In un’economia che tende a spingere il costo marginale di beni e servizi verso lo zero (Rifkin), e al loro scambio pressoché gratuito grazie alle nuove tecnologie e alla rete, ha ancora senso parlare di regali?

Se acquisto un ebook, ne cracco il blocco DRM e invio il file come allegato email ad un amico, gli ho fatto un regalo? Se acquisto lo stesso libro cartaceo, ne faccio un bel pacchetto e lo dono all’amico, gli ho fatto un regalo equivalente o diverso dal precedente?

Dal punto di vista della fruizione del contenuto, l’amico legge esattamente lo stesso libro, quindi non c’è nessuna differenza. Dal punto di vista del rituale sociale, nel primo caso ho compiuto un atto illecito che l’amico può rifiutare sdegnato, nel secondo ho fatto qualcosa di bello per cui l’amico mi sarà riconoscente. Dunque il regalo, per essere tale, deve essere un oggetto e avere un valore in denaro? Devo ricevere qualcosa che potrei comprarmi da solo o che è al di fuori delle mie possibilità? Al proposito Woody Allen disse: “Per Natale avrei voluto una Mercedes, ma mi sono accontentato del pigiama a righe”.

Per capire che cosa è stato e che cosa è il regalo, facciamo un po’ di etimologia. La parola ci arriva dallo spagnolo e deriva da re (il sovrano, il signore) e gala (la festa, la magnificenza), per indicare sia i doni che il re fa ai sudditi, sia i doni che i sudditi fanno al re.

Il dono viene da dare, radice sanscrita da, nel senso di trasferire qualcosa a qualcuno.

Il termine latino munus significa compito, ufficio, incarico, dono, obbligo che qualcuno contrae in cambio della posizione che occupa: il matrimonio è l’impegno della madre verso il figlio o la figlia, il patrimonio è quello del padre. Deriva dalla radice indoeuropea mein, reciprocità, da cui viene anche mutuo e meum (mio). Colui che è immune non è tenuto allo scambio. Mettere in comune significa condividere lo scambio con altri, da cui comunicare.

La parola gratis è la contrazione dell’ablativo latino gratiis (per le grazie, per i favori), che significava gradito, grato, piacevole, ma anche memore dei benefici ricevuti. Deriva dalla radice indoeuropea ghar che significa amore, piacere, gioia. Chi è grato per il regalo ricevuto dice grazie, che significa sia che l’ha gradito, sia che ne è riconoscente.

Il germanico gift si rifà alla radice gi, dare (ingl. give, ted. geben). La cosa curiosa però è che in inglese significa dono, in tedesco veleno, a indicare la doppia natura del dono, da una parte favore, dall’altra insidia, legame, creazione di un debito, già messa in luce da Virgilio, Eneide II, 49, che fa dire a Laocoonte di fronte al cavallo di Troia: “Timeo Danaos et dona ferentes” (ho paura dei Greci anche quando fanno doni).

Il francese cadeau deriva dal tardo latino catellus (catenina) o dall’occitano capdel, capolettera ornato, e poi per estensione cosa inutile, superflua ma piacevole.
In senso figurato parliamo di “regalo” a indicare un prezzo molto basso (offerta regalo, a queste condizioni praticamente è regalato).

Nell’uso comune il regalo può essere un aiuto economico che il ricco fa al povero, e un atto di riconoscenza che il povero fa al ricco. Infatti i regali possono scambiarsi fra pari e fra diversi, nel primo caso fra amici, colleghi, partner, soci; nel secondo fra genitori e figli, capi e collaboratori, anziani e giovani.

Il regalo, per tutto ciò che rappresenta e significa, è strumento di comunicazione e di relazione. Un oggetto può essere metafora di altri messaggi, può significare anche un importante cambiamento di stato, come l’anello di fidanzamento.
Inteso come relazione, il regalo è sia reciprocità fra chi dona e chi riceve, sia squilibrio che rompe la simmetria sociale fra merce e prezzo, fra valore dato e valore ricevuto. Poiché negli scambi sociali tutto ha un prezzo, il regalo rientra in questa logica (chi regala caro vende) o la contraddice (è un regalo, non mi devi nulla in cambio). In tal senso gli scambi in natura rientrano nel concetto di gratuito, ma non di regalo, perché conservano la simmetria fra il dare e il ricevere.

A livello sociale il regalo può essere usato come redistribuzione di ricchezze.

Pensiamo al panem et circenses dei Romani, agli 80 euro di Renzi e ai 100 di Macron, al reddito minimo del M5S. Ma si tratta di favori o di riconoscimenti di diritti? Il diritto esclude il regalo, perché ricevo ciò che mi spetta. Dunque il regalo, inteso come favore, come munificenza del potere, presume un diritto negato?

E il volontariato, come si pone? E’ un regalo di tempo e di risorse che chi può fa alla società? Regalo superfluo e inutile, o regalo utile? Fiori o opere di bene?

Infine, come considerazione natalizia, ecco il regalo come spreco. Anche questo ha una tradizione antica nello spreco rituale o potlach che è alla base di molte cerimonie popolari come matrimoni, funerali, feste patronali, dove si spende molto di più delle proprie possibilità, magari indebitandosi pesantemente, si mangia a crepapelle, si butta, si brucia o si distrugge una grande quantità di cibi e di beni.

Chiudo con il dilemma di sempre: è meglio un regalo costoso ma impersonale, o un pensierino da pochi euro ma che testimonia la conoscenza, l’affetto e la vicinanza di chi dona a chi riceve? Ai due estremi c’è la carta di credito da 100 euro o il file craccato del libro che a me è piaciuto tanto e, conoscendoti, dovrebbe piacere anche a te.