lavandaia    la·van·dà·ia/     sostantivo femminile
1. Donna che per mestiere si assume l’incarico del bucato per conto di terzi.

Alejandra Sepúlveda Palma   (artista contemporánea de Temuco, Chile)

 

E’ un mestiere praticamente sparito, forse, vista la crisi lavorativa e la quantità di lavori che si stanno creativamente formando, qualcuno lo potrà riciclare, per così dire.
Da piccola, ogni lunedì accadeva che a casa nostra si recava la Zoila (nome mai sentito prima né poi!) ed io ancora me lo ricordo come una cosa bella, parte della routine di mia madre alla quale assistevo certe volte distrattamente ed altre no; se Zoila si faceva accompagnare da qualcuno dei suoi figli ero molto contenta di partecipare a tutta la faccenda.
Lei arrivava con un grosso involucro sulla testa e lo poneva sul letto di mia madre e cominciava ad aprirlo lentamente, mentre facevano due chiacchiere tra di loro. Mia madre si informava della salute di tutta la sua famiglia, raccontava della nostra, etc. etc. E veniva dopo il conteggio di ogni indumento lavato impeccabilmente da Zoila, stirato e profumato con un odore che ancora ricordo nitidamente.
Ogni pezzo veniva contato e facevano delle piccole pile con delle lenzuola, federe, etc., insomma con tutto quello che la nostra famiglia usava normalmente.
All’epoca, capivo, che mia madre la remunerava per quello che faceva ma certamente non capivo la fatica che potesse significare per Zoila il farlo. E, logicamente, non eravamo i suoi soli clienti. Per mandare avanti la famiglia composta di almeno 7 o 8 figli, per quanto mi ricordo,  Zoila doveva fare parecchi bucati e viaggi trasportando in autobus, le cose sporche e riportando il pulito di settimana in settimana.

Questo è un piccolo omaggio a tutte le Zoila del mondo, a un mestiere fatto esclusivamente dalle donne, riportando una delle poesie di Pablo Neruda.

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ODA A UNA LAVANDERA NOCTURNA de Pablo Neruda

Desde el jardín, en lo alto,
miré la lavandera.
Era de noche.
Lavaba, refregaba,
sacudía,
un segundo sus manos
brillaban en la espuma,
luego
caían en la sombra,
Desde arriba
a la luz de la vela
era en la noche únicaviviente,
lo único que vivía:
aquello
sacudiéndose
en la espuma,
los brazos en la ropa,
el movimiento,
la incansable energía:
va y viene
el movimiento,
cayendo y levantándose
con precisión celeste,
van y vienen
las manos sumergidas,
las manos, viejas manos
que lavan en la noche,
hasta tarde, en la noche,
que lavan
ropa ajena,
que sacan en el agua
la huella
del trabajo
la mancha
de los cuerpos,
el recuerdo impregnado
de los pies que anduvieron,
las camisas
cansadas,
los calzones
marchitos, lava
y lava,
de noche.

La nocturna
lavandera
a veces
levantaba
la cabeza
y ardían en su pelo
las estrellas
porque
la sombra
confundía
su cabeza
y era la noche, el cielo
de la noche
la cabellera
de la lavandera,
y su vela
un astro
diminuto
que encendía
sus manosque alzaban
y movían
la ropa,
subiendo
y descendiendo,
enarbolando
el aire, el agua,
el jabón vivo,
la magnética espuma.

Yo no oía,
no oía
el susurro
de la ropa en sus manos.
Mis ojos
en la nochel
a miraban.
Sola
como un planeta,
ardía
la nocturna
lavandera,
lavando,
restregando
la ropa,
trabajando
en el frío,
en la dureza,
lavando en el silencio nocturno del invierno,
lava y lava,
la pobre
lavandera.