Bisognerebbe istituire il “reato di incompetenza”.  La nostra società negli ultimi anni (diversi ormai) e in quasi tutte le parti del mondo occidentale ha generato una classe di incompetenti. Sarebbe molto interessante addentrarsi nella cause che hanno generato questa classe ma su questo punto torneremo più avanti.

Nel mondo dell’organizzazione aziendale le competenze rappresentano l’insieme delle conoscenze, delle capacità e delle qualità individuali che si ritengono necessarie per ricoprire un ruolo organizzativo.

Più in dettaglio:

  • Le conoscenze  rappresentano il patrimonio di nozioni rispetto a un preciso campo di conoscenza; non implicano necessariamente la messa in atto di una capacità.
  • Le capacità rappresentano lo strumento per concretizzare e tradurre in risultati le conoscenze possedute.
  • Le qualità individuali rappresentano caratteristiche individuali e personali, in grado di influenzare atteggiamenti e comportamenti.

La particolarità di queste competenze è che le prime (conoscenze)  si possono acquisire (attraverso lo studio ad esempio), le seconde se c’è una base seria si possono sviluppare, le terze fanno parte di quel patrimonio genetico oseremmo dire e riguardano per l’appunto le attitudini individuali che ciascuna persona possiede indipendentemente dai suoi studi o dalla sua estrazione sociale e pertanto non sono né modificabili, né acquisibili.

Il mondo aziendale da sempre presta una grande attenzione alla competenze tanto che su questa base si progettano e si svolgono le prove di selezione per l’ingresso in azienda, su questa base si definiscono i contenuti professionali dei vari ruoli o mestieri aziendali e si costruiscono i piani di formazione e di carriera.

Su questa base l’Unione Europea ha definito gli EQF (European Qualification Framework) ovvero il Quadro Europeo delle Qualifiche per l’apprendimento permanente con l’obiettivo di costituire un sistema che consenta di mettere in relazione i diversi titoli rilasciati dai Paesi membri. In altri termini definire le competenze necessarie per ciascun mestiere o ruolo professionale, definire dei percorsi e certificare le competenze possedute dai lavoratori al fine di facilitarne la circolazione all’interno dei Paesi della UE.

Le competenze sono dunque divenute la base scientifica su cui si fonda il mercato del lavoro e, di conseguenza, le fondamenta dello sviluppo non solo del benessere economico ma anche di quello sociale.

Un passo importante in questo senso lo ha fatto lo Stato Italiano che nel 2016 ha introdotto un riferimento agli indicatori di benessere equo e sostenibile nei documenti di programmazione economica e di bilancio (La riforma del bilancio dello Stato (legge n. 163/2016).

Sono stati introdotti i seguenti nuovi 12 indicatori:
1) Reddito medio disponibile aggiustato pro-capite
2) Indice di disuguaglianza del reddito disponibile
3) Indice di povertà assoluta
4) Speranza di vita in buona salute alla nascita
5) Eccesso di peso
6) Uscita precoce dal sistema di istruzione e formazione
7) Tasso di mancata partecipazione al lavoro
8) Rapporto tra tasso di disoccupazione delle donne 25-49 anni con figli in età prescolare e delle donne senza figli
9) Indice di criminalità predatoria
10) Indice di efficienza della giustizia civile (durata media effettiva in giorni dei procedimenti di cognizione civile ordinaria definiti dei tribunali)
11) Emissioni di CO2 e altri gas clima alteranti
12) Indice di abusivismo edilizio

E’ un deciso e significativo risultato che proietta anche il nostro Paese nel novero dei Paesi più evoluti, avanzati e civili del mondo che misurano la propria ricchezza non solo con il classico PIL, ma anche misurando e raffrontando indicatori di benessere (BES).

Perché sono dunque importanti e cosa c´entrano questi indicatori con le competenze?

Sono importanti perché  determinano un salto di paradigma nella valutazione del progresso e della ricchezza degli Stati e, di conseguenza, determinano anche un cambiamento nelle competenze della classe politica che sarà chiamata a legiferare, governare e controllare in maniera diversa la vita economica e sociale del nostro Paese.

