenticazione e di tracciabilità dei prodotti associandoli ad un identificativo che conterrà le informazioni sul produttore, sull’ente certificatore della filiera del  prodotto, del distributore che fornisce il sistema dei  codici identificativi  nonché l’elencazione di ogni fase della lavorazione. Per quanto concerne l’aspetto tecnico  il codice identificativo  consisterà in un segno unico e  non replicabile, verificabile on line, inserito in un chip Rfid  (Radio Frequency Identification) o in un bar code. Il codice identificativo sarà predisposto per il sistema  mobile e per le applicazioni su smartphone, tablet e i loro futuri sviluppi tecnologici.
La tecnologia Rfid é già in uso in vari settori (es. logistica trasporti, logistica magazzini, passaporti,….) e, grazie alla costante riduzione dei costi tecnologici, la sua utilizzazione  anche da parte dei produttori di piccola dimensione si presenta ora più facile.

E’ demandata ad un Regolamento del Ministero dello sviluppo economico la definizione delle specifiche tecniche relative alle applicazioni volte ad assicurare la tracciabilità attraverso i codici identificativi, le modalità  operative per le certificazioni e le modalità di accreditamento dei produttori delle medesime applicazioni nonché le tecnologie utilizzabili.

Il regolamento stabilirà anche le modalità di collaborazione con le camere di commercio e con le associazioni di categoria interessate, per la verifica periodica a campione dell’osservanza delle disposizioni da parte delle imprese aderenti al sistema.

La proposta di legge  attribuisce un ruolo specifico  all’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID), che dovrà contribuire  alla definizione delle modalità tecniche di emissione dei codici, chip Rfid e codici a barre  e vigilare sull’operato dei soggetti certificatori.

Si tratta di un sistema volontario di tracciatura che le imprese  potrebbero decidere di adottare e che quindi come tutti i sistemi volontari prevede un controllo rimesso agli stessi soggetti aderenti (tramite le associazioni di categoria).

La volontarietà rappresenta indubbiamente un punto debole del sistema proposto e nel corso dell’esame parlamentare è stata considerata l’eventuale obbligatorietà del sistema di tracciatura, ma anche in tal caso si è ritenuto di non incorrere in eventuali contestazioni UE in tema di violazione della concorrenza. Lo stesso dicasi per eventuali elenchi pubblici indicativi delle sole aziende che adottano il sistema.

La tracciabilità consente a tutti i consumatori un’informazione trasparente sui prodotti, mira ad evitare contraffazioni e frodi, consente alle imprese di garantire la qualità dei prodotti e dei materiali.
Per incentivare gli investimenti delle imprese che aderiscono al sistema di tracciabilità sono previsti contributi a favore di micro, piccole e medie imprese, distretti produttivi, forme aggregate di imprese  quali consorzi, anche in forma di società, raggruppamenti temporanei di imprese e contratti di rete, start-up innovative, nonché imprese agricole e della pesca.

Il MISE di concerto con il MEF  dovrà emanare un apposito regolamento  per i criteri e le modalità di assegnazione dei contributi,  per il quale è stabilito  un ammontare  di 20 milioni di euro a valere sui fondi della c.d. nuova Sabatini (D.L. 69/2013, L. 98/2013, L. 190/2014) , che prevede  finanziamenti e contributi a tasso agevolato per investimenti in macchinari, impianti, beni strumentali di impresa e attrezzature nuovi di fabbrica ad uso produttivo, nonché per gli investimenti in hardware, in software e in tecnologie digitali.

Il mancato richiamo all’origine italiana  dei prodotti, di cui si è precedentemente fatto cenno,  ha voluto  anche evitare che  i contributi possano essere considerati da parte UE come aiuto di Stato.

