Due recenti studi hanno voluto fotografare l’atteggiamento degli italiani rispetto a due temi importanti sul piano industriale e sociale.

Vale la pena di discutere i risultati. Così dal primo emerge che l’interesse degli italiani verso la sostenibilità è cresciuto: la stessa affermazione viene da fonti completamente diversa, l’UE e l’Unione delle Banche, quest’ultima valutazione sulla base degli investimenti del capitale privato. C’è poi anche uno studio statistico: sulla base di un’indagine ad intervista dalla quale è risultato che circa l’80% è favorevole ad una tutela e ad un impegno personale verso il nostro ecosistema. Purtroppo, questa risvegliata attenzione ha attivato anche mire commerciali non proprio virtuose ed un po’disinvolte. Queste cadono in una nuova attività denominata in inglese greenwashing.

Per comprendere cosa ci sia dietro questo termine la cosa migliore è riportare quanto riportato nel glossario marketing.it “Strategia di comunicazione volta a sostenere e valorizzare la reputazione ambientale dell’impresa mediante un uso disinvolto di richiami all’ambiente nella comunicazione istituzionale e di prodotto, non supportato da risultati reali e credibili sul fronte del miglioramento dei processi produttivi adottati o dei prodotti realizzati”.

Esempi classici di greenwashing sono così l’eliminazione dei bicchieri di plastica per il caffè in ufficio; o usare per le fotocopie carta riciclata, o piantare un albero nel parco o usare solo plastica riciclata continuando per il resto a differenziare la raccolta in modo approssimativo, a non adottare tecnologie per il costo del rinnovamento tecnologie clean pure disponibili, a scegliere materie prime sulla esclusiva base del costo.

L’altro recente studio, fra i tanti stimolati e suggeriti dalla pandemia, ha evidenziato la limitata presenza italiana nelle produzioni più complesse (reagenti, kit, analizzatori) per la difesa dal Covid19  che è pure un tratto comune ad altri partner europei: questo non ci ha favorito nella crisi pandemica e potrebbe ostacolarci nel percorso di crescita futuro che si giocherà nella capacità di produrre servizi complessi che utilizzano occupazioni ad alta intensità di conoscenze e competenze. 

Il nostro Paese è risultato invece emergente rispetto alla produzione di prodotti semplici (come mascherine e guanti). Quali le cause e quali i rimedi? Ridurre la fuga dei cervelli che abbassa il valore del capitale umano, favorire e creare la domanda di lavoratori della conoscenza e gli interventi in istruzione e formazione, garantire da parte delle istituzioni stabili rapporti contrattuali. 

In questo quadro ben si innesta il programma Next Generato in EU che prevede alcune riforme prioritarie: giustizia, burocrazia, digitalizzazione della PA, sostegno alla ricerca di base, sostegno alle filiere industriali ad intensità cognitiva più elevata. Da queste scelte potranno derivare anche riequilibri territoriali fra Nord e Sud, un freno alla fuga dei cervelli la maggior parte dei quali proviene dal Sud (rapporto Svimez 2019), l’attrazione di capitale umano e finanziario dall’estero, anche e soprattutto finalizzato alla produzione di servizi intensivi in conoscenze commerciali e trasportabili in digitale con conseguenti ricadute per il nostro Mezzogiorno.