Che cosa e il controllo?

 

Nell’accezione più ristretta, aspetti di verifica, ispezione e vigilanza, volti a garantire il rispetto di procedure e atti prestabiliti, laddove il controllo mira a rilevare le irregolarità che potrebbero condurre a una mancata realizzazione dei piani. Nell’accezione più ampia (legata tradizionalmente al contesto anglosassone), il controllo aziendale fa invece riferimento all’attività di governo e di guida dell’azienda verso il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Il controllo ha quindi lo scopo di favorire l’autoregolazione del sistema aziendale, in modo da consentire, attraverso modifiche e aggiustamenti, il conseguimento dei risultati attesi. Rispetto all’accezione minimalista, il controllo, come guida, mira alla rilevazione non solo (e non tanto) della mancata conformità ai piani, ma anche di nuove opportunità. In questa seconda accezione, gli studi di economia aziendale, che vedono l’impresa come un sistema di elementi e relazioni tra loro interagenti, identificano due diversi livelli di controllo: controllo operativo e controllo strategico.
Controllo operativo. Riguarda principalmente i compiti individuali e ha lo scopo di garantire che le attività siano svolte con la necessaria efficacia ed efficienza. Comprende pertanto la definizione di procedure, che consentono di valutare il grado di efficienza realizzato dai vari operatori nello svolgimento della loro attività, verificando se esse sono osservate, e forme di controllo ex ante (supervisione preventiva), realizzate mediante la definizione di meccanismi di autorizzazione e di verifica da rispettare prima dello svolgimento di particolari attività. A livello operativo, il sistema di controllo assegna la responsabilità (economica e gestionale) ai diversi livelli della struttura organizzativa e impone limitazioni al comportamento individuale, che si estrinsecano in restrizioni e vincoli posti all’attività dei singoli, volti a evitare che essi possano compiere azioni dannose per l’azienda.
Controllo strategico. È finalizzato a verificare l’efficacia di attuazione delle strategie aziendali adottate ai vari livelli e a fornire le informazioni necessarie al loro rafforzamento o alla loro modifica. L’attività di controllo strategico si espleta principalmente attraverso il confronto tra gli obiettivi e le strategie definite nei piani e gli andamenti delle variabili interne ed esterne rilevanti per il loro raggiungimento. L’attività di controllo strategico non si limita pertanto a valutare i risultati conseguiti nel breve periodo, ma tende a sorvegliare l’andamento complessivo dei fattori interni ed esterni da cui dipende l’economicità aziendale. È importante sottolineare come controllo strategico e controllo operativo, benché riguardino aree decisionali poste a livelli diversi, non siano di fatto concetti o momenti separati e a sé stanti. L’integrazione del livello strategico e operativo del controllo, infatti, richiede che in ogni azienda vi sia un sistema ampio e complesso basato su principi e modelli mirati, provvisto di procedure attuative coerenti con i principi e gli obiettivi da raggiungere, che si avvale di strumenti informativi adeguati e di una struttura organizzativa progettata ad hoc (da Enciclopedia Treccani).

Da quanto illustrato e dettagliato sopra possiamo fare alcune prime considerazioni:

  1. il controllo è una funzione strategica in qualunque tipo di organizzazione
  2. lo stesso si è concettualmente evoluto passando da un concetto ed un approccio di tipo amministrativo e poliziesco (la ricerca del colpevole) ad un concetto ed approccio del tipo “cerchiamo di capire cosa non funziona bene e cerchiamo di migliorarlo” (dall’ispezione all’audit).

Per le sue caratteristiche concettuali ben si adatta al sistema istituzionale di uno Stato democratico. Una buona democrazia si attua, si difende e si evolve anche attraverso un buon sistema di controlli ( o meglio una democrazia efficace ed efficiente passa attraverso un efficace ed efficiente sistema di controlli – funzione strategica che garantisce il rispetto delle regole che assicurano la convivenza pacifica di un dato popolo in un dato territorio).

Ma da cosa passa un buon sistema di controlli?

In estrema sintesi passa certamente attraverso un rigore metodologico ma anche e sopratutto da un approccio culturale diffuso e condiviso. E si perché in particolare nei Paesi neolatini la cultura del controllo non è molto diffusa né spesso accettata e condivisa. Il proverbio tutto italiano “fatta la legge, trovato l’inganno” la dice lunga sulla cultura residente nel nostro paese a proposito di leggi, regole, norme, etc.