L’etichettatura è uno strumento essenziale per il patrimonio agroalimentare italiano, al pari della valorizzazione dell’origine per il Made in Italy, e la tracciabilità dei prodotti e delle filiere produttive può  apportare vantaggi alle imprese che realizzano prodotti di eccellenza nel settore agroalimentare.
Il Ministero delle Politiche Agricole ha indetto nel 2014 una consultazione pubblica sull’importanza della tracciabilità dei prodotti, sulla indicazione dell’origine e sulla trasparenza delle indicazioni in etichetta. Sulla scorta delle risposte di 26.500 partecipanti  è risultato che il 96% dei consumatori vuole una indicazione chiara e leggibile sull’origine di ogni alimento, per l’84% è fondamentale che ci sia il luogo ove è avvenuto il processo di trasformazione, il 46% verifica anche la presenza del marchio Dop o IgP.

La proposta di legge in esame contiene infine  la disciplina delle sanzioni, richiamando l’applicazione dell’art. 517 Cod. Pen. che contempla il delitto di vendita di prodotti industriali con segni mendaci, cioè l’apposizione  di codici che contengono riferimenti non corrispondenti al vero oppure vengono messi in vendita o altrimenti in circolazione.

Maggioranza e gran parte dell’opposizione si sono trovati d’accordo nel  varare  il testo unificato in oggetto, sia pure con qualche compromesso, e dovrebbe quindi intervenire una rapida conclusione in Senato (A.S. 2308) dell’iter di approvazione del disegno di legge.

Occorre comunque un coordinamento tra le varie iniziative legislative sul tema della difesa del Made in Italy. Ci si riferisce in particolare al disegno di legge “Nuove norme in materia di reati agroalimentari”, presentato al Senato (DDL S.2231, Ruta ed altri) che riporta il contenuto normativo elaborato dalla Commissione di studio Caselli per la difesa del patrimonio agroalimentare (v. riferimenti in Caos Management n. 101: Il rischio di impresa  e la tela di ragno della legge 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli Enti).  Il disegno di legge prevede tra l’altro il nuovo reato di agropirateria che punisce la vendita di prodotti alimentari accompagnati da falsi segni distintivi e da marchi di qualità, Dop o Igp, contraffatti, con l’aggravante di falsi documenti di trasporto o di simulazione del metodo di produzione biologica.

Circa la tutela del Made in Italy anche la Commissione Caselli ha avuto  la difficoltà di impostare una specifica normativa di carattere penale che evitasse contestazioni a livello europeo, in specie per il rispetto della normativa europea in materia di origine doganale riferita all’ultima trasformazione sostanziale.

Quindi anche lo sviluppo della proposta normativa nata dalla Commissione Caselli  non mirerà  tanto a proteggere i titoli di proprietà industriale o intellettuale,   ma piuttosto  a  consentire ai consumatori di riconoscere le caratteristiche intrinseche degli alimenti.

Da ultimo sul tema delle etichettature va segnalato l’intervento dell’Europarlamento contrario alle c.d. etichette a semaforo, applicate dal 2013, in Gran Bretagna (Traffic Light Labels) dalla grande distribuzione, su base volontaria,  per avvertire i consumatori della quantità di grassi, zuccheri e sale negli alimenti, orientandone la scelta a seconda del colore assegnato all’etichetta e di fatto distinguendo i cibi in sani e non. Il sistema  basato sui profili nutrizionali è  di dubbia validità scientifica, vista in materia  anche la posizione dell’Organizzazione mondiale della Salute.

Ora l’Europarlamento ha invitato la Commissione a riconsiderare la base scientifica, l’utilità e la fattibilità del sistema ed eventualmente eliminare il concetto di profili nutrizionali. Tenendo presente che la Commissione già nel 2014 a seguito delle varie interrogazioni, anche da parte italiana, aveva avviato una procedura di infrazione, si può ben sperare in un effettivo ripensamento del sistema che, condizionando la scelta dei consumatori, ha  finora arrecato alle nostre eccellenze alimentari (specie parmigiano,  prosciutto e olio) forti cali di vendite in Gran Bretagna.