Cacciatori di rofò: rivisitazione del Trattato di Rofologia  del Prof. Alfredo Profeta, ad opera  della esimia Maestra  di esercizi di stile e motti satirici Laura Lambiase.

 

Nel lontano mezzo secolo ventesimo il caicco cretese del Capitan Mailardi, nativo di Puglia,
con una piccola ciurma di tre persone:  il Napoletano, maga Normanna e il Mozzo si aprì la via nelle acque dell’Egeo per raggiungere l’isolotto di Gavdos, le cui coste a strapiombo si precipitavano in un incredulo mare blu  brulicante rofò grandi quanto un gozzo sorrentino.

Plinio racconta che : ”Il mare Cretino genera la più parte e i più grossi dei pesci che esistono: tra cui
i teleostoi o Polyprium Cernium detti Rofò che arrivano di lunghezza a quattro jugeri o acri di terra.”

Il rofò, il danese orfat, lo spagnolo rofena e il figiano rofee-nuee-nuee, trae il nome dalla rotondità e dal rollio perchè in danese orfat significa arcuato o a volta e in olandese e tedesco rofen suona come rollare, voltolarsi (Richard’s Dictionary).

Quel mattino il cielo si era impegolato in una strenua battaglia con il sole e quest’ultimo aveva ceduto, seppellito da nuvoloni di fumo di un tetro antracite.

Delfini saltellanti accompagnavano il legno lungo il cammino, aspettando cibarie e coccole a cui quei mammiferi erano abituati. Ma il capitano aveva in mente soltanto il Caporfò, mega-rofò scoperto dai Nantuckettesi, animale spedito e feroce contro il quale la sua perizia e la sua audacia ebbero in tempi lontani la peggio.

Per la  dimenticanza del sole il mare divenne una laguna di ombre oscure, solo gli spruzzi e gli scrosci d’acqua nati dai salti dei delfini riuscivano a muovere onde di nero petrolio.

Ma improvviso un sentiero luccicante attraversò il neredo delle acque facendole apparire  canute.
Di fronte al caicco in corsa verso l’isola ancora lontana, mandrie  mostruose di Rofò giocavano nell’oceano divertendosi a spruzzare l’acqua in aria attraverso le canne o buchi posti sui loro  dorsi. Furono costretti a procedere con cautela per evitare di investirli. Fu il capitano a dare ordini di dimezzare la velocità di corsa urlando con tutta la voce che aveva in gola”I rofò in mezzo al mare obbediscono al Signore!”.

Poi così come erano apparsi i grossi animali sparirono come richiamati all’inferno.
La rofoniera Globe, questo era il suo nome, a bordo della quale accaddero i fatti terribili che stiamo per narrare, attraccò al tramonto sull’isola di Gavdos.

Il cielo si era abbellito con ornamenti di rosea ovatta….il crepuscolo era vicino e vicina la battaglia. Molti rofò dovevano venir catturati per il loro smegmaceti, importantissimo olio utile alla  industria cosmetica. I ricchi proprietari di ville e manieri amavano ostentare ingressi ad arco gotico costruiti  piantando per terra la mandibola dentata di rofò, il cui valore era immenso.

Scesa la notte, dopo solo poche ore di riposo della ciurma e di riflessioni cupe del Capitano, il caicco si spinse là dove i rofò erigevano il loro regno.

La calma  era totale, nulla si muoveva in  quella  notte di luna nera, auspice di buona pesca.
Solo i cuori battevano… quando all’improvviso una massa immensa emerse dall’acqua scagliandosi verticamente nell’aria prima di precipitare come un’immensa cattedrale pinnacolata sopra la barca in attesa. Un enorme Caporfò dai colori della neve cadde dal cielo.La leggenda vuole che questo animale non possa aprire la bocca, ma è una favola: egli canta. Con l’enorme bocca spalancata, sibilando una melodia si abbattè a fauci spalancate sulla ciurma che fu risucchiata.
Qualunque cosa arrivi nel caos della bocca di questo mostro, sia bestia, caicco o pietra, giù se ne va immediatamente in quella sua lurida strozza e perisce nello sfondato abisso della sua pancia
(Plutarco di Ieràpetra, Scritti morali)

In quell’ infausto giorno il Signore, con la sua spada grande, forte e amara difese il serpe, lo storto serpente, trafiggendo il dragone suo disumano nemico.
 
Alfredo Profeta e Laura Lambiase Profeta