Ebbene questo è un grandissimo problema che nel corso dei secoli ha portato in particolare il nostro Paese a moltiplicare le leggi senza risolvere spesso i problemi per i quali furono concepite.

Oggi ci troviamo ad avere circa 150.000 leggi in vigore contro 7.000 della Francia, 5.500 della Germania, 3.000 della Gran Bretagna.

E’ abbastanza ovvio quindi che con questo numero di leggi l’intero sistema sia diventato burocratico ed inefficiente a scapito della qualità e nell’impossibilità di effettuare controlli efficaci ed efficienti.

Da dove iniziare dunque per difendere la nostra democrazia e far rispettare le regole che democraticamente ci diamo per convivere pacificamente?

La matrice è ancora una volta culturale. Se vogliamo evolvere dobbiamo convincerci tutti (i cittadini italiani) che un sistema di regole non solo è necessario ma è  utile a tutti rispettarlo, altrimenti non serve a nulla ed i costi per mantenerlo in essere pur inefficace ed inefficiente sono comunque a carico della cittadinanza.  La storia italiana si caratterizza per un approccio formale e burocratico al problema che infatti non è mai stato risolto. Ogni qual volta si è rilevato che parte della cittadinanza non rispettava una norma, anziché cercare di comprenderne i motivi si è semplicemente aumentata la sanzione nella speranza che ciò inducesse ad un maggior rispetto della norma. Niente di più falso e smentito dalla storia stessa. Si vedano a titolo di esempio le norme e le sanzioni per gli abusi edilizi, per la circolazione, per il riciclaggio di denaro. Norme sempre inasprite e comportamenti e reati sempre reiterati se non in aumento. Se pensiamo che ciò è accaduto e accade per una buona parte delle regole che governano ( o meglio che dovrebbero governare) la nostra convivenza (che infatti tanto pacifica non è più) ci rendiamo conto di quanto sia grande e diffuso il problema.

La  soluzione quindi a mio avviso non può che passare attraverso un duplice intervento:
a) a discapito delle nostre pur prestigiose origini (il diritto romano) occorre prendere atto che il mondo è cambiato e oggi ad uno Stato moderno si richiedono poche norme ma buone e rispettate da tutti per funzionare bene, quindi uno snellimento dell’apparato normativo (numero di leggi di primo, secondo e terzo grado, regolamenti, etc.) appare non solo necessario ma doveroso ed urgente  per poter competere con gli altri paesi;
b) agire, a partire dall’educazione e dalla formazione (quindi  famiglie, scuole primarie, secondarie, università, agenzie e scuole di formazione, organizzazioni profit e no profit) affinché si formino gli uomini e le donne della prossima generazione a comprendere l’importanza di un sistema di regole, a condividerne gli scopi e la necessita di rispettarlo (dall’educazione civica, alla formazione sull’etica negli affari e nell’amministrazione della cosa pubblica). Esperienze, studi e dati statistici di altri Paesi hanno dimostrato più volte che la miglior fonte di controllo è  il “controllo sociale”, ovvero quel controllo che attivano i cittadini stessi quando individuano da parte di un soggetto un comportamento non consono agli interessi della comunità e ne denunciano immediatamente lo scostamento, attivandosi spesso direttamente per rimuoverlo. Questo significa aver partecipato, compreso e condiviso fino in fondo quella norma ed il rispetto della stessa. Nei paesi più evoluti culturalmente molto spesso, molte norme di comportamento non sono neanche scritte perché patrimonio genetico di quel popolo ed il loro rispetto è garantito dalla loro cultura e non da norme o peggio da sanzioni. La distanza del nostro paese e della nostra cultura da questi concetti è siderale ma le strade sono due: o ci rassegniamo ad essere e rimanere il Paese di Masaniello o cambiamo il nostro modo di pensare. Solo cosi potremo sperare di entrare a far parte dei paesi più evoluti ed entrare a pieno diritto nell’elenco di testa dei paesi del Democracy Index.

Strada lunga, ma forse è l’unico modo per riscattare la nostra generazione nei confronti delle prossime.