Non molto tempo fa, passando attraverso il cancello dei sogni,

ho visitato quella regione della Terra nella quale si trova la famosa Città della Distruzione

NATHANIEL HAWTHORNE

Mi piace scrivere su questo libro di Paul Auster, grandissimo scrittore americano del quale con difficoltà riesco ancora a trovare in libreria un romanzo non letto. La prima lettura fulminante fu Trilogia di New York, poi a seguire altri titoli come l’Invenzione della solitudine, Esperimento di verità, Il libro delle illusioni o La notte dell’oracolo. Tenete presente che ad oggi la produzione letteraria di Paul Auster, che ha superato i settanta anni, ammonta a circa venticinque titoli. Autore, dunque, prolifico e allo stesso tempo dotato di una scrittura intensa e creativa, che spazia dalle storie personali alle complesse atmosfere della post-modernità. Noir e spaesamento, identità personali e pluralità delle relazioni, ricerca per uscire dal “cerchio” della vita e la necessità del ricordo per rientrarvi, più consapevoli e curiosi del nostro destino.

Il romanzo per essere tale deve essere una storia, se poi suscita delle considerazioni che vanno al di là del racconto diventa un’opera, e quindi arte. Questo è il caso del racconto in questione e lasciamo al lettore le infinite possibilità interpretative.

La storia di Anna Blume, protagonista del romanzo, è quella di una ragazza che dal suo mondo regolato dalle leggi parte alla ricerca del fratello, scomparso senza lasciare traccia durante un reportage e che non ha dato più notizie di sé dal “paese delle ultime cose”. Nel libro non ci sono dialoghi ma solo un monologo epistolare con un amico rimasto altrove per raccontare e per dire che nel mondo, nel quale egli ancora vive, tutte le cose potrebbero sparire da un momento all’altro. Come nel mondo di distruzione a cui è approdata Anna Blume. Anna scrive all’amico “Non so perché ti sto scrivendo, ad essere sincera non ti ho quasi mai pensato da quando sono arrivata qui, ma all’improvviso, dopo tutto questo tempo, sento che c’è qualcosa da dire sulla nuova e ineluttabile realtà in cui si è costretti a vivere o meglio sopravvivere”. Ma qual è il mondo oscuro in cui è capitata Amma Blume? Una città estrema, post-apocalittica ove le parole d’ordine sono fame, distruzione e malattia. Il “paese sconosciuto” in cui la protagonista è giunta alla ricerca del fratello scomparso è un non- luogo in cui tutte le regole sono sospese e la fame e la paura si trasformano in violenza ed egoismo di tutti contro tutti. Un territorio, i cui confini sono indefiniti e labili, uno spazio sociale incolto e inospitale dove le persone. ma anche gli oggetti. sono a rischio di estinzione. “Una mattina ti alzi e non c’è più il postino o lo schiaccianoci. E non solo il tuo, ma quello di tutti. Qualsiasi rimasuglio diventa allora l’oggetto più prezioso del mondo, soprattutto per i cacciatori di oggetti, persone in grado di uccidere per accaparrarsi, che so, un mozzicone di matita”. Anna Blume ne è dolorosamente cosciente quando afferma “Se vuoi sopravvivere qui, devi lasciar perdere le questioni di principio” oppure “Capisci cosa sto cercando di dire? Per vivere devi far morire te stesso”, ed ancora descrivendo il luogo, “un posto da cui i ricchi fuggirono, portando con sé ori e diamanti e chi rimase non poté più permettersi di essere generoso”.

Queste sono le ultime cose, scriveva.

Il tempo della “città” è sospeso, le relazioni sociali degradate, i rapporti personali, quando ci sono, casuali e basati sulla reciproca “sopravvivenza”; “quando una cosa sparisce, finisce”. Ma di quali cose parliamo? Il cibo è scarso, il furto del cibo è pratica comune, ci sono i mercati comunali legalmente autorizzati ma predominano i privati con i venditori abusivi, la cui merce può essere confiscata in qualsiasi momento e la polizia è corruttibile. È comunque pratica diffusa la frode, “e no, non c’è nulla che la gente non sarebbe capace di fare e prima lo impari meglio sarà per te”.

