“L’azione senza il pensiero è la causa di ogni fallimento”

 

Abbiamo già sfiorato il pensiero di Peter Drucker nell’articolo  “I Guru del management” pubblicato sul numero 134 del Caos Management il 29 maggio 2021. In questo caso proveremo a focalizzare alcune sue tesi significativamente utili nell’odierno scenario dei comportamenti organizzativi. Peter Drucker è considerato un “guru” del management, considerando che essere “guru” significa indicare una strada, proporre una direzione da seguire, ispirare e indirizzare le persone, rafforzando la sicurezza che è dentro ad ognuno di noi; soprattutto nel management, che se non esistessero i “guru” sarebbe una disciplina fredda, fatta di numeri e di regole, priva di quella dimensione emotiva e relazionale (o carismatica) importante per dirigere e indirizzare uomini e strutture organizzative. La lezione dei “guru”, al livello manageriale, insegna che per andare avanti occorre rompere gli schemi della routine e guardare oltre i confini visibili. Impresa non facile da intraprendere, soprattutto quando per dirigere un’impresa si usa troppa praticità e poca immaginazione[1].

Ora, sul piano teorico, non si può iniziare una riflessione su Drucker senza citare la pubblicazione di The Practice of Management (1954) nella quale il guru elabora lo strumento teorico del Management by Objectives (MBO), che divenne un vero e proprio movimento, sulla base, anche, della elaborazione e formulazione di altri autori[2]. Il concetto fondamentale di questa tecnica di gestione è “assicurare che ogni anello della catena di comando faccia la sua parte…”, ossia i compiti aziendali dovevano essere suddivisi in obiettivi ben definiti e assegnati alle varie unità organizzative e agli individui. C’è da considerare che le organizzazioni (prevalentemente) burocratiche dell’epoca erano governate da regole e procedure e questo rallentava la produttività ed esponeva le amministrazioni (in primo luogo) ad ogni forma di sterilizzazione dei fini o distorsione degli scopi (vedi i circoli viziosi delle burocrazie, nel mio articolo   “La burocrazia da Weber a Kafka” pubblicato su il Caos Management il 23 marzo 2020).

Ma l’attenzione di Drucker è focalizzata sulle effettive funzioni dei dirigenti d’azienda, sulla divisione tra essi della performance economica dell’impresa, spiegando la realtà (complessa del business) e analizzando l’azienda in termini di margini, risorse, potenzialità, centri di costo, bisogni del cliente, con l’obiettivo di costruire punti di forza delle strategie del futuro.

In particolare Drucker ritiene che ogni tre anni l’analisi dettagliata dell’azienda, debba riguardare i prodotti, i processi produttivi, la tecnologia, il servizio o mercati da sottoporre ad una meticolosa valutazione[3].

Management e risorse umane, questi i temi costantemente affrontati dall’autore.

Al centro della sua analisi vi è sempre la performance soddisfacente non il massimo profitto, appunto quanto basta a coprire i rischi della perdita d’impresa. Nel libro “Management: Task, Responsibilities, Practices” (1973), egli individua otto aree in cui avere obiettivi chiari: il marketing, l’innovazione, l’organizzazione del personale, le risorse finanziarie, quelle fisiche, produttività e cosa molto significativa, responsabilità sociale ed esigenze di profitto.

Anche in Drucker (come in Barnard) vi è, dunque, una fondazione etica del management, in quanto l’obiettivo prioritario non è (direttamente) il profitto ma l’utilità sociale e individuale di ciò che si produce o dei servizi che si offrono sul mercato (da cui derivano i ricavi).

La sua teorizzazione è, comunque, pervasa dallo strumento degli obiettivi (a tutti i livelli dell’organizzazione), mettendo a fuoco cinque operazioni fondamentali, in rapporto alla integrazione e crescita dell’organizzazione, di seguito: la prima con il manager che stabilisce gli obiettivi (e i risultati), le metodologie per raggiungerli, li rende comunicabili (e comprensibili) alle persone la cui performance è indispensabile per il loro raggiungimento. La seconda funzione è quella dell’organizzazione (attività, decisioni, le relazioni necessarie, classificazione del lavoro, sua distribuzione nelle microstrutture, raggruppamento delle unità e compiti nella struttura organizzativa, affidamento (alle persone) della gestione della valutazione e del controllo sui compiti da eseguire. Terzo, il management motiva e comunica, crea gruppi, costruisce lo “stato interno” all’organizzazione (livelli retributivi dei collaboratori, assegnazione dei compiti e promozioni). La stessa valutazione è il quarto step della gestione organizzativa, stabilendo parametri di riferimento, feed-back, focalizzati sulle performance attese, spiegando il significato di queste operazioni ai propri dipendenti, ai superiori e ai colleghi.

