Il mito della Dea Madre e l’origine dello spazio e del tempo.

Un impercettibile rumore di fondo collega l’uomo contemporaneo al mondo dell’Europa preistorica, scenario di un lungo inizio che condusse i primi umani verso una visione della natura intesa come un tutt’uno vivente, manifestazione di un principio femminile da cui ogni cosa proveniva e in cui ogni cosa faceva ritorno. Un inizio che durò millenni, dal paleolitico al neolitico quando l’affermarsi di forme religiose basate sulle divinità maschili dei popoli indo-europei alterò irrimediabilmente l’originaria concezione unitaria del regno vivente, prima divinizzazione della vita all’interno del ciclo di nascita morte e rigenerazione.

Il passaggio dal culto femminile della Dea Madre a quello maschile del dio guerriero segnò una radicale trasformazione dell’antica idea di spazio e di tempo. Al tempo ciclico, chiuso in una sostanziale atemporalità caratterizzata da morte e rinascita, fu sostituito il tempo lineare, aperto, che vide nell’inizio e nella fine senza ritorno il destino di tutte le forme viventi. Allo spazio quale espressione della presenza della Dea Madre che tutto conteneva, si sostituì lo spazio discontinuo che separò il saro dal profano e che permise di lasciarsi alle spalle quello che la ragione umana non poté comprendere. Ritornare alle origini del pensiero, su questi due fondamentali costituenti del mondo, grazie ai quali da sempre si svolge ogni esistenza, significa volgere lo sguardo indietro a quei primi attimi dell’alba della coscienza degli umani quando essa mosse i primi passi al di qua di quel confine che segna la divisione fra lo sfondo oscuro e indistinto dell’inconscio del mondo e i primi bagliori della coscienza. Un mondo perduto, il cui silenzio pone domande fondamentali sul modo di intendere il nostro rapporto con la natura nell’odierna visione nichilista.

Il tempo ciclico della natura che l’uomo secolarizzato ha via via eliminato dalla propria visione fu, in quel primo tempo della preistoria dell’uomo, il necessario collegamento fra il mondo psichico e il mondo fisico. Quando l’alleanza fra l’uomo e la natura fu irrimediabilmente compromessa, un muro invalicabile fu eretto fra i due mondi, l’uno visibile, materiale e “reale”, l’altro non meno reale ma non esperibile dai sensi ordinari. Esistere fra i due mondi fu da allora prerogativa di pochi, un sentire segreto e visionario, estraneo a un mondo rivolto verso l’indiscriminata manipolazione e trasformazione delle cose.

 

Per ritornare a quelle origini è necessario dirigere lo sguardo verso quel che, proveniente dal corpo della terra, si è conservato dei nostri antichi antenati. In quel ventre arcaico ebbe inizio la metamorfosi: l’invisibile divenne visibile e il mondo dei sogni, affacciandosi alla coscienza, formò il nucleo fondante della realtà dei primi umani. La grotta fu il primo contenitore, elemento femminile e prima immagine archetipica di una realtà non fisica. Il mondo delle tenebre, contrapposto a quello della luce, è l’immagine che più si avvicina al paesaggio onirico caratterizzato dai contorni indefiniti e dalla mescolanza dell’Io con il mondo. Luogo di nascita e di morte, utero e tomba. Luogo della trasformazione, grembo materno della Dea Madre che da quel mondo oscuro emergerà per dare significato a ogni fenomeno della natura.

Nell’antica Europa le grotte-tempio, i disegni parietali e le sculture raffiguranti figure femminili contengono le prime importanti tracce di una società matriarcale e matrilineare che mantenne inalterata la sua struttura per millenni. La vasta produzione artistica che dal paleolitico si protrasse per tutto il neolitico testimonia la nascita di un pensiero che si rivolge al lato invisibile del mondo. Per la prima volta l’uomo si interroga sulla sua natura e lo fa osservando quello che gli è più prossimo. Il sorgere e il tramontare del sole, i cicli della luna e del regno vegetale e animale, spingono l’uomo arcaico a formulare una serie di congetture sulla natura del tempo e dello spazio. Congetture non formalizzate attraverso la scrittura ma con il linguaggio dell’arte che, partendo dal visibile, espresse per la prima volta quello che non poteva darsi ai sensi. Ancora oggi l’arte parte dalla sconfitta della parola contro il mondo invisibile di cui sentiamo la presenza ma che non riusciamo a descrivere né tantomeno a spiegare. Eppure quel mondo è lì, non in un luogo remoto ma sovrapposto e incarnato nella realtà che ogni giorno viviamo. È il mondo che abbiamo sotto gli occhi ma che pur ci sfugge.

Nel dinamismo di quei primi enigmatici disegni è impressa l’essenza di un pensiero antico eppur attuale: le prime domande sulla natura dello spazio e del tempo restano le ultime. Tempi e spazi diversi separano l’uomo preistorico dall’uomo tecnologico, una separazione non dovuta tanto alla pur enorme quantità di tempo trascorso da quegli inizi, quanto a una diversa visione del mondo il cui primo significato sbiadisce nel rafforzarsi della coscienza razionale che nel corso della storia ha perso di vista quel confine che per la prima volta divise la coscienza dal suo sfondo indifferenziato. Continue e inesorabili sedimentazioni di immagini e di pensieri hanno offuscato quella prima sapienza le cui tracce ancora permangono negli anfratti più nascosti della nostra mente e la cui memoria, seppur in una sua eco lontana e indistinta, è possibile scorgere nelle visioni della nostra prima infanzia. Flebili tracce di ricordi e di sogni a lungo dimenticati.

Tratto da: Claudio Catalano, IL VENTRE ARCAICO Il mito della Dea Madre e l’origine dello spazio e del tempo. Intermedia edizioni 2022