(Dono che il padrone di casa offre al suo ospite quando va via)

So di essere presuntuosa e un po’ fuor di testa nel considerare doni da consegnare ai miei ospiti nell’atto di andar via questi miei esili pensieri.

La verità è che questa parola mi piace per ciò che implica e perché l’ho sentita per la prima volta tanti anni or sono da un carissimo amico, professore di greco, che ricevendo un librino creato da noi per Natale ci ringraziò dicendo” Sapete che cosa è questo? E’ un apophoreta”.

Ecco il mio Apophoreta napoletano

 

Faccio solitari in giardino e penso alla cena : due uova all’occhio di bue. Alfredo aveva un rapporto privilegiato con le uova: quando da ragazzo si ritirava a casa tardi non trovando nulla di pronto ad aspettarlo sul tavolo di cucina in casa dei genitori, accendeva il fuoco del fornello a gas e si strapazzava delle uova.

Le frittate le girava con un salto mortale della padella in aria, non ne ha mai persa una.

Una sera mi rivelò l’esistenza della frittata senza uova.

“‘FRITTATA ‘E SCAMMARO” si chiama ed é consigliabile eseguirla quando è rimasto un piatto di spaghetti con le vongole o con le cozze dal pranzo del mattino o dalla cena del giorno prima.

Basta far riscaldare la padella con un filo d’olio, aggiungere gli spaghetti, sistemarli ben ammaccati e azzeccati insieme, coprirla e attendere. Girarla e rigirarla sperando nell’arruscamento di tutti e due i lati. Infine farla scivolare delicatamente in un piatto.

Per noi le vongole dei ” VERMICIELLE ‘ A VONGOLE ” erano di fatto lupini, più economici e molto più thalassanici, (esiste questo termine?) a cui si aggiungeva una vranca di vongole veraci per abbellire il piatto.

Niente vermicelli ma linguine o spaghetti.

 

Circondata da verdi fronde e canto di merli decido che stasera mi faccio nu “FILOSCIO C’ A MUZZARELLA”.(Cioè un Omelette)

Il solitario non è riuscito, ma l’ho fatto riuscire magicamente. Rido , anche Nennella, la mia bellissima madre barava al solitario. Barare con se stessa è adrenalinico. Bellissimo!

Passo poco tempo nel gioco delle carte, ma qualche volta mi spingo a combattere una partita a scopa con “il ricordo di mia madre”. Lei mi vinceva sempre e lo fa anche adesso in questi incontri virtuali. E’ lei la vincitrice!.

Più spesso il tempo lo ammazzo con le parole incrociate ( o crociate?). E pensare che le odiavo considerandole un’attività mediocre e poco interessante. Ora che i medici attribuiscono loro la forza salvifica di vecchi cervelli , ne mangio a cena e a colazione.

Sono venuta a sapere così che l’Arca si è spiaggiata sull’Ararat e che la pianta selvatica che cresce in giardino a maggio è velenosa e si chiama aro, pan di serpe o gigaro.

Il vero sostituto di razza di queste attività ludiche è la Lettura. Silvio Perrella disse un po’ piccato di me che sono una lettrice molto esigente, non so da che cosa l’avesse dedotto.

Certo se un romanzo mi annoia lo abbandono senza ripensamenti o scrupoli.

Nel filoscio ci ho messo tante erbe aromatiche alla Pereira. Vi ricordate Tabucchi ? Io lo associo irrimediabilmente a Pessoa e alla sua “fine della dimenticanza del sole”.

Chissà se tra le “fines herbes” delle frittate di Pereira c’era anche la rucola.

“NZALATA ‘E ARUCULA”, ho sempre avuto un certo grado di complicità con questa erba.

La prima volta che la colsi fu da ragazza a Salerno. Facciamo filone Licia, una compagna rossa di capelli, ed io e ci avventuriamo sul Masso della Signora a raccogliere erbe e fiori. Riconosciamo la rucola, la cogliamo e decidiamo di mangiarla in insalata con sale e limone. Era buonissima, amarissima come è quando cresce spontanea.

Non ci crederete ma Pessoa e Tabucchi mi fanno pensare al dolce che più amo. Non c’è una ragione che regga, se non che il loro linguaggio sa di rondini e di primavera.

Io “esco pazza” per la “PASTIERA ‘ E GRANO”, è per me come “L’arma fine di mondo”, l’arma letale del Dottor Stranamore. Sono solidale con chi debba sorbirsi il Panettone a Natale e la Colomba a Pasqua.

Roba da inzuppare nel latte, non come i dolci cremosi, rummosi e pieni di aromi del Regno delle due Sicilie. E’ noto che nascessero nei monasteri o nelle case reali.

C’è uno strano fruscio mentre scrivo. Sarà un uccello che si sbatte tra i rami dell’alloro.

Quando uscì il libro di Fabrizio Mangoni “Di che dolce sei?” mi riconobbi immediatamente in una sfogliatella riccia, la mia pasta preferita.

 

” ‘A SFUGLIATELLA RICCIA” non ha un aspetto accuoncio, non è bella da guardare; non è morbida né seducente, è difficile da addentare senza far sbriciolare la sfoglia, senza farla svolazzare in giro…ma il sapore! C’è la croccantezza (parola rubata al linguaggio cheffico) dell’abito esterno, che si apre alla soavità del ripieno intrigante e sensuale.

Per questo mi piace essere una sfogliatella riccia.

In casa Lambiase Crudele (da anni ho preso i nomi di mia madre, mio padre e mio marito e recito così il mio nome: Laura Lambiase Crudele Profeta. Una vera congrega di vite, un’apoteosi di umanità) a Pasqua insieme all’odore della Primavera c’era quello della Pastiera appena sfornata.

Scrivere in giardino affievolisce il suono squillante dei miei acufeni (feroci nemici del silenzio) facendolo apparire come un rumore di fondo della città. Estatica penso al dolce pasquale di casa mia. Mia madre Nennella era la regina, l’esponente massimo della cottura di questo dolce. Mai più mangiato uno simile da quando lei è morta. Anche mio padre Giannino ne andava pazzo, tanto da non riuscire a trattenersi dal pizzicare la crosta del bordo della torta lasciata a riposare. La stranezza è che questo scempio lo ha continuato, salendo sui tavoli o in cima alla madia, il gatto Giògiò (così chiamato per la sua somiglianza con il babbo) quando lui non c’era più. Ovviamente fummo convinte fosse un caso di metempsicosi.

Quest’anno ho sperimentato la peggior pastiera della mia vita: ho chiamato a rapporto Cresta, il mio amico piccione che viene ogni mattina a chiedere cibo davanti alla porta finestra della veranda e ho gettato quella papocchia spudorata di grano semicrudo, duro e insapore in fondo al viale.

E ho seguito con lo sguardo Cresta sculettare giuliva verso il luogo del banchetto

Questo apophoreta è consegnato, come ogni dono se non è gradito …si può riciclare. Grazie

Laura Lambiase Crudele Profeta