Purtroppo dobbiamo osservare che per quanto riguarda le competenze dei nostri rappresentanti politici e, più  in generale dei nostri amministratori pubblici, partiamo in salita. Sono a tutti note le incompetenze dei nostri amministratori a tutti i livelli nazionali, regionali, comunali ed anche di molte società  a partecipazione pubblica. Più volte ho espresso, anche sulle pagine di questa rivista, il mio punto di vista su questa questione. E cioè che contesto il fatto, o pregiudizio, che le società o enti privati per loro intrinseca natura funzionino meglio di quelle pubbliche. A mio avviso ci sono società, enti, organizzazioni gestite bene ed altre gestite male, indipendentemente dalla natura pubblica o privata. E la differenza per l´appunto la fanno le competenze delle risorse umane che la compongono, a partire, ovviamente, ma non esclusivamente dal management.

Pur tuttavia  possiamo osservare che in una azienda privata se un manager non produce i risultati per i quali e stato chiamato/nominato viene semplicemente invitato a farsi da parte o licenziato. Ecco, nella pubblica amministrazione questo spesso non succede. Eppure dovrebbe succedere ed in maniera anche più incisiva di ciò che accade in una azienda privata perche gli interessi in gioco sono molto più importanti e riguardano spesso una collettività molto più ampia di quella di una comune azienda. Manca una procedura  snella ed efficace per rimuovere gli amministratori pubblici quando non tengono fede ai loro impegni, alle promesse fatte agli elettori o semplicemente si qualificano per una cattiva gestione anche dell´ordinario.

Le procedure previste dall’attuale assetto istituzionale prevedono solo il ricorso alle urne come modalità democratica attraverso la quale gli elettori possono confermare o ritirare la loro fiducia a coloro che li rappresentano. Ma questo vale solo per deputati, senatori, governatori delle regioni e sindaci. Non vale per gli amministratori delle società ed enti partecipate dallo stato, dalle regioni e dai comuni.

Ebbene questa procedura, formalmente democratica, ha una grande criticità: i tempi. Nel mondo in cui viviamo i cambiamenti sociali, tecnologici, finanziari, economici sono talmente veloci che richiedono risposte altrettanto veloci dell’apparato pubblico, che, per l appunto, non ci sono, con la conseguenza di lasciare irrisolti i problemi sul tappeto.

Basti pensare ai problemi dell’immigrazione, della disoccupazione, della pulizia delle città, dei trasporti, della sanità, delle scuole, ma anche più semplicemente dell’ amministrazione dei municipi o della manutenzione del verde, della rete ferroviaria, degli edifici pubblici, delle strade. Cioè problemi che dovrebbero essere di ordinaria amministrazione, diventano di straordinaria amministrazione per  l’incompetenza di coloro che dovrebbero gestirli.

La  genesi di questa incompetenza e complessa e le radici vengono da lontano. Senza evocare fatti o concetti già noti a tutti mi limito ad osservare solo alcune cose:

a) la mancanza storica di una seria, rigorosa ed apprezzata scuola della pubblica amministrazione (modello ENA francese per intenderci) ha certamente lasciato orfani gli amministratori pubblici di una adeguata preparazione;
b) l´arruolamento (che non è solo conseguenza del punto a) nell’alveo dei pubblici amministratori di imprenditori, attori, giornalisti, comici, etc non ha portato competenze coerenti con il profilo dell’amministratore pubblico;
c) nella cosiddetta prima repubblica le organizzazioni preposte a rivestire un ruolo politico (i partiti) avevano, oltre ad una tradizione, un organizzazione anche territoriale, una scuola interna e praticavano al loro interno una selezione dei loro rappresentanti che “facevano la gavetta” presso istituzioni locali (comuni, provincie, regioni) prima di assurgere a ruoli nazionali (parlamento, governo, enti centrali) favorendo cosi, attraverso un “training on the job”  l’implementazione delle loro competenze.  Attualmente la società  liquido moderna ha smaterializzato tutto, i partiti tradizionali con le loro organizzazioni non esistono più e le funzionalità sostitutive non appaiono in grado di raggiungere gli stessi risultati (i mass-media, le piattaforme internet, la televisione);
d) i nuovi politici (per l’appunto spesso persone provenienti da altre esperienze professionali che per motivi di marketing elettorali vengono candidate e poi elette) si ritrovano a rivestire un ruolo che non gli appartiene e, cosa assai più grave, senza le competenze necessarie per esercitarlo (spesso neanche quelle di base).

