Quasi pronta per le vacanze, mi accingo a dare un mio contributo a questa rivista, che amo molto, e mi chiedo di cosa parlare. Ma è una domanda assolutamente pleonastica: posso solo raccontare di ciò che per motivi personali, professionali e contingenti, occupa le mie giornate: le malattie gravi.
Professionalmente poiché da tempo mi occupo prevalentemente di comunicazione per medici e farmacisti. Al momento attuale, fattore contingente, perché è di questi giorni la definizione, le discussioni, le ipotesi, sulla gestione del paziente grave e /o cronico.
Personalmente … è facile intuirlo.

Una vocina interiore mi sgrida: la rivista parla di impresa, ma è subito tacitata perché elementi economici e gestionali sono pienamente embricati con la tematica scelta. Quindi: management sicuramente sì. E caos, che dire? Difficile trovare un argomento dove il caos sia più dominante, parlando di accezione negativa del termine, o dove il caos debba essere più presente, intendendo l’accezione positiva del vocabolo. Purtroppo, la distanza tra caos positivo e caos negativo è davvero drammatica, e presumibilmente in mezzo si trova un buco nero dove finiscono le buone intenzioni, il pensiero sistemico e la vision di molti.

Gli elementi in gioco sono davvero tanti, ed è difficile metterli in un qualunque ordine organico, tuttavia da qualche parte bisogna iniziare.

 

In Italia, ogni giorno, vengono diagnosticati circa 1.000 casi di cancro: ben oltre il 50% di questi pazienti è vivo a cinque anni dalla diagnosi. In Italia, come in molti Paesi occidentali, l’indice di remissione è elevato, la probabilità di guarigione è buona, pur con tutti i distinguo necessari, e l’assistenza sanitaria a carico del sistema sanitario nazionale.

Si potrebbe far di meglio, sicuramente: ancora oggi in Italia i lavoratori a partita IVA non hanno alcun sostegno economico in caso di tumore, tranne le eventuali assicurazioni private pagate da loro. E non dimenticatevi di sostenere la battaglia di Danila Fregosi su Afrodite K!

Tuttavia il cancro è un settore redditizio per le aziende farmaceutiche, e ciò comporta che sia una delle poche aree in cui si fa ancora ricerca di nuovi farmaci. Qualunque sia il pensiero sulle aziende farmaceutiche, senza la loro ricerca avremmo un’età media di sopravvivenza molto più bassa.
Il cancro viene dunque diagnosticato e curato, con risultati accettabili. E allora, dov’è il caos?
La più totale confusione regna in due aree distinte, entrambe relative al paziente: la prima è la sua vita, la seconda è dove rivolgersi e cosa riceve.

Prendo in prestito una bellissima espressione di Giulietta Bandiera, giornalista, scrittrice, autrice di programmi televisivi: quando vien diagnosticato un tumore, il miracolo non è guarire, ma è vivere. Il paziente deve affrontare quattro fattori e, benché esistano strumenti efficaci per farlo, difficilmente si tratta di strumenti accessibili a chi non si interessa di comunicazione e crescita personale:

  1. Il suo mondo va letteralmente in frantumi, e deve ricostruirlo a sufficienza da affrontare l’operazione e / o le terapie.
  2. Deve costruire, o almeno essere pienamente partecipe, una relazione positiva con l’equipe che lo segue, di cui generalmente fanno parte il medico di base, l’oncologo, il chirurgo, personale paramedico, fisioterapisti, e altre figure professionali. Se tutto avviene in sinergia, la vita del malato è molto più semplice.
  3. Le relazioni con familiari, amici e conoscenti cambiano totalmente. Vanno gestite, ricostruite, ristrutturate. Non è poco!
  4. La malattia è un’esperienza, e come tale va gestita, e può essere gestita, al punto che molti si riconoscono decisamente più vitali e positivi dopo il cancro rispetto a prima. Ma non è una passeggiata!

Questi passaggi, che non sono necessariamente in sequenza, vengono troppo spesso affrontati in maniera casuale, senza supporto, diventando vere e proprie imprese titaniche. Regna confusione laddove il caos che si genera potrebbe essere un sistema straordinariamente positivo.

Ed eccoci al secondo elemento.

Sicuramente per il sistema sanitario nazionale i costi del cancro sono elevati, più per esami, ricoveri, costi collaterali che per le terapie in sé, ma i tentativi di limitare gli esami di prevenzione o razionalizzare i controlli (o la distribuzione dei farmaci specifici) generano confusione e insicurezza. Ma affrontare una problematica sistemica con tentativi, modifiche continue, senza una visione completa e a lungo termine crea solo disagi e rischia di fare non pochi danni, economici e alla salute del cittadino. Decreti, provvedimenti tampone, variabilità tra regioni, mancanza di punti di riferimento, sono l’aspetto evidente dell’assenza di vision e di pensiero sistemico.

E poi … Chi, oggi, si affida in toto alla medicina definita alternativa ha spese notevoli, ma ha il vantaggio di indicazioni ben più complete e chiare rispetto a chi ha tutt’ora fiducia nella medicina tradizionale, che proprio nelle patologie più gravi manifesta non poche carenze. Certo, i protocolli terapeutici sono, in linea di massima, standardizzati, almeno per le forme più comuni. Ma non si vive di chemioterapia.

Avventurarsi nei consigli alimentari, stile di vita, supporti terapeutici, servizi aggiuntivi, equivale ad un viaggio ben più avventuroso e periglioso di quelli dell’Enterprise. Complice il WEB, le scuole di pensiero, il possibile interesse di qualcuno, i modelli mentali e le convinzioni limitanti di altri, al paziente mancano riferimenti sulla vita quotidiana nei lunghi anni che, si spera, trascorre dopo la diagnosi.
Alimentazione sana, integratori e supporti terapeutici, gestione dello stress (per usare un’espressione nota, ma decisamente inadeguata) sono elementi essenziali per una buona vita, soprattutto per il paziente oncologico. Peccato che districarsi tra informazioni divergenti, creative, assolutistiche, idro-colon terapie, informazioni distribuite con titoli da giornali di terz’ordine, sia davvero una mission impossible.

Mia nonna, sana contadina romagnola, raccontava ai nipoti come il buon senso fosse una qualità essenziale. Ora appellarmi al buon senso mi sembra poco professionale, e in molti casi è una ricerca più complessa di quella del fiore azzurro. Auspico dunque, ancora una volta, il pensiero sistemico, e la medicina sistemica, a beneficio del paziente e della comunità.