Le costruzioni sono spesso crollate, e i detriti sono sempre un problema, come l’immondizia ammucchiata in grandi cumuli che bloccano il passaggio; d’altronde gli uomini, per avere il controllo delle strade, continuamente contese, erigono con questi materiali barricate difese con bastoni e fucili. In questi percorsi si può entrare solo corrompendo le guardie e bastonate e omicidi sono ordinaria amministrazione. Ma anche questo paesaggio è variabile perché “nuove barriere sorgono, le vecchie scompaiono” e poco per volta, la città ti deruba di ogni certezza.

Uno dei problemi è avere una casa. Le abitazioni non appartengono a nessuno e non ci sono diritti d’affitto o di proprietà, “non è raro essere sfrattati da un gruppo armato e gettati in strada”. Naturalmente è possibile anche rimanere nelle case occupate proclamandosi proprietari dell’immobile, pagando tangenti per poter rimanere nei propri appartamenti. Dunque, Anna Blume cerca di sopravvivere nella “città della perdizione” cogliendo i segnali che provengono da questo “inferno”. Rifiuta di lasciarsi andare e cerca una ragione per resistere anche a costo di farsi uccidere.

Anna Blume scopre anche nuove categorie di persone: per esempio i Maratoneti, una setta di individui che corrono, spesso in gruppo, lungo le strade il più velocemente possibile, “fino a non avere più aria nei polmoni”. Ma il tutto necessita di una lunga preparazione e allenamenti (il loro codice), con cibo gradualmente ridotto, per essere pronti a intraprendere la corsa mortale per evadere dal proprio corpo; alla fine la loro anima “si innalza libera, il loro corpo cade a terra e tu sei morto”. In effetti sono molte le persone che meditano su come farla finita. Non mancano, in questo senso, le Cliniche dell’Eutanasia, l’unico modo per pagarsi la propria morte, denominata come la Traversata di Ritorno, ma questo è solo per i ricchi o coraggiosi. E con alcune varianti come il Viaggio delle Meraviglie o la Crociera del Piacere per fare una bella vita in un lasso minore di tempo ma sempre seguito da un’iniezione fatale iniettata alla fine del percorso.

E che dire dei Saltatori? Il loro diventa un rituale pubblico, così “la gente si arrampica sui luoghi più alti al solo scopo di buttarsi giù”. Viene chiamato l’Ultimo Salto, “morire in un secondo, cancellare sé stessi in un breve e glorioso momento”. Questa è la nostra unica libertà possibile, la nostra forma d’arte, l’unico modo per esprimere sé stessi.

Ma c’è anche chi ha paura di togliersi la vita da sé e si associa al Club dell’Assassinio della propria zona, per una cifra relativamente modesta, “dopodiché gli viene assegnato un assassino”. Ma per il cliente la morte rimane un mistero; gli è ignoto la data, il luogo, il metodo usato e la stessa identità dell’assassino. La morte rimane all’orizzonte, “una certezza assoluta, eppure, impenetrabile nella sua forma specifica”.

E come sempre la disgrazia dei molti si trasforma in opportunità per altri. Sono i casi in cui la morte diventa fonte di vita. Ogni mattina, infatti, passano i camion per la raccolta dei cadaveri avviati poi ai Centri di Trasformazione organizzati dal governo della “città”.

Anna Blume ha nella trama del racconto più di un compagno di viaggio. Ciascuno o ciascuna di essi è consapevole che “la vita come la conosciamo è finita, e tuttavia nessuno è capace di capire da cosa sia stata rimpiazzata”. Lenta e costante, la città sembra consumare sé stessa, anche se rimane lì. La pioggia poi è invincibile, come il freddo, il tempo muta repentinamente e sarebbe bello se si potesse prevedere con un minimo di precisione le condizioni del tempo, per la costante impraticabilità delle strade che tra l’altro non portano da nessuna parte.

