Ci si chiede cosa  farebbe un giornalista che scriva abitualmente di economia se non ci fosse il PIL. Per chi crede di capirci è uno strumento indispensabile: se il numeretto cresce andiamo bene, se diminuisce siamo in recessione, se continua a diminuire siamo in depressione. Con questa indicazione che ci viene fornita quotidianamente si pretende di chiarire al volgo come vanno le cose dell’economia del nostro paese, come si sta comportando il governo in carica e quindi addirittura se possiamo essere ottimisti o pessimisti. Alla maggior parte dei pensanti tutta questa importanza attribuita ad un numeretto sembra, naturalmente, alquanto eccessiva. Vale la pena quindi approfondire l’argomento, anche tenendo conto che del PIL non si parlava fino a circa novanta anni fa.

 

A cosa serve il PIL

Il Prodotto Interno Lordo è il principale indicatore di salute di un sistema economico, dato che rappresenta la capacità del sistema stesso di produrre e vendere beni. E’ sull’analisi dell’andamento passato e presente del PIL e sulle stime delle sue evoluzioni future che si concentrano le attenzioni di analisti ed economisti, e non solo: il PIL è infatti la variabile più importante nelle decisioni di politica economica. Tassi di crescita consistenti e costanti garantiscono infatti elevati livelli di benessere e entrate fiscali capaci di sostenere i bilanci pubblici.

 

Definizioni

Il

 PIL (Prodotto Interno Lordo) è il valore dei prodotti e servizi realizzati all’interno di uno Stato sovrano in un determinato arco di tempo. Detto valore è quello che risulta da un processo di scambio ovvero, in parole povere, dalla vendita di prodotti e servizi: questo esclude dal computo i prodotti/servizi realizzati da un soggetto per autoconsumo e i servizi resi a titolo gratuito. Si parla di Prodotto Interno Lordo perché nel PIL sono compresi gli ammortamenti, ovvero il deprezzamento di tutti gli apparati (anche non propriamente fisici come i software dei pc) che vanno a comporre il sistema produttivo, che perdono  valore con il tempo e con l’utilizzo e vanno quindi continuamente ripristinati.

Esistono tre metodologie per calcolare il valore del PIL a seconda del punto di vista dal quale si esamina questa grandezza. Il valore del PIL è determinato da un processo di scambio, ovvero: in uno scambio c’è un soggetto che acquista (e quindi spende) e uno che vende. Il primo metodo, chiamato “Metodo della Spesa”, esamina il PIL dal lato della domanda, ovvero dal punto di vista di chi acquista e paga un prezzo per il prodotto/servizio: è quindi abbastanza intuitivo comprendere che il PIL è composto dai consumi (spesa delle famiglie in beni durevoli, beni di consumo e servizi), dagli investimenti (spesa delle imprese e delle famiglie in beni strumentali e immobili), dalla spesa pubblica (spesa dello Stato e amministrazioni pubbliche) e dalle esportazioni nette (differenza fra esportazioni ed importazioni).
Se invece si esamina il PIL dal lato di chi vende il prodotto/servizio (ovvero dell’offerta), ci rendiamo conto che per arrivare al punto conclusivo del processo produttivo (la vendita) sono state realizzate una serie di operazioni come l’acquisto di beni intermedi (materie prime, semilavorati) e fattori produttivi (lavoro e beni strumentali) che permettono a ogni passaggio di aggiungere valore: sommando tutti i valori aggiunti del passaggio produttivo si arriva allo stesso valore del PIL ottenuto con il metodo precedente. Questo metodo non casualmente si chiama “Metodo del Valore Aggiunto”.
Il terzo e ultimo metodo per calcolare il PIL esamina il problema da un altro punto di vista, ovvero quello dei fattori di produzione impiegati per arrivare al bene finale. I fattori di produzione sono essenzialmente il lavoro e il capitale finanziario impiegato: questi fattori vanno remunerati con stipendi e profitti. A questi si sommano anche le tasse sulla produzione e l’IVA (una sorta di remunerazione per lo Stato a fronte dei servizi che garantisce), al netto dei contributi alla produzione. In anni recenti si è deciso di stimare e aggiungere al computo anche il contributo dell’economia sommersa e dei redditi che essa genera. Quello appena descritto viene chiamato “Metodo dei Redditi”.

 

Di norma, il PIL viene espresso non in termini assoluti, bensì in termini relativi su base annua. Pertanto dire che il PIL è cresciuto del 3% sta a significare che l’economia è cresciuta del 3% da un anno all’altro.

A questo punto risulta già chiaro comprendere che la produzione e la crescita economica, come appunto indicato dal PIL, hanno un grande impatto sullo stato di salute di un Paese: quando il PIL cresce in maniera sostenuta, infatti, in genere è più facile osservare una condizione di disoccupazione più bassa e di salari più elevati, poiché le imprese richiederanno più lavoro per poter soddisfare l’economia in crescita.