Il quinto punto rientra nella visione etica di Drucker, far crescere la società, le persone, compreso se stessi (ossia, tutti gli stakeholder coinvolti nell’impresa)

Se ci riferiamo, poi, al periodo (storico) post-bellico, Drucker individua sette elementi chiave nello sviluppo del management (classico): accettazione dei principi della OSL, i processi di decentramento, la gestione del personale secondo la logica di adattamento delle persone alle strutture dell’organizzazione, lo sviluppo manageriale per provvedere ai bisogni futuri, l’analisi delle informazioni alla base del processo decisionale, marketing e pianificazione a lungo termine.

Più recentemente l’analisi di Drucker con Innovation and Entrepreneurship (1985) si avvicina ai settori in crescita dell’economia americana degli anni ’80, come l’assistenza medica e il settore scolastico, mentre in “The New Realities” (1989) estende il suo campo di analisi ai fenomeni contemporanei come l’economia transazionale, le esigenze della società post-industriale e il post-business.

 

Ruolo centrale nel suo pensiero è che il management non svolge un’azione fondamentale solo per l’impresa ma anche per la società nel suo complesso, in sostanza il management viene eretto a istituzione regolatrice di molte altre attività (università, ospedali, agenzie governative, sindacato).

Di sicuro impatto è la sua concezione del management come governance mondiale, come regolatore dei conflitti e realizzazione delle condizioni della pace, con la globalizzazione capace di far crescere le organizzazioni economiche oltre i confini nazionali, spostando il peso politico del potere dagli interessi politici alle imprese multinazionali, promuovendo qualità della vita e progresso tecnologico. Di sicuro la strada intrapresa dall’internazionalizzazione della produzione, l’accumulazione di profitti e poteri delle imprese trans-nazionali ha avuto un’altra storia, certamente meno utopistica del management secondo Drucker.

Resta il fatto che la sua concezione dell’organizzazione si inserisce nel filone dell’etica organizzativa, con risvolti umani, sociali e anche morali. L’obiettivo centrale dell’impresa resta il servizio (o il prodotto) al cliente piuttosto che il profitto, con quest’ultimo solo come mezzo per l’investimento nella continua innovazione e nel miglioramento dell’impresa.

Soprattutto Drucker afferma che l’organizzazione non ha nulla a che vedere con il potere ma piuttosto attiene alla responsabilità, affermando di “essere stato il primo a rendersi conto che il business deve cercare la sua ragion d’essere al di fuori di se stesso, cioè creando e soddisfacendo il cliente, con la centralità del processo decisionale, la relazione sequenziale tra strategia e struttura, l’importanza dell’autocontrollo organizzativo tramite il Management by Objectives”[4].

Guru preveggente, ha anticipato alcuni temi centrali nascenti negli anni ’90, quale quello delle privatizzazioni da lui citate come “riprivatizzazioni”, anche se il ceto politico, in seguito, è andato molto al di là delle sue intenzioni (spesso distorcendole). Oppure la versione del knowledge management che sottolinea il ruolo crescente dei knowledge worker, una variante del ruolo dei professionisti nelle organizzazioni (professionali), con medesimo livello di istruzione, reddito più elevato e maggiori opportunità, considerando anche il rapporto di mutuo sostegno tra lavoratore della conoscenza e sviluppo organizzativo. Drucker arriva a pensare che questa classe emergente (i knowledge worker), sulla base delle sue conoscenze, possa invertire i tradizionali rapporti sociali di produzione capitalistici, non più solo forza-lavoro ma conoscenza come nuova unità di misura della società economica, fonte di potere e proprietà. Addirittura “il knowledge worker” è il vero capitalista della società della conoscenza e contemporaneamente dipende dal proprio lavoro. I knowledge worker, cioè il ceto medio istruito con un lavoro dipendente, possiedono collettivamente i mezzi di produzione, attraverso i fondi pensionistici, i fondi comuni d’investimento e così via”[5].