Si dirà che “nessuno e nato imparato!”  Ed è certamente vero, ma è altrettanto vero che se abbiamo un problema di salute andiamo da un medico specializzato che riteniamo competente per risolvere il nostro problema e non da un ingegnere, avvocato, o agente di commercio. Le competenze quindi sono fondamentali a tutti i livelli e per ogni professione.

Personalmente sono del parere che fare l amministratore pubblico sia un mestiere e come tale necessita di competenze specifiche e approfondite, tanto più che la macchina pubblica è piuttosto complessa e non ci si può improvvisare.

Ritengo pertanto fuori luogo tutti coloro che si candidano a ruoli pubblici senza avere una adeguata preparazione ma aggiungo, e veniamo al tema di questo articolo, che poiché  nella situazione attuale per i motivi solo in parte richiamati, siamo circondati da amministratori pubblici incompetenti, in attesa di augurabili cambiamenti (anche di tipo legislativo. Si potrebbe ad esempio fare una legge che preveda che possono candidarsi a ruoli di pubblici amministratori, o legislatori solo persone che hanno determinate competenze  e che queste debbano essere certificate da un ente terzo ed indipendente) si istituisca, subito, il REATO DI INCOMPETENZA.

Ovvero un vero e proprio reato, punibile con la rimozione del pubblico amministratore ove esso abbia fornito prova di incapacità di gestire l’ istituzione, ente o azienda partecipata che presiede (oltre alla richiesta di eventuali danni patrimoniali se con la sua incapacità avesse provocato danni o disagi di rilevanza economica alla collettività).

Penso ai Sindaci, ai Governatori, ma anche ai vertici di aziende pubbliche locali che negli ultimi anni hanno dato inconfutabile prova di incapacità gestionale. I cittadini non possono aspettare la prossima tornata elettorale per confermare o togliere la loro fiducia. Nel frattempo le città affondano nei loro problemi, cosi come le aziende o le organizzazioni che presiedono. Il meccanismo potrebbe essere legato al livello di soddisfazione dei servizi che l’ente rende ai propri concittadini. Che senso ha fare le ricerche sullo stato di soddisfazione della cittadinanza sui servizi erogati da questo o quell’ ente se poi, in caso di giudizi fortemente negativi, ciò non porta ad una immediata rimozione degli amministratori?

I tempi previsti dalla politica non coincidono con i tempi richiesti dalla cittadinanza. Ebbene il REATO DI INCOMPETENZA, rilevato secondo una metodologia democratica e affidato ad una procedura snella e sostanziale che la magistratura potrebbe gestire, potrebbe ovviare, nell’ immediato, ed in attesa che si crei una classe dirigente più competente nella pubblica amministrazione, alla manifesta incapacità dei pubblici amministratori e restituire alla cittadinanza il diritto immediato di far fronte ai propri problemi o necessita.

Con quale alternativa?

La nomina di un amministratore super partes rimane l’ unica strada. A Roma si è applicata recentemente ma forse per troppo poco tempo.

Ecco il problema sorge ogni qual volta la politica con i suoi riti, rituali e tempi non riesce più ad occuparsi dei problemi dei cittadini e si avvita su se stessa. In questi casi l’ incriminazione per REATO DI INCOMPETENZA  potrebbe aiutare a risolvere in tempi rapidi un problema che la politica con i suoi metodi di autogoverno non riesce a risolvere.