Ma non solo: una modifica significativa del PIL, sia in salita che in discesa, e comunque oltre le attese, ha generalmente un impatto rilevante anche sul mercato finanziario, considerato che gli investitori si preoccupano sempre in modo prioritario della crescita del PIL, valutato che è uno dei fattori che gli economisti utilizzano per determinare se un’economia è in una recessione.

 

Da quanto sopra riportato, da documenti ufficiali che abbiamo cercato di semplificare il più possibile per rendere il tutto comprensibile anche ai non economisti come il sottoscritto, si dovrebbe dedurre che il PIL è uno strumento completo per misurare la condizione di benessere di uno Stato e dei suoi cittadini. Non è così e lo vedremo più avanti. Il processo di calcolo del PIL poi, molto dettagliato e ben descritto potrebbe sembrare molto semplice. Ho ritenuto di non descriverlo per non appesantire l’articolo.

 

Però mi ha riportato alla memoria la mia più importante esperienza di management. Quella che in definitiva considero la più formativa si materializzò dopo aver deciso di lasciare l’Olivetti ed intraprendere la strada di consulente di direzione in proprio. Ero all’epoca un giovane, trent’anni, manager/consulente che gestiva in Zambia, per conto di una società di Mediobanca il concessionario Olivetti, occupandomi nello stesso tempo dei paesi subsahariani come consulente dell’Olivetti stessa. Un sabato pomeriggio a Lusaka mi fu offerta la Direzione Generale di una industria di articolati ed autobotti: avrei preso possesso della carica il lunedì mattina. Si trattava della Lusaka Engineering Company, 1.400 persone, partecipazione 40% Stato Zambiano, 40% Mediobanca e 20% Fratelli Piacenza. La mia ultima esperienza di gestione era stata fino a quel momento la direzione dell’assistenza tecnica clienti per l’area di Londra (230 tra tecnici ed amministrativi). Ritenni quindi onesto dichiarare la mia esitazione ad accettare l’incarico per manifesta mancanza di esperienza. Ebbi molto coraggio: dimenticavo di dire che l’offerta mi fu fatta personalmente dal dottor Enrico Cuccia. Ed è da lui che ricevetti una lezione di management che non potrò mai dimenticare. L’uomo parlava pochissimo, ho avuto poi modo di incontrarlo un altro paio di volte in Africa ed a Milano. Egli scrisse su un foglio che ancora conservo quattro frasi: fatture emesse, fatture ricevute, pagamenti ricevuti e pagamenti effettuati. Mi girò il foglio perché lo leggessi e disse: “Guardi ingegnere lei lunedì va in fabbrica, per due settimane non prende nessuna decisione e tutte le sere si fa portare nel suo ufficio dal Direttore Amministrativo questi quattro numeri, alla fine delle due settimane riunisce tutti i direttori (non usava la parola manager) intorno al tavolo della Direzione, tiene i numeri in ordine davanti a sé e comincia a fare domande. Vedrà che dopo la riunione sarà in grado di prendere decisioni.” Seguii le istruzioni alla lettera, per fortuna avevo una segretaria molto efficiente, e dopo due anni della mia gestione la Price Waterhouse poté stilare un report pieno di complimenti per il management. Certamente il governo di uno Stato è cosa diversa ma forse certi processi potrebbero essere semplificati.

 

La storia del PIL

La necessità di misurare la ricchezza è molto antica, gli economisti di quei tempi, conosciuti come “fisiocratici”, credevano che tutta la ricchezza provenisse dalla terra. Nel 1665, l’inglese William Petty fu il primo a presentare una stima di ciò che chiamò “reddito nazionale”.  Petty credeva che la vera ricchezza non derivasse dalla terra, ma dal salario. Pertanto, ha ragionato, i salari dovrebbero essere tassati più pesantemente.  Charles Davenant, rivela il gioco nel titolo del suo saggio del 1695 “Sui modi e i mezzi per rifornire la guerra. ” Stime come la sua davano all’Inghilterra un vantaggio considerevole in quanto guerreggiava con la Francia. Il re di Francia, da parte sua, dovette attendere la fine del Settecento per ottenere statistiche economiche decenti. Nel 1781 il suo ministro delle finanze, Jacques Necker, presentò il Compte rendu au roi, o “Dichiarazione finanziaria per il re”, a Luigi XVI, che allora era già sull’orlo della bancarotta. Sebbene questo documento consentisse al re di contrarre qualche prestito in più, arrivò troppo tardi per fermare la Rivoluzione nel 1789. Il primo a sostenere che ciò che conta non è la natura ma il prezzo dei prodotti fu l’economista Alfred Marshall (1842-1924). ll presidente degli Stati Uniti Herbert Hoover fu incaricato di sconfiggere la Grande Depressione, nel 1931, riunisce i principali statistici del paese e li trova incapaci di rispondere anche alle domande più elementari sullo stato della nazione, nel 1932, nomina un brillante giovane professore russo di nome Simon Kuznets per rispondere a una semplice domanda: quanto possiamo produrre? Negli anni successivi, Kuznets gettò le basi di quello che sarebbe poi diventato il PIL e prese il Premio Nobel. Dopo essere stato un utile strumento per la depressione e la guerra il PIL divenne quindi un importante metro di valutazione del progresso.

 

Proprio come un satellite nello spazio può rilevare il tempo in un intero continente, così il PIL può dare un quadro generale dello stato dell’economia“, ha scritto l’economista Paul Samuelson nel suo libro di testo bestseller Economics. “Senza misure di aggregati economici come il PIL, i responsabili politici sarebbero alla deriva in un mare di dati non organizzati“, ha continuato. “Il PIL e i relativi dati sono come fari che aiutano i responsabili politici a guidare l’economia verso gli obiettivi economici chiave“.

 

Negli anni Quaranta negli USA il National Bureau of Economic Research ha assunto circa 5.000 economisti incluso Simon Kuznets e Milton Friedman, due dei pensatori più importanti del secolo. Gli Stati Uniti diventano la culla del PIL che è una forma di economia completamente diversa da quella che John Maynard Keynes e Friedrich Hayek avevano imparato a scuola. Gli anni ’50 introducono una nuova generazione di tecnocrati con un obiettivo completamente nuovo: far “crescere” l'”economia”. Ancora più importante, pensavano di sapere come realizzarlo: gestire la realtà e predire il futuro. L’economia era sempre più considerata come una macchina con leve che i politici potevano azionare per promuovere la “crescita”.  Come spiega uno storico, “La prima cosa che fai negli anni ’50 e ’60 se sei una nuova nazione è aprire una compagnia aerea nazionale, creare un esercito nazionale e iniziare a misurare il PIL“. Ma quest’ultimo elemento è diventato progressivamente più complicato. Quando le Nazioni Unite pubblicarono la loro prima linea guida standard per la determinazione del PIL nel 1953, essa ammontava a poco meno di cinquanta pagine. L’edizione più recente, pubblicata nel 2008, arriva a 722. Sebbene sia un numero sbandierato liberamente dai media, sono poche le persone che capiscono davvero come viene determinato il PIL. Anche molti economisti professionisti non hanno idea. Per calcolare il PIL è necessario considerare tanti dati, metterli in relazione e scegliere quali considerare e quali scartare e, nonostante queste scelte necessariamente soggettive, il PIL viene considerato un dato scientifico totalmente oggettivo. E anche questo non è vero.

 

Oggi

Il PIL è ed è stato molto utile in tempo di guerra quando devi produrre più aerei, carri armati e bombe e puoi inquinare come ti pare. In effetti si potrebbe addirittura affermare che non c’è misurazione più utile in tempo di guerra. Ogni epoca ha bisogno di misure appropriate, infatti nel settecento il PIL voleva indicare la quantità del raccolto, nell’ottocento il numero delle fabbriche, l’estensione della rete ferroviaria e la quantità del carbone estratto, nel novecento la produzione industriale. Oggi, data la complessità del nostro sistema, non è più possibile esprimere il nostro progresso in euro o dollari e non è più possibile parlare solo di efficienza e utili. Per rendere l’idea un quartetto d’archi non può essere suonato da un solo violino o più veloce, per efficienza, e da un solo musicista, per fare più utile. Sara quindi necessario trovare nuovi parametri e nuove misure. “Il Prodotto Nazionale Lordo misura tutto tranne quello che rende la vita degna di essere vissuta”.

 

Confermiamo quindi che il PIL  non è uno strumento completo per misurare la condizione di benessere di uno Stato e dei suoi cittadini. Per esserlo dovrebbe misurare un elemento che non è possibile misurare la felicità. Ci sono però elementi che presto sarà necessario inserire nel calcolo del PIL. Il progresso tecnico e l’automazione renderanno sempre più economici l’acquisto di prodotti. Spenderemo invece sempre di più per servizi ad alto valore aggiunto come salute, sicurezza, ambiente, arte. E questi sono servizi che spesso non è possibile rendere più efficienti.

 

Lo stesso premio Nobel Kuznets, inventore del PIL, in un report al Congresso USA, nel 1962 ebbe a dire: “Il benessere di una nazione non può essere dedotto dalla misurazione del reddito nazionale. La misurazione del reddito nazionale è soggetta ad un certo genere d’illusione e ai susseguenti abusi, poiché tratta materie al centro del conflitto tra gruppi sociali contrapposti … Dobbiamo sempre avere ben chiara la distinzione tra quantità’ e qualità’ della crescita… Gli obbiettivi di una ulteriore crescita dovrebbero specificare ulteriore crescita di cosa e per cosa”. Kuznets inoltre suggeriva di non inserire nel calcolo del PIL le spese militari, la pubblicità e il settore finanziario.

 

Ora non resta che decidere cos’è la crescita, cos’è il progresso e cos’è che rende la vita degna di essere vissuta.

 

Bibliografia

Jonathan Rowe, The gross domestic Product (marzo 2008);

David Pilling, Has Gdp outgrown its use? (Financial Times 4 luglio 2014);

Oscar Wilde, L’anima dell’uomo sotto il socialismo (1993);

J.Steven Landefeld, Gdp: One the Great Invention of the 20th Century;

Jacob Goldstein, Theinvention of the economy;