Forse, come già accennato, il più grande merito di Drucker è stato quello di considerare il management come una disciplina umana, fatta da compiti, rifacendosi anche a periodi storici molto lontani (la Grande muraglia cinese o le piramidi egizie). Funzioni storiche ma anche “persone” perché “ogni conquista del management è la conquista di un manager; ogni suo fallimento è il fallimento di un manager. Sono le persone a gestire, non le forze o i fatti. Sono la vision, la dedizione e l’integrità dei manager a determinare se c’è un buono o un cattivo management”.

Infatti in The Practice of Management (1954) Drucker ribadisce come vi sia “una sola definizione valida dello scopo del business: creare un cliente”. Scrive ancora Drucker, “i mercati non sono opera di Dio, della natura o delle forze economiche ma sono creati dagli uomini d’affari”.

Cosi come “l’organizzazione non costituisce un fine in sé, ma un mezzo per conseguire una finalità della performance del business e dei suoi risultati”. Ossia la struttura organizzativa è un mezzo per la strategia dell’organizzazione, coerentemente progettata per le sue finalità, per un periodo di tempo, breve, medio o lungo. Qualsiasi errore di progettazione strutturale pregiudica le finalità della strategia di business.

Nell’opera già citata “Management: Task, Responsibilities, Practices” Drucker ha stabilito (come precedentemente anticipato) cinque elementi basilari del ruolo manageriale: organizzare, motivare e comunicare, misurare e sviluppare il personale. Infatti scrive “la funzione che distingue il manager rispetto a tutti gli altri è quella formativa” e, ancora, “l’unico contributo che ci si aspetta precipuamente da lui è quello di trasmettere agli altri la vision e la capacità di realizzarla. In ultima analisi sono la vision e la responsabilità morale a definire il manager”.

Drucker, a questo proposito, individua cinque aree “nelle quali sono richiesti metodi che assicurino il corretto spirito lavorativo in tutta l’organizzazione manageriale”.

Primo, presenza di requisiti che assicurino una performance soddisfacente, nessun condono e le ricompense basate solo su di esse. Secondo, la mansione manageriale deve essere soddisfacente in sé e non un puro e semplice gradino nella scala delle promozioni. Terzo, il sistema premiante deve essere razionale ed equo. Quarto, presenza di uno statuto manageriale per stabilire il potere decisionale, e possibilità di appellarsi a un giudice superiore. Quinto, l’integrità come qualità assoluta del manager, che egli deve possedere all’origine e non acquisire (in seguito).

Drucker, nell’ambito del MBO, sottolinea la necessità di sette qualità dei manager. Gestire gli obiettivi, assumersi più rischi, prendere decisioni strategiche, essere in grado di formare un team integrato (sugli obiettivi comuni), essere in grado di comunicare velocemente, inoltre, il manager del futuro non potrà più essere specializzato sulla propria funzione ma avere una vision onnicomprensiva del business, nella quale integrare la propria funzione, stessa cosa riguardo alla conoscenza di un prodotto o settore specifico non più sufficiente (alle sue competenze).

Chiudiamo questo breve excursus sulle tematiche di Drucker evidenziando quanto afferma sulla stato attuale del management (anni ’90 ma utili anche oggi): fine del management ortodosso aprendo a diverse concezioni del management (per esempio il Critical Management Studies), baricentro delle tecnologie dell’informazione spostato verso la I di informazione, necessità di misurarsi con turbolenze ambientali casuali, riconoscimento che le aree di crescita del Ventesimo secolo (ma anche del XXI), nei paesi sviluppati, non sono solo legate al mondo dell’impresa ma anche alla Pubblica Amministrazione, al non –profit, alla sanità, scuola, tutti settori (pubblici) dove il management è clamorosamente carente.

Due considerazioni finali, afferma Drucker “la principale costante nel lavoro del management è di rendere efficaci i punti di forza delle persone e irrilevanti i loro punti di debolezza”, non perdendo di vista la (rigida) chiusura dei conti economici, dichiarando che “i manager hanno la responsabilità dei risultati, punto[6]”.

 

[1] CEIMA, La lezione dei “guru” del Management, 6 Novembre, 2017. Vedi, https://ceima.eu/2017/11/la-lezione-dei-guru-del-management/

[2] Cfr. J. W. Humble, Management by Objectives, McGraw-Hill, 1971.

[3] Cfr. C. Kennedy, I guru del management, op. cit.

 

[4] Cfr. D. Crainer, S. Clutterbuck, Makers of Management, Hardcover, 1990.

[5] Cfr. P. F. Drucker, The Age of Discontinuity, 1st Edition, 1969.

[6] Cfr. S. Crainer, D. Dearlove, Il grande libro dei Guru, op. cit.