Diverso è l’atteggiamento delle persone nel caos che le circonda, alcuni rientrano nella categoria dei Sorridenti che cercano di non dare peso alle condizioni di vita nella “città”, e in questo senso costituiscono la setta più ingenua e infantile. Per contro c’è un altro gruppo chiamato gli Striscianti, convinti che le condizioni continueranno a peggiorare, fin quando la consapevolezza del passato non sia tale da provocare imbarazzo e vergogna.

Dopo una serie infinita di disavventure, nonostante il suo coraggio, sostenuto dalla speranza di rincontrare il fratello William, Anna Blume cede alle violenze della “città delle ultime cose” lanciandosi da una finestra, “convinta, dopo una lunga caduta, che una volta toccata terra sarei morta”. Nel raccontare cosa accadde dopo ricorda che “doveva essere svenuta nel momento in cui toccò terra”; non rammentava il dolore né il luogo ma certa di non essere morta. Passò molto tempo e quando aprì gli occhi notò il soffitto sopra di lei. Era in un letto, un vero e proprio letto con lenzuola e cuscini, potendo però solo giacere lì. Era a Casa Woburn, “un palazzo di cinque piani con oltre venti stanze”, circondato da un parco privato, costruito molti anni addietro dal dottor Woburn per andare incontro alle esigenze dei sempre più numerosi senza tetto. Ben presto il dottor Woburn, che per la sua opera era diventato nella città quasi una leggenda, raccogliendo fondi e braccia utili, si sacrificò totalmente alla sua nobile azione. Ma il suo progetto, recuperare e amministrare le popolari Case di Passaggio, trasformando in rifugi i diversi edifici abbandonati intorno alla “città” fu gradualmente minacciato, la popolazione senza casa cresceva esponenzialmente diminuendo contemporaneamente il denaro per finanziare cure mediche e assistenza nei rifugi così trasformati. Anche perché i ricchi fuggivano dalla “città della distruzione” portando con sé le proprie ricchezze. Casa Woburn fini ben presto per diventare l’ultimo fortino cui attestarsi con le poche risorse rimaste a fronteggiare la graduale ma ineluttabile dissoluzione delle persone e dei loro legami. La morte del dottor Woburn chiudeva un ciclo, la speranza di lenire le sofferenze e riportare la fiducia nelle persone, i desideri e con essi in certo qual modo i sogni.

Nel paese delle ultime cose forse si può ancora entrare ma uscirne è oramai quasi impossibile. La cingono muri invalicabili e zone nelle quali è più facile perdersi che ritrovarsi. Qualcuno parla di inimmaginabili varchi oltre i quali è possibile ritornare da dove si è incoscientemente partiti, strade di campagna, sbocchi a mare, zone franche senza vigilanza o controlli. Chi sa? Si può solo esprimere dubbio, incertezza e talora una vaga speranza.

Ma la decisione è presa, Anna Blume e i suoi amici di percorso cercheranno un varco nel bastione di Fiddler, la fortificazione più ad ovest, anche la Porta del Millennio più a sud forse è praticabile. La cosa fondamentale è evitare i luoghi piantonati, le zone di possibili tumulti o dove è prevista l’invasione di armate straniere pronte a colpire la “città”.

Nulla è davvero chiaro e noi continuiamo ad aspettare”.

Nel momento critico il monologo di Anna Blume si fa problematico, aperto a tutto, sembra che “sia piacevole sognare”, si partirà domattina e “se il cielo promette bene ce ne andremo via senza pronunciare parola”.

Anna Blume, al mattino presto, è seduta in cucina mentre tutti gli altri dormono “cercando di immaginare cosa ci sia davanti a me”, qualunque cosa è possibile, “l’unica cosa che chiedo, per ora, è la possibilità di vivere ancora per un giorno”

Questa è Anna Blume, la tua vecchia amica da un altro mondo.

Sta a noi immaginare tutte le periferie del mondo nelle quali la realtà di Anna Blume è pura